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ultima dinastia imperiale cinese (1636-1912) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La dinastia Qing o Ch'ing (cinese: 清朝, Qīng cháo), a volte nota anche come dinastia Manciù-Qing (mancese: daicing gurun), fu una dinastia fondata dal clan Manciù degli Aisin Gioro, nell'attuale Manciuria, espansasi poi nella Cina vera e propria e nei territori circostanti dell'Asia interna, costituendo così l'Impero del grande Qing (Cinese: 大清帝國T, 大清帝国S, dàqīngdìguóP).[3] La dinastia Manciù originaria cambiò il proprio nome in dinastia Jin Posteriore nel 1616, per poi dichiararsi "Qing" nel 1636, e conquistò Pechino nel 1644, unificando la Cina durante i quarant'anni successivi, governandola fino al 1912. La denominazione "Jin posteriore" non è da confondersi con l'omonima dinastia del periodo tra il 936 e il 946.[4]
Impero Cinese 中華帝國 ZhonghuaDiguo Grande Qing Dà Qīng 大淸 | |
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La Cina della dinastia Qing intorno al 1890. | |
Dati amministrativi | |
Nome completo | Impero del Grande Qing, Impero Cinese |
Nome ufficiale | 大淸帝國, 中華帝國 |
Lingue ufficiali | Inizialmente lingua manciù, poi Lingua cinese e Guanhua |
Lingue parlate | lingua manciù |
Inno | 《鞏金甌》 Gǒng Jīn'ōu ("Coppa d'oro massiccio") (1911–1912) |
Capitale | Pechino (1644 - 1912) (2 485 442 ab. / 1910) |
Altre capitali | Mukden (1636 - 1644) |
Politica | |
Forma di Stato | Monarchia |
Forma di governo | Monarchia assoluta |
Imperatore della Cina | elenco |
Nascita | 1636 con Tiancong |
Causa | Conquista Qing della Cina |
Fine | 12 febbraio 1912 con Pu Yi |
Causa | Destituzione dell'imperatore Pu Yi e proclamazione della Repubblica |
Territorio e popolazione | |
Bacino geografico | Asia orientale |
Massima estensione | 14.700.000 km2 nel 1790[1][2] |
Popolazione | 395 918 000 nel 1898 |
Economia | |
Valuta | Wén Tael (liǎng) |
La Cina della dinastia Qing nel XVIII secolo | |
Evoluzione storica | |
Preceduto da | Dinastia Jin Posteriore Dinastia Shun Ming Meridionali Khanato degli Zungari Regno Celeste di Taiping |
Succeduto da | Repubblica di Cina Khanato di Mongolia Tibet Repubblica di Formosa |
Ora parte di | Cina Taiwan Mongolia Russia Kirghizistan Kazakistan |
La dinastia Qing fu l'ultima dinastia cinese e la sua caduta nel 1912 per mano della rivoluzione Xinhai, guidata dal leader repubblicano di educazione occidentale Sun Yat-sen, segnò la fine della storia imperiale bimillenaria cinese e la nascita della Cina moderna. La repubblica originaria comprendeva circa l'80% dei territori ancora in possesso del Grande Qing prima della sua caduta (11,077 milioni di km2 su 13,1 nel 1911-12), incluse la Mongolia e Taiwan. I restanti 2,03 milioni di km2, noti come Resti dell'Impero Qing, rimasero sotto il dominio di varie signorie e successivamente dei giapponesi.[4][5]
Con una superficie di 15,0 milioni di km2 nel 1790 (ridotti a 14,7 nel XIX secolo), il Grande Qing fu l'impero più vasto del suo tempo e la prima dinastia cinese per espansione, insieme alla sola dinastia Yuan (15 milioni nel 1330), superando quella Tang.[3] Questo impero fu il quinto più vasto di sempre. Quand'era ancora denominata dinastia Jin posteriore, la superficie era di 12,73 milioni di km2, e di 10,6 milioni con i Manciù. Nel XX secolo il Grande Qing contava 440 milioni di sudditi, ovvero il 36,6% della popolazione mondiale, risultando l'impero più popoloso del mondo moderno.[5][6]
La dinastia Qing non fu fondata dall'etnia degli Han che formano la stragrande maggioranza della popolazione. Il popolo semi-nomade dei Manciù si distinse per la prima volta nell'attuale Cina nord-orientale. Traendo vantaggio dall'instabilità politica e dalle ribellioni popolari che sconvolgevano la dinastia Ming, le forze militari dei Manciù si riversarono nel 1644 nella capitale dei Ming, Pechino, e vi rimasero fino alla detronizzazione della dinastia Qing nel corso della Rivoluzione Xinhai del 1911, quando l'ultimo imperatore abdicò all'inizio del 1912.
Lo stato Manciù fu formato da Nurhaci all'inizio del XVII secolo. Originariamente vassallo dei Ming, egli si dichiarò imperatore della neonata recente dinastia Jin (后金S, Hòu JīnP) nel 1609. Nello stesso anno estese le risorse economiche e umane - come anche la tecnologia - schiavizzando gli abitanti cinesi della Manciuria. Nel 1625 Nurhaci costituì la sua capitale a Shenyang (in mancese: Mukden), ma l'anno successivo subì la sua prima grande sconfitta militare a opera del generale Ming Yuan Chonghuan. Nurhaci morì lo stesso anno. Uno dei traguardi più importanti fu la creazione di otto unità di bandiera responsabili dell'amministrazione civile e militare di tutte le loro truppe e delle loro famiglie.
Il successore di Nurhaci, Huang Taiji (Abahai) proseguì l'opera del padre incorporando le prime unità cinesi nel suo esercito, e adottò inoltre diverse istituzioni politiche Ming nel suo Stato Manciù, includendo anche funzionari di etnia Manciù introducendo un sistema di quote minime. Quando Lingdan Khan, l'ultimo gran Khan dei Mongoli, morì nel 1634 sulla strada per il Tibet, suo figlio Ejey si arrese ai Manciù e consegnò il grande sigillo della dinastia Yuan a Huang Taiji. Nel 1636 Huang Taiji rinominò lo Stato "Qing" (puro), facendo intuire l'ambizione di espanderlo oltre la Manciuria. In una serie di campagne militari sottomise la Mongolia Interna e la Corea e assunse il controllo della regione del fiume Amur (Heilongjiang).
