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film del 1956 diretto da Alfred Hitchcock Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il ladro (The Wrong Man) è un film del 1956, diretto da Alfred Hitchcock.
Il ladro | |
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La locandina d'epoca | |
Titolo originale | The Wrong Man |
Lingua originale | inglese, italiano, spagnolo |
Paese di produzione | Stati Uniti d'America |
Anno | 1956 |
Durata | 105 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,85:1 |
Genere | drammatico |
Regia | Alfred Hitchcock |
Soggetto | Maxwell Anderson |
Sceneggiatura | Maxwell Anderson, Angus MacPhail |
Produttore | Alfred Hitchcock |
Casa di produzione | Warner Bros. |
Distribuzione in italiano | Warner Bros. Continental Films |
Fotografia | Robert Burks |
Montaggio | George Tomasini |
Musiche | Bernard Herrmann |
Scenografia | Paul Sylbert, William L. Kuehl |
Trucco | Gordon Bau |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Il quarantaduenne musicista Christopher Emmanuel Balestrero, detto «Manny» (nella versione italiana tradotto come Ballister, per una sorta di censura dell'epoca, che trovava sconveniente che una persona con cognome italiano potesse essere accusato - seppur ingiustamente - di rapina), campa e mantiene la sua famigliola (moglie e due figli) suonando la notte il contrabbasso nell'orchestrina dello Stork Club di New York, un club molto esclusivo. Rientrando a casa una mattina d'inverno apprende che la moglie Rose necessita di cure dentarie che costeranno trecento dollari, somma che la famiglia non possiede. Così nel pomeriggio, prima di andare a trovare sua madre, passa dall'agenzia di assicurazioni per informarsi se e come potrà ottenere un prestito di pari importo sulla sua polizza vita.
E qui cominciano i guai. Le impiegate dell'agenzia credono di riconoscere in lui la persona che, nel luglio precedente, aveva rapinato l'agenzia portandosi via duecento dollari. Ma esse fanno finta di niente e trattano cortesemente lo sgradito cliente. Manny, ottenuta la risposta affermativa, si reca dalla madre ma intanto la polizia del quartiere è stata avvisata, cosicché la sera, al rientro a casa e prima ancora che possa aprire la porta, due agenti in borghese lo invitano a salire in auto per recarsi alla stazione di polizia. Qui, dopo un breve interrogatorio, viene portato presso due altri esercizi commerciali rapinati precedentemente, presumibilmente dallo stesso individuo, ed i relativi titolari, pur con qualche titubanza di uno di loro, lo riconoscono. Un esame della calligrafia in stampatello con la quale Manny scrive sotto dettatura le stesse parole scritte dal rapinatore su un foglietto sporto all'impiegata di sportello in occasione della rapina all'agenzia assicurativa rivela, secondo gli agenti, una significativa somiglianza, ma il colpo finale glielo dà il riconoscimento, fra altre cinque persone scelte a caso, delle due dipendenti, avvenuto nei locali della stazione di polizia. Manny viene schedato e posto in guardina mentre la famiglia, in forte apprensione non sapendo ove egli sia, cerca disperatamente di rintracciarlo telefonando ad ospedali e commissariati: apprenderà la situazione il cognato, venuto a casa di Manny con la madre di lui e la sorella per dare assistenza alla povera Rose. L'udienza preliminare del giorno successivo stabilisce la data del processo di lì ad un paio di settimane e la cauzione per la libertà condizionata in 7.500 dollari, somma ben lontana dalla disponibilità finanziaria di Manny. Tuttavia, appena entrato in cella, Manny viene liberato, in quanto il cognato ed altri hanno raccolto la somma necessaria per la cauzione.
L'avvocato O'Connor, cui si rivolgono su suggerimento di alcuni vicini, chiede loro di cercare le testimonianze che attestino ove egli trascorse il pomeriggio del 9 luglio, quando fu rapinata l'agenzia. Recatisi presso la pensione che allora li aveva ospitati per un week-end, rammentano che quel pomeriggio Manny, causa la pioggia, l'aveva trascorso giocando a carte con altri tre clienti della pensione, i cui nomi ed indirizzi vengono prontamente reperiti nei registri della medesima. Ma la visita all'indirizzo dei primi due si rivela una cocente delusione: il primo è deceduto da tre mesi ed il secondo si è reso irreperibile da tempo. Rose comincia a dar segni di inquietudine. La prima udienza del processo si svolge con l'escussione delle testimoni dell'agenzia assicurativa, che non risulta molto favorevole all'imputato, ma l'intervento maldestro di un giurato durante l'interrogatorio di una di loro («Signor giudice, quando la facciamo finita con questa filastrocca?») da parte del difensore di Manny manda tutto all'aria: la giuria viene ricusata ed il processo deve ricominciare in altra data con altra giuria. Intanto però Rose dà segni di squilibrio mentale, si autoaccusa di essere la causa dei guai della famiglia per la sua (presunta) incapacità di risparmiare. Diviene apatica ed insensibile tanto da dover essere ricoverata in una clinica psichiatrica.