Dopo anni di tumulti, la capitale Ming, Pechino, venne saccheggiata da una coalizione di forze ribelli capeggiate da Li Zicheng. La dinastia Ming finì ufficialmente quando l'ultimo imperatore Ming si suicidò impiccandosi su un albero di una collina che dominava la Città proibita. Dopo aver preso Pechino nell'aprile del 1644, Li Zicheng condusse un esercito di 60.000 uomini per confrontarsi con Wu Sangui, il generale al comando della guarnigione Ming forte di 100.000 uomini a guardia di Shanhaiguan (山海关). Questa città è un passaggio strategico situato nella parte nord-orientale della grande muraglia cinese, circa 80 km a nord-est di Pechino. Per anni le sue difese avevano tenuto i Manciù fuori dalla Cina. Wu, preso tra due fuochi, decise di avvicinarsi ai Manciù e si alleò con il principe Dorgon, reggente dell'imperatore Shunzhi allora di sei anni, figlio dell'imperatore Huang Taiji deceduto l'anno precedente.
Insieme i due eserciti incontrarono le forze ribelli di Li Zicheng nella battaglia del 27 maggio 1644. Anche se i ribelli furono messi in fuga, l'esercito di Wu era così stremato dal quel combattimento che non ebbe altra possibilità se non quella di unirsi alle forze mancesi per riprendere Pechino il 6 giugno 1644 e iniziare la conquista dell'intera Cina. Ci vollero altri diciassette anni per combattere i lealisti dei Ming, i loro pretendenti e i ribelli. L'ultimo pretendente Ming, il principe Gui, fuggì in Birmania, ma fu catturato da una spedizione dei Qing capeggiata da Wu Sangui e venne giustiziato all'inizio del 1662.
I governatori manciù istituirono il famoso "ordine del codino", che costrinse gli Han ad adottare la capigliatura manciù (il "codino infame") e il conseguente abbigliamento, che simboleggiava la loro fedeltà alla dinastia. La severa regola decretava che tutti i maschi Han cinesi si dovessero rasare i capelli sulla fronte a metà del capo e raccogliere tutti i capelli rimasti in una lunga coda. Questo ordine violava l'etica confuciana e la pratica cinese, che stabiliva che non si dovevano tagliare i capelli. Comunque i Cinesi non avevano scelta, qualcosa dovevano farsi tagliare: o i capelli o la testa. Durante i 268 anni di governo manciù vi furono diverse ribellioni proprio a causa di questa ordinanza.
L'imperatore Kangxi (r. 1662-1722) salì al trono all'età di sette anni. Nei primi anni del suo regno fu molto aiutato dalla nonna, la grande favorita Xiaozhuang. I manciù si resero conto che difendere il loro impero, acquisito di recente, non era un compito facile. La vastità del territorio cinese significava che vi erano truppe di bandiera per proteggere le città chiave, un reggimento che formava l'ossatura di una rete di difesa che si reggeva soprattutto su soldati Ming arresisi alla nuova dinastia regnante.
Proprio tre generali Ming che si arresero, si distinsero per i loro contributi alla causa imperiale Qing, ricevettero il titolo nobile di principi feudali (藩王) e il titolo di governatori di vasti territori nella Cina meridionale. Il loro capo era Wu Sangui (吴三桂), che ricevette la provincia dello Yunnan e il Guizhou, mentre i generali Shang Kexi (尚可喜) e Geng Zhongming (耿仲明) rispettivamente il Guangdong e il Fujian.
Con il passare degli anni, i tre signori feudali e i loro territori divennero inevitabilmente sempre più autonomi. Infine, nel 1673, Shang Kexi presentò una petizione all'imperatore Kangxi, manifestando il suo desiderio di ritirarsi dalla sua città natale nella provincia di Liaodong (辽东) e nominò suo figlio come successore. Il giovane imperatore garantì il suo ritiro, ma negò l'eredità del suo feudo. Come reazione gli altri due generali decisero di proporre due petizioni dello stesso genere per mettere alla prova la capacità risolutiva di Kangxi, pensando che non avrebbe corso il rischio di offenderli. Ma il giovane imperatore riparò al loro bluff, accettando le loro richieste, e ordinando che tutti e tre i loro feudi venissero restituiti alla corona.
Messo di fronte alla perdita del suo potere, Wu Sangui capì di non avere altra scelta se non di scatenare una rivolta. Fu raggiunto da Geng Zhoming e dal figlio di Shang Kexi, Shang Zhixin (尚之信). La ribellione durò otto anni. Al culmine dei periodi favorevoli ai ribelli, questi riuscirono ad estendere il loro controllo a nord, fino al fiume Changjiang (长江). Tuttavia il governo Qing riuscì a sedare la ribellione e riprese a esercitare il suo controllo su tutta la Cina meridionale. Questa ribellione sarebbe stata conosciuta nella storia cinese come la Rivolta dei tre feudatari.
Le minacce, tuttavia, non erano tutte intestine. L'imperatore Kangxi condusse la Cina personalmente in una serie di campagne militari contro il Tibet, la Zungaria e la Russia. Concertò il matrimonio di sua figlia con il Khan Gordhun per evitare un'invasione. La campagna militare di Gordhun contro i Qing fallì, rafforzando ulteriormente l'impero. Anche Taiwan nel 1683 fu conquistata dalle forze Qing dal figlio di Zheng Jing, Zheng Ke-Shuang. Il nonno di Zhen Ke-Shuang, Koxinga, l'aveva conquistata agli olandesi.
Dall'inizio della Dinastia Yuan, alla fine del XVII secolo la Cina si trovava in un momento di massimo splendore. Kangxi era riuscito a rafforzare il controllo del governo Qing sulla Cina vera e propria. Trattò inoltre con molti missionari Gesuiti che vennero in Cina con la speranza di ottenere conversioni di massa. Sebbene avessero fallito nel loro intento, Kangxi continuò a ospitare pacificamente i missionari a Pechino.
Dopo la morte di Kangxi nell'inverno del 1722, il suo quarto figlio Yinzhen gli successe nel ruolo di imperatore Yongzheng (r. 1723 - 1735). Fu un personaggio controverso a causa della sua possibile usurpazione del trono, e negli ultimi anni di Kangxi fu coinvolto in dure lotte politiche con i suoi fratelli. Yongzhen era un amministratore che lavorava duramente e governava con il pugno di ferro. Il suo primo passo verso un regime più duro, arrivò quando portò il sistema di indagine statale degli standard originali[non chiaro]. Nel 1724 scoprì che dei funzionari manipolavano i tassi di cambio, allo scopo di adattarli alle loro necessità finanziarie. Quelli che vennero colti in flagrante furono immediatamente esautorati o, nei casi estremi, giustiziati. Yongzheng ordinò anche la creazione di un centro di comando generale (军机处) che divenne di fatto il Consiglio dei ministri fino alla fine della dinastia.
Yongzheng dimostrò grande fiducia negli ufficiali Han e nominò molte delle sue guardie personali in posizioni prestigiose. Nian Gengyao venne nominato per condurre una campagna militare al posto del fratello dell'imperatore Yinti nello Qinghai. Le azioni arroganti di Nian, comunque, portarono alla sua caduta nel 1726. Il regno di Yongzheng vide il consolidamento del potere imperiale al suo apogeo nella storia cinese e diversi territori vennero incorporati nel Nord-Ovest.
Yongzheng morì nel 1735. Gli succedette il figlio Hongli con il nome di Qianlong (r. 1735 - 1796). Era conosciuto come un abile generale. Succedendo al trono all'età di 24 anni, Qianlong condusse personalmente l'esercito nelle campagne vicino allo Xinjiang e in Mongolia. Vennero successivamente sedate rivolte e sommosse nel Sichuan e in parti della Cina Meridionale.
Durante i regni di Yongzheng e di suo figlio Qianlong, il potere Qing raggiunse l'apogeo, governando su 15 milioni di chilometri quadrati di territorio nel 1790.[7] Era il quinto impero più vasto della storia e la prima dinastia cinese insieme agli Yuan (15 milioni nel 1330). Un'estensione di 14,7 milioni di chilometri quadrati fu raggiunta di nuovo e mantenuta nel 1850 per breve tempo.[6]
Per circa quarant'anni, durante il regno di Qianlong, il governo Qing vide il ritorno di una grande corruzione. Il funzionario Heshen fu probabilmente uno dei più corrotti nell'intera dinastia Qing. Alla fine fu costretto a suicidarsi dal figlio di Qianlong, Jiaqing (r. 1796-1820).
Opinione comune sulla Cina del XIX secolo è che in quest'era il controllo dei Qing si indebolì, diminuendo la prosperità dell'intera Cina. Infatti la nazione soffriva di un enorme squilibrio sociale, di stagnazione economica, e di un esplosivo tasso demografico che ridusse la disponibilità pro capite di alimenti. Gli storici offrono varie spiegazioni a questi avvenimenti, ma generalmente si è d'accordo che il potere dei Qing fosse tormentato da problemi interni e da una pressione esterna che era semplicemente eccessiva per il vetusto apparato statale cinese, per la burocrazia e per il sistema produttivo.
La rivolta dei Taiping a metà del XIX secolo è stata la prima grande espressione del sentimento anti-manciù che minacciava la stabilità della dinastia Qing, un fenomeno che sarebbe solo aumentato negli anni successivi, soprattutto con l'instaurazione del Regno Celeste di Taiping nel 1851 da parte di Hong Xiuquan. Comunque il numero orribile delle vittime di questa ribellione - ben 30 milioni di persone potrebbero essere morte - e la completa devastazione di un'ampia area nel sud del paese sono state in un certo senso messe in secondo piano da un altro conflitto, sebbene non sanguinoso: il mondo esterno, con le sue idee e le sue tecnologie, ebbe un enorme impatto rivoluzionario su uno stato Qing traballante e sempre più debole.
Uno dei fattori principali che influirono negativamente sulla Cina del XIX secolo fu il problema di come trattare con altri paesi. Nei secoli precedenti l'Europa e la Cina erano state molto isolate - la corte cinese nutriva pregiudizi nei confronti delle altre nazioni, che considerava barbare e incivili, e perciò non aveva interesse a sviluppare relazioni esterne. Gli Stati europei, nel frattempo, non erano interessati a commerciare con la Cina, poiché questa era, semplicemente, troppo lontana. Il XIX secolo vide però una graduale espansione degli imperi europei in tutto il mondo, dato che gli stati europei sviluppavano economie più forti basate sul commercio marittimo.
Verso la fine del XVIII secolo colonie europee si erano stabilite nella vicina India e in Indonesia, mentre l'Impero russo aveva annesso aree della Cina settentrionale. Durante le guerre napoleoniche la Gran Bretagna tentò di forgiare un'alleanza con la Cina, inviando una flotta ad Hong Kong con doni per l'imperatore, inclusi esempi delle ultime tecnologie e arti europee. Quando l'ambasciata britannica ricevette una lettera da Pechino che spiegava che la Cina non era troppo impressionata dagli sviluppi raggiunti dall'Europa, ma che il re Giorgio III era benvenuto nel rendere omaggio alla corte cinese, il governo britannico, offeso, rinunciò a qualsiasi tentativo successivo di migliorare le relazioni con il regime dei Qing.
Nel 1793 il regime stabilì ufficialmente che la Cina non aveva bisogno dei manufatti europei. In seguito i principali mercanti cinesi accettarono in pagamento delle loro merci soltanto lingotti d'argento. La grande domanda europea di merci cinesi quali la seta, il tè e l'oppio poteva essere soddisfatta solo quando le imprese commerciali europee acconsentivano a pagare la Cina in argento.
Quando, nel 1815, finirono le guerre napoleoniche, il commercio mondiale crebbe rapidamente e la vasta popolazione cinese offrì mercati illimitati alle merci europee. L'aumento di tale commercio, tuttavia, creò una crescente ostilità tra i governi europei e il regime dei Qing.
Alla fine del 1830 i governi di Gran Bretagna e Francia erano profondamente preoccupati per il deflusso dei metalli preziosi, e pertanto cercarono formule commerciali alternative con la Cina - la più estrema delle quali fu di rendere la Cina dipendente dall'oppio. Quando il regime dei Qing cercò di bandire il traffico dell'oppio nel 1838, la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Cina.
La prima guerra dell'oppio rivelò lo stato di decadenza dell'esercito cinese che, sebbene superasse di gran lunga quello britannico per numero, disponeva di una tecnologia e di tattiche inadeguate per una guerra contro la potenza mondiale dominante. La marina da guerra Qing, composta interamente da giunche di legno, non poteva competere con le imbarcazioni della Royal Navy. Nelle battaglie di terra i soldati britannici, che impiegavano fucili moderni e artiglieria, superavano le forze Qing per manovrabilità e potenza di fuoco. I Qing si arresero nel 1842 e ciò inferse alla Cina un colpo decisivo e umiliante. Il trattato di Nanchino, che prevedeva il pagamento di riparazioni per i danni di guerra, permise agli Europei l'accesso senza restrizioni nei porti cinesi e cedette l'isola di Hong Kong alla Gran Bretagna, rivelando molte inadeguatezze nel governo Qing e provocando ribellioni sparse contro il regime.
Le potenze occidentali, ampiamente insoddisfatte del trattato di Nanchino, diedero solo un appoggio superficiale al governo Qing durante le ribellioni del Taiping e dei Nian. La produzione della Cina precipitò durante le guerre, mentre vaste aree agricole venivano distrutte, milioni di persone perdevano la vita e numerosi eserciti dovevano essere levati e armati per combattere i ribelli. Nel 1854 la Gran Bretagna tentò di rinegoziare il Trattato di Nanchino inserendo clausole che permettessero l'accesso commerciale ai fiumi cinesi e la creazione di un'ambasciata britannica permanente a Pechino. Quest'ultima clausola offese il regime dei Qing, che si rifiutò di firmare, provocando così una nuova guerra contro la Gran Bretagna. La seconda guerra dell'oppio terminò con un'altra cocente sconfitta cinese, mentre i Trattati di Tientsin contenevano clausole molto umilianti per i Cinesi, quali la richiesta che tutti i documenti ufficiali cinesi venissero scritti in inglese e la concessione alle navi da guerra britanniche di un accesso incondizionato a tutti i fiumi navigabili cinesi. Secondo la storiografia cinese è a partire da questo periodo che può considerarsi iniziato il secolo dell'umiliazione.[8]
Alla fine del XIX secolo emerse un nuovo leader. L'imperatrice Cixi, concubina dell'imperatore Xianfeng (r. 1850-1861), madre dell'imperatore bambino Tongzhi e zia dell'imperatore Guangxu, s'impadronì del governo Qing e fu di fatto leader della Cina per 47 anni. Inscenò un colpo di Stato per detronizzare la reggenza condotta da Sushun nominato dall'ultimo imperatore. Era nota per la sua partecipazione dietro le quinte (垂帘听政) in politica.
Nel 1860 la dinastia Qing aveva sedato le ribellioni con l'aiuto di una milizia organizzata dalla nobiltà cinese. Vennero costituiti diversi eserciti modernizzati, incluso il famosissimo esercito Beiyang. Comunque, durante la prima guerra sino-giapponese le flotte del "Pei-yang" furono distrutte (1894-95). La reazione a questa disfatta fu di riconoscere la necessità di ulteriori riforme più grandi ed estese. Dopo l'inizio del XX secolo la dinastia Qing era in preda ad un dilemma. Poteva procedere con le riforme e scontentare così la nobiltà conservatrice o poteva bloccare le riforme scontentando i rivoluzionari. La dinastia Qing tentò di seguire una via di mezzo, ma finì per alienarsi entrambe le parti.
Dopo 10 anni di reggenza nel regno dell'imperatore Guangxu (r. 1875 - 1908), la pressione occidentale era così forte che fu costretta a rinunciare ad ogni sorta di potere. Nel 1898 Guangxu tentò la riforma dei cento giorni (百日维新/戊戌变法), nei quali vennero approvate nuove leggi e vennero aboliti alcuni vecchi regolamenti. Mai come prima si diede così tanta fiducia a pensatori progressisti riconosciuti in Kang Youwei, mentre pensatori di matrice conservatrice riconosciuta in Li Hongzhang vennero esautorati da posizioni elevate. Ma gli ideali vennero repressi da Cixi, e Guangxu fu imprigionato nel suo palazzo. Cixi si concentrò sull'accentramento del proprio potere. In occasione del suo 60º compleanno spese più di 30 milioni di monete d'argento per decorazioni e avvenimenti, risorse che inizialmente dovevano essere impiegate per l'ammodernamento della flotta del Pei-yang.
Nel 1901, in seguito all'assassinio dell'ambasciatore tedesco, l'alleanza delle otto nazioni (八国联军) entrò per la seconda volta in Cina come forza militare unita. Cixi reagì dichiarando guerra a tutte e otto le nazioni, ma finì solo per perdere il controllo di Pechino per un breve periodo di tempo. Insieme all'imperatore Guangxu fuggì a Xi'an. Come ricompensa militare l'alleanza stilò un elenco che comprendeva una miriade di richieste al governo Qing, incluso una lista di individui da colpire, nella quale Cixi era al primo posto. Dopo che Li Hongzhang fu mandato a parlamentare, l'Alleanza ritirò molte delle richieste.
Nel 1912 l'impero cadde e fu proclamata la Repubblica di Cina, che comprendeva circa l'80% dei territori imperiali del 1911. Rimasero diversi territori sotto il dominio di dinastie locali, noti nel complesso come Resti dell'Impero Qing; saranno poi conquistati in gran parte dall'Impero giapponese dal 1932 al 1942.[4]
Gli uomini manciù avevano l'abitudine di raccogliere i capelli in un codino. Durante la dinastia Qing i manciù resero questa pratica obbligatoria anche per la popolazione Han e qualsiasi uomo che fosse stato trovato sprovvisto di codino per strada veniva decapitato.
L'imperatore Kangxi ordinò che venisse redatto il più grande dizionario di caratteri cinesi e sotto l'imperatore Qianlong venne eseguita la compilazione dei lavori importanti sulla cultura cinese. Migliaia di libri considerati politicamente inaccettabili dai governatori manciù vennero distrutti man mano che il catalogo veniva compilato.
Il 24 aprile 1909 venne fondata la Biblioteca Capitale, che sarebbe poi diventata la Biblioteca nazionale della Cina,[9] la più grande biblioteca asiatica[10][11] e una delle più grandi al mondo, contenente circa 23 milioni di volumi.[12]
Il corpo amministrativo principale della dinastia Qing era il Gran Consiglio composto dall'imperatore e dagli alti dignitari. La dinastia era caratterizzata da un doppio sistema di nomine con la quale ogni posizione nel governo centrale aveva un manciù e uno han che lo assegnavano. Durante il regno di Qianlong, per esempio, i membri della sua famiglia si distinguevano per i paramenti con un grande emblema circolare sulla schiena, mentre uno Han poteva solo sperare di indossare capi di abbigliamento con un emblema quadrato. Questo significava effettivamente che qualsiasi guardia di corte poteva distinguere i membri della famiglia semplicemente guardando la schiena. Se si eccettuano la Mongolia, il Tibet e lo Xinjiang, la dinastia Qing adottò un blando sistema di controllo e l'imperatore Qing agiva come i Khan mongoli, paladini del Buddhismo tibetano e sostenitori dei Musulmani.
Come questo sistema debba essere definito con precisione è ancora oggetto di controversie per via delle sue attuali implicazioni politiche. I sostenitori del nazionalismo cinese rimproverano al governo Qing di aver concesso a queste regioni un eccessivo grado di autonomia all'interno di un singolo stato nazionale, mentre i sostenitori dell'indipendenza tibetana sostengono che la dinastia Qing fosse un'unione personale tra parecchi stati nazionali.
Comunque, nel 1884 la politica dei Qing cambiò, con l'istituzione della provincia dello Xinjiang. In risposta all'azione militare britannica e russa in Xinjiang e Tibet, i Qing inviarono unità del nuovo esercito che sorprendentemente agirono con successo contro le unità britanniche.
L'abdicazione dell'imperatore manciù, che aveva unito l'impero, portò inevitabilmente a dispute sullo status dei territori esterni dei Qing. Era e rimane la posizione dei nazionalisti mongoli e tibetani, poiché giurarono fedeltà al monarca Qing con una formula personale, per cui, con l'abdicazione dei Qing, non erano legati da alcuna fedeltà allo stato cinese. Questa posizione venne rifiutata dalla nuova repubblica cinese e in seguito dalla repubblica popolare, che hanno reclamato che queste terre rimanessero parte integrante della Cina. Le potenze occidentali accettarono la seconda di queste teorie, soprattutto per evitare attriti con la Cina.
Il sistema amministrativo della dinastia Qing si è evoluto rispetto ai suoi predecessori, i Ming. Nella sua forma più evoluta di stato, il governo Qing era concentrato attorno all'imperatore come sovrano assoluto che presiedeva su sei ministeri, ognuno di questi comandato da due segretari di stato supremi (尚书|Shángshù) coadiuvati da quattro assistenti segretari (侍郎|Shílāng). A differenza del sistema Ming, comunque, la politica razziale obbligava che le nomine dovessero essere divise tra i Cinesi mandarini che avevano passato i livelli più alti degli esami imperiali e i nobili manciù. I sei ministri e le loro rispettive aree di competenza erano le seguenti:
Ministero delle nomine civili (吏部|Lìbú) - Presiedeva l'amministrazione del personale di tutti gli ufficiali civili, inclusa la valutazione, la promozione e il licenziamento. Era inoltre incaricato della "lista d'onore".
Ministero dell'economia (户部|Húbú) - La traduzione letterale della parola cinese 'hú' (户) è 'faccenda di casa'.Per la maggior parte del periodo storico Qing la principale entrata del governo proveniva dalla tassazione delle proprietà terriere a cui si aggiungevano gli importanti monopoli ufficiali, quali il sale e il tè. Così la 'faccenda di casa' di una dinastia Qing prevalentemente agraria, era la base della finanza imperiale. Il dipartimento era incaricato della raccolta delle decime e della gestione finanziaria del governo.
Ministero del cerimoniale (礼部|Lǐbú) - Questo ministero era responsabile per tutte le materie del protocollo di corte, che comprendeva non solo l'adorazione periodica degli antenati e tutti gli attributi divini dell'imperatore nella sua figura di "figlio del Cielo" (Tianzi|天子) per assicurare la gestione corretta dell'impero, ma anche la cura della buona ospitalità verso gli ambasciatori ospiti delle nazioni tributarie. Il concetto cinese di cortesia (li|礼) come venne insegnato da Confucio era considerato parte integrante dell'educazione. Una persona istruita si diceva "conoscesse il libro dei riti di cortesia" ("知书达礼"). Così le altre funzioni dei ministri erano quelle di supervisionare l'ampio sistema di esami civili per guadagnarsi l'entrata nel complesso burocratico. Poiché la democrazia era sconosciuta alla Cina pre-repubblicana, il neo-confucianesimo vedeva negli esami sostenuti dallo stato come un modo per legittimare un regime permettendo che la sua intelligentsia partecipasse ad un sistema non elettivo e altrimenti autocratico.
Ministero della guerra (兵部|Bìngbú) - A differenza della dinastia precedente dei Ming che aveva pieno controllo su ogni materia militare, il consiglio di amministrazione militare dei Qing aveva a confronto molti meno poteri. Per prima cosa, le unità di bandiera erano sotto il diretto controllo dell'imperatore e dei principi ereditari di Manciuria e Mongolia, lasciando ai ministri solamente l'autorità sui grandi eserciti standard. Inoltre le funzioni dei ministeri erano puramente amministrative - Campagne e movimenti di truppe erano monitorati e diretti prima dall'imperatore tramite il consiglio di amministrazione dei manciù e poi dal Centro di Comando generale (Junjichu|军机处).
Ministero della giustizia (刑部|Xīngbú) - Si occupava di tutte le materie legali compresa la supervisione dei diversi tribunali legali e delle prigioni. L'apparato legale Qing era relativamente debole se paragonato con i sistemi legali odierni poiché non vi era alcuna separazione tra l'esecutivo e il legislativo di ogni governo. Il sistema legale poteva essere incoerente e a volte arbitrario poiché l'imperatore governava per decreto e aveva potere decisionale su tutti i risultati giudiziari. Gli imperatori potevano, e ogni tanto lo facevano, sovvertire giudizi di corti inferiori. L'equità dei trattamenti era anche una tematica nel sistema di apartheid praticato dal governo manciù sulla maggioranza cinese Han. Per ovviare queste inadeguatezze e mantenere la popolazione in riga, i Qing hanno mantenuto un codice penale molto severo nei confronti dei popolosi Han, ma non più severo di altre dinastie cinesi precedenti.
Ministero delle infrastrutture (工部|Gongbu) - Si occupava di tutti i progetti di costruzione governativi inclusi i palazzi, i templi e anche la manutenzione delle vie idriche e dei canali irrigui. Era anche incaricato di coniare monete.
Oltre ai sei ministeri il governo Qing disponeva anche di un unico ufficio per gli affari feudatari (理藩院, Lǐfànyuán). Quest'istituzione ha avuto origine allo scopo di controllare l'operato degli alleati mongoli dei Qing. Quando l'impero si è espanso ha assunto la responsabilità amministrativa di tutti i gruppi etnici che vivevano all'interno e attorno all'impero inclusi i primi contatti con la Russia - considerata una nazione tributaria. L'ufficio aveva lo status di un ministero ed era gestito da dignitari dello stesso rango. Comunque le nomine erano inizialmente ristrette ai candidati di etnia mancese o mongola.
Anche se il ministero dei rituali e l'ufficio degli affari feudatari condivisero i doveri di un ministero degli esteri presto divennero uno solo. Questa divisione era causata dalla tradizionale considerazione imperiale di credere la Cina come centro del mondo, mentre tutti gli stranieri erano considerati come barbari, estranei alla civiltà, non meritevoli di uno status ugualitario a livello diplomatico. Il 1861 fu l'anno della svolta, un anno dopo la sconfitta nella seconda guerra dell'oppio contro la coalizione anglo-francese, perché il governo Qing si piegasse alle pressioni straniere e creasse un ufficio per gli affari esteri conosciuto per il nome preoccupante di "Tribunale per la gestione degli affari di tutte le nazioni" (Zǒnglǐgégūoshíwú Yāmēn|总理各国事务衙门), altrimenti detto per abbreviazione "Zǒnglǐyāmēn" (总理衙门). L'ufficio era originariamente inteso come temporaneo ed equipaggiato con ufficiali scelti dal centro di comando generale (Jūnjīchú |军机处) su base part-time. Comunque, dato che i regolamenti d'affari con gli stranieri divennero sempre più complicati e frequenti, l'ufficio aumentò in dimensioni e importanza con l'aiuto della fonte di guadagno delle imposte doganali che erano sotto la sua diretta giurisdizione. Nonostante il sospetto della corte imperiale verso tutto ciò che era straniero, l'ufficio divenne uno dei dipartimenti più potenti all'interno dell'ultimo governo Qing.
Lo sviluppo del sistema militare Qing può essere diviso in due lunghi periodi separati dalla rivolta dei Taiping (1850 - 1864). Nella fase iniziale l'esercito Qing era radicato nelle unità di bandiera manciù, create per la prima volta da Nurhaci come metodo per organizzare la società al di là di piccole affiliazioni di clan. C'erano in tutto otto unità di bandiera, differenziate dai colori: Bianco, Giallo, giallo bordato, blu e blu bordato, rosso, rosso bordato. Il giallo, il giallo bordato e le bandiere bianche erano conosciute come le tre bandiere superiori (上三旗), sotto il comando diretto dell'imperatore. Solo i manciù che appartenevano alle tre bandiere superiori potevano essere selezionati come guardie del corpo personali dell'imperatore. Le altre bandiere erano conosciute come le cinque bandiere inferiori (下五旗) ed erano comandate dai principi manciù ereditari - discendenti della famiglia immediata di Nurhaci - conosciuti informalmente come principi della corazza di ferro (铁帽子王). Insieme formavano il consiglio governativo della nazione manciù, come pure il comando superiore dell'esercito. Nel 1730 l'imperatore Yongzheng formò il centro di comando generale (Junjichu) inizialmente per dirigere quotidianamente le operazioni militari, ma gradualmente Junjichu assunse altri compiti militari e amministrativi e servì le autorità centrali per la corona. Comunque i principi della corazza di ferro continuarono ad esercitare un'influenza considerevole sugli affari politici e militari del governo Qing fin nel regno di Qianlong.
Mentre il potere Qing si espandeva a nord della grande muraglia negli ultimi anni della dinastia Ming il sistema delle bandiere fu ampliato dal figlio di Nurhaci e dal suo successore Huang Taiji, per includere bandiere cinesi e mongole. Mentre conquistavano territori precedentemente governati dalla dinastia Ming, gli eserciti relativamente piccoli venivano assorbiti nell'esercito dello Stendardo Verde (绿营兵) che infine superò le truppe di bandiera di tre ad uno. L'esercito dello stendardo verde, costituito da quelle truppe cinesi Han della dinastia Ming che si erano arrese ai manciù durante la conquista, venne così chiamato per il colore del loro stendardo di battaglia. Venivano condotti da un gruppo misto di ufficiali dallo stendardo verde e dalle otto bandiere. Le unità di bandiera e lo stendardo verde erano eserciti regolari, pagati dal governo centrale. Inoltre i governatori regionali per passare a quelli provinciali e via via fino agli amministratori dei villaggi tenevano le loro milizie irregolari locali per servizi di polizia e riparazione degli inconvenienti. A queste milizie veniva garantito solitamente un piccolo stipendio annuale dalle offerte regionali per obblighi di servizio part-time. Ricevevano davvero pochi sostegni militari, quando questo capitava, e non venivano considerate truppe combattenti.
Gli eserciti di bandiera erano divisi per etnie, ossia tra mancesi e mongoli. Sebbene esistesse un terzo ramo di uomini di bandiera cinesi, fatto da quelli che si erano uniti ai manciù prima della loro conquista della Cina, gli uomini di bandiera cinesi non vennero mai considerati dal governo Qing come pari agli altri due rami in parte perché vi si erano aggregati in un secondo tempo e anche per la loro schiatta Han. La natura del loro servizio - principalmente in fanteria, artiglieria e tra i vettovagliamenti - era considerato estraneo alle tradizioni nomadi dei manciù che prediligevano la cavalleria come tecnica di combattimento.
Dopo la conquista, i cinesi nelle truppe delle unità di bandiera venivano velocemente spostati nell'armata dello stendardo verde e gli uomini di bandiera cinesi smisero di esistere del tutto dopo la riforma delle insegne voluta dall'imperatore Yongzheng per ridurre le spese imperiali. L'origine socio-militare del sistema delle insegne significò che la popolazione all'interno di ogni gruppo e le loro sottodivisioni erano ereditarie e rigide. Solo in circostanze speciali specificate da un editto imperiale erano permessi spostamenti di soldati tra le varie insegne. Al contrario l'armata dello stendardo verde fu fin dall'inizio pensata come formata da professionisti volontari. Comunque durante il lungo periodo di pace dal XVII secolo alla metà del XIX, gli arruolamenti dalle comunità rurali diminuirono, in parte per la posizione negativa del neoconfucianesimo nei confronti della carriera militare. Al fine di mantenere le forze, la armata dello stendardo verde iniziò far diventare ereditaria la carriera militare.
Dopo la conquista, l'esercito delle insegne manciù, forte di circa 200.000 uomini fu diviso: metà divenne l'armata proibita delle otto insegne (禁旅八旗 Jìnlǚ Bāqí), di stazione a Pechino; essa fungeva da guarnigione della capitale e forza d'attacco principale del governo Qing. Il resto delle truppe delle insegne fu distribuito a guardia delle città chiave ed era conosciuta come armata territoriale delle otto insegne (駐防八旗 Zhùfáng Bāqí). I governanti manciù, ben consci del loro stato di inferiorità, rinforzarono la politica di segregazione razziale dividendo dai manciù e dai mongoli i cinesi Han per paura di essere assimilati dalla cultura di questi ultimi, dato che vivevano insieme e gli Han erano numericamente superiori. Questa politica fu applicata direttamente alle guarnigioni delle insegne, che in molte città occupavano una zona fortificata all'interno del centro abitato. Essendo Pechino la sede imperiale, il reggente Dorgon fece spostare tutta la popolazione cinese nei quartieri meridionali, successivamente noti come "cittadella esterna" (外城 wàichéng). La parte fortificata a nord, detta "cittadella interna" (內城 nèichéng), fu suddivisa tra le altre otto insegne manciù, cosicché ognuna era responsabile di una sezione della cittadella che circondava la Città Proibita (紫禁城 Zǐjìnchéng).
La politica di dislocare le truppe delle insegne in varie città non era un mezzo per proteggere ma piuttosto un modo per incutere timore ai cinesi soggiogati. Come risultato, dopo un secolo di pace e mancanza di allenamento sul campo, le truppe dell'insegna manciù si erano molto indebolite. Inoltre, prima della conquista, l'insegna manciù era un'armata di cittadini e i suoi membri erano contadini e pastori manciù obbligati a prestare servizio militare per lo stato in caso di guerra. La decisione del governo Qing di far diventare le truppe delle insegne una forza fatta di professionisti per cui ogni benefit e bisogno era supplito dalle casse dello stato portò la ricchezza e con essa la corruzione ai soldati semplici dell'insegna Manciù e affrettò il decadimento dell'esercito. Questo accadde anche per lo stendardo verde. In tempo di pace, il mestiere di soldato divenne solo un lavoro da cui ricavare ricchezze. Soldati e comandanti trascuravano allo stesso modo le esercitazioni, preoccupandosi solo dello stipendio. La corruzione era dilagante, dato che i comandanti delle unità regionali facevano la cresta al momento di richiedere risorse al quartier generale. Quando scoppiò la rivolta dei Taiping a metà del XIX secolo la corte dei Qing scoprì - in ritardo - che né le truppe delle insegne né quelle dello stendardo verde, riuscivano a sedare i rivoltosi e neanche a tenere a bada gli invasori alle frontiere.
All'inizio della rivolta dei Taiping, le forze dei Qing soffrirono una serie di sconfitte disastrose, culminanti nella perdita della città capoluogo di regione Nanchino (南京) nel 1853. I ribelli massacrarono l'intera guarnigione manciù e le loro famiglie presenti nella città e fecero di questa la loro capitale. Poco dopo una pattuglia di spedizione Taiping penetrò a nord fino alla periferia di Tientsin (天津), in quello che era considerato il cuore dell'impero. In grande allarme, la corte ordinò al mandarino cinese Zeng Guofan (曾國藩) di riorganizzare le milizie regionali e del villaggio (Tuányong 團勇 e Xiangyong 鄉勇) in un esercito regolare per contenere la rivolta Taiping. La strategia di Zeng era di appoggiarsi alle famiglie nobili locali per far nascere un nuovo tipo di organizzazione militare dalle province direttamente minacciate dai Taiping. Questa nuova forza venne chiamata "Armata Xiang" (湘軍), dal nome della regione in cui era stata creata. L'Armata Xiang era un ibrido tra milizia locale e esercito regolare. I soldati avevano ricevuto un addestramento professionale ma erano pagati con i fondi regionali e i soldi che i loro comandanti - per lo più piccoli nobili cinesi - potevano raccogliere. La Armata Xiang insieme alla sua erede, la Armata Huai (淮軍), creata dal collega e pupillo di Zeng, Li Hongzhang (李鸿章), furono poi chiamate Yongying (勇營).
Poiché Zeng aveva iniziato la sua carriera come mandarino e non aveva alcuna esperienza militare, basò il piano per la formazione della Armata Xiang su quella del generale della dinastia Ming Qi JiGuan (戚继光), che a causa della debolezza delle truppe regolari Ming aveva deciso di formare il suo "esercito privato" per combattere i pirati giapponesi. L'idea di Qi si basava principalmente sul concetto neoconfuciano di vincolare la lealtà delle truppe ai loro superiori immediati e alla regione in cui erano cresciuti i soldati, il che inizialmente diede alle truppe un certo spirito di corpo. Quella di Qi era però solo una soluzione provvisoria per un problema specifico - combattere i pirati - così come lo doveva essere anche il piano di Zen con la Armata Xiang - sedare la rivolta dei Taiping. In realtà il sistema Yongying divenne poi un'istituzione permanente dell'organizzazione militare dei Qing che nel lungo periodo portò diversi problemi.
Innanzitutto, il sistema Yongying segnò la fine del dominio manciù nell'organizzazione militare imperiale. Sebbene le armate delle insegne e dello stendardo verde continuassero a depredare le risorse destinate all'intera amministrazione Qing, da allora in poi i corpi Yongying divennero di fatto le truppe di prima linea del governo imperiale. In secondo luogo il sistema Yongying era finanziato con denaro delle province e guidato da comandanti regionali e questo passaggio di potere dal centro alle regioni indebolì il controllo del governo centrale sull'intera nazione. Comunque nonostante questi aspetti negativi questa "devoluzione" fu ritenuta necessaria dato che la priorità era recuperare il gettito fiscale nelle province occupate dai ribelli. Alla fine la natura della struttura del comando Yongying fece sì che i suoi comandanti, una volta fatta carriera e arrivati ai ruoli burocratici, gettarono il seme per la fine dei Qing e il definitivo scoppio degli scontri tra signori della guerra locali.
Alla fine del XIX secolo la Cina stava velocemente precipitando in uno stato semicoloniale. Anche gli elementi più conservatori della corte Qing non poterono più ignorare la debolezza dell'esercito cinese a confronto con i "barbari" stranieri che premevano alle porte. Nel 1860, durante la seconda guerra dell'oppio la capitale Pechino fu conquistata e il vecchio palazzo d'Estate fu preso dalla relativamente piccola coalizione anglo-francese (25.000 uomini). Nonostante i cinesi avessero inventato la polvere da sparo all'epoca della dinastia Song e usassero le armi da fuoco già da allora, le armi costruite in Occidente con le tecnologie della grande rivoluzione industriale come ad esempio la canna da fucile con scanalature (1855), la mitragliatrice Maxim (1885), e le navi da guerra a vapore (fine dell'Ottocento) avevano reso l'esercito e la marina cinesi, per tradizione ben addestrati ed equipaggiati, obsoleti. I tentativi di "occidentalizzare" e modernizzare le truppe cinesi, per la maggior parte nell'esercito Huai non ebbero grande successo, in parte per mancanza di denaro e in parte per poca volontà da parte del governo Qing di fare queste riforme.
La sconfitta nella prima guerra sino-giapponese del 1894 - 1895 segnò lo spartiacque per la politica del governo Qing. Il Giappone, una nazione a lungo considerata dai cinesi come poco più di uno stato nato da una banda di pirati, aveva battuto il suo vicino maggiore e così annullato l'orgoglio dei Qing: la nuova flotta del mare del Nord. Così facendo il Giappone divenne la prima nazione asiatica a raggiungere la potenza coloniale dei paesi occidentali. La sconfitta fu così ancor più scioccante se vista nel contesto in cui accadde, solo tre decenni dopo il Rinnovamento Meiji adottata per emulare lo sviluppo economico e tecnologico delle nazioni occidentali. Alla fine, nel dicembre 1894 il governo Qing realizzò delle riforme concrete nell'esercito e per riaddestrare unità speciali con azioni tattiche e armamenti occidentali.
All'inizio del XX secolo iniziarono ad esserci ribellioni di massa. Cixi e l'imperatore Guangxu morirono entrambi nel 1908, lasciando l'autorità centrale in crisi e senza effettivo controllo del paese. Pu Yi, il figlio maggiore del principe Zaifeng, di soli due anni, fu nominato successore, lasciando a Zaifeng la reggenza. Il Generale Yuan Shikai fu allontanato.
A metà del 1911 Zaifeng creò il "Gabinetto della famiglia imperiale", un organo di consiglio del governo imperiale formato quasi interamente da membri della famiglia manciù Aisin Gioro. Questa azione suscitò molte critiche da parte dei funzionari anziani come Zhang Zhidong.
La Rivolta di Wuchang nel 1911 dette inizio alla Rivoluzione Xinhai che portò alla proclamazione della Repubblica di Cina e alla fine del Celeste Impero.
A Nanchino, con Sun Yat-sen come presidente provvisorio, numerose province iniziarono a separarsi dal controllo dei Qing. La situazione disperata, il governo imperiale richiamò Yuan Shikai al comando dello stato maggiore e della armata Beiyang, affinché sconfiggesse i rivoluzionari. Dopo aver ricevuto carica di Primo Ministro e aver creato il suo Gabinetto, Yuan osò chiedere la rimozione di Zaifeng dalla reggenza e con l'appoggio della imperatrice vedova Longyu la richiesta venne esaudita.
Senza Zaifeng, Yuan Shi-kai e i suoi comandanti Beiyang riuscirono a dominare la politica dei Qing. Essi ritenevano che la guerra fosse un'opzione irragionevole e costosa, specialmente ora che il governo Qing puntava alla riforma nel senso di una monarchia costituzionale. Similmente, il governo di Sun Yat-sen voleva una repubblica costituzionale, con lo stesso obiettivo di un miglioramento per la comunità e l'economia cinese. Con il permesso dell'imperatrice vedova Longyu, Yuan iniziò a negoziare con Sun Yat-sen. Gli accordi portarono alla abdicazione dell'imperatore bambino Pu Yi (1912) e alla nomina di Yuan alla presidenza della repubblica. Si concluse così la storia imperiale bimillenaria della Cina.
Come conseguenza della rivoluzione Xinhai, si insediò una nuova Repubblica di Cina (che copriva l'80% dei territori imperiali nel 1911, pari a 13,1 milioni di km2) e l'ultimo imperatore, Pu Yi, abdicò. Fu restaurato per breve tempo nel 1917 durante la restaurazione Manciù, mentre nel 1915-16 la repubblica divenne brevemente l'impero di Cina.[5] I 268 anni della dinastia Qing avevano conosciuto gloriosi successi, umilianti sconfitte e profondi cambiamenti in tutti gli aspetti della vita dei cinesi. La Cina di oggi è stata plasmata da queste esperienze. Il consolidamento del potere dei Qing fu accompagnato da un'espansione territoriale e i confini della Cina moderna riflettono in gran parte i successi delle campagne militari della dinastia.
Gli imperatori sono riportati con il nome con il quale sono più comunemente conosciuti[13].
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