Nell'attesa della ripresa del processo però, il vero colpevole - di nome Daniel - tenta un altro colpo in una drogheria della zona, ma gli va male: il commerciante reagisce, lo blocca e chiama la polizia che lo trae in arresto. Appena entrato in commissariato, il suo sguardo si incrocia con uno dei poliziotti che avevano prelevato Manny dalla sua abitazione. Il suo turno è terminato e sta per uscire in borghese, ma torna subito indietro perché ha intuito che Ballister è stato scambiato con quell'uomo. Il confronto con le stesse impiegate dell'agenzia assicurativa è positivo e Manny viene scagionato da ogni accusa.
Subito Manny si reca in clinica per dare la buona notizia alla moglie. Ma Rose non dà segni di miglioramento neanche alla notizia che tutto si è risolto per il meglio e rimane in clinica[1].
Diversamente da altri film il regista non "firma" l'opera con una sua rapida comparsa ma fa precedere la pellicola da un suo breve prologo, probabilmente perché la storia è vera.
Il film fu prodotto da Alfred Hitchcock per la Warner Bros. Pictures; produttore associato Herbert Coleman.
Il soggetto fu tratto da un fatto realmente accaduto che il regista lesse il 29 giugno 1953 su Life Magazine raccontato dal giornalista Herbert Brean col titolo A Case of Identity.[2]
Il 14 gennaio 1953 Christopher Emmanuel Balestrero, musicista di contrabbasso dello Stork Club di New York, viene fermato di fronte a casa ed incriminato per aver compiuto alcune rapine a mano armata nella zona circostante. Nonostante la sua proclamazione d'innocenza viene arrestato e processato ma nel corso degli eventi il vero colpevole tenta un altro colpo e viene catturato: la sua cattura scagiona l'innocente musicista.
La Warner aveva acquistato la notizia per un trattamento cinematografico e aveva affidato la sceneggiatura a Maxwell Anderson e a Angus MacPhail.[2]
Hitchcock pensava di aver trovato nella bionda Vera Miles l'erede di Ingrid Bergman e di Grace Kelly e le affidò la parte della moglie. Durante la lavorazione del film, le riprese furono interrotte per consentirle di sposare Gordon Scott, interprete di Tarzan in sei film.[2]
Henry Fonda fu scelto per la parte del protagonista. La sua interpretazione è definita dai critici "magistrale" perché, malgrado fosse un attore molto famoso, riuscì a rendersi "neutro", "anonimo", un "uomo qualunque", in cui lo spettatore facilmente può identificarsi. «Poche volte lo spettatore ha sofferto come quando, dinanzi ai suoi occhi, Henry Fonda annaspa nel terrore con lo sguardo colmo di una straziante vergogna.»[3]
Hitchcock incominciò a girare il film nel mese di marzo 1956.
Le riprese furono effettuate a New York presso lo Stork Club dove il protagonista lavorava, la casa in cui abitava nella 78ª strada, l'Ufficio delle Assicurazioni Prudential nella Victor Moore Arcade, il tribunale e le celle dove era stata imprigionato a Manhattan e al Queens; nella Edelweiss Farm a Cornwall, dove i Balestrero trascorrevano le vacanze estive; a Ossining al Greenmont Sanatorium dove la moglie era stata ricoverata per curare la depressione.[2]
La prima si ebbe a New York il 22 dicembre 1956.
La stampa cinematografica ritenne, a torto, che Hitchcock avesse imboccato la strada del neorealismo, del cinema-verità. Il pubblico rimase disorientato per la scelta del bianco e nero e per la completa assenza di situazioni umoristiche.[2]
Hitchcock si attiene strettamente al fatto di cronaca e questo gli farà dire, in seguito, che il suo film non fu dei più riusciti proprio a causa di questa dicotomia: l'esigenza della finzione filmica in contrasto con quella, impostasi dal regista, di una stretta aderenza alla cronaca avrebbero reso il film una specie di documentario non riuscito.[4]
La fotografia in bianco e nero, con i giochi di luci ed ombre, rende molto bene il senso di oppressione che grava sulla vittima e sulle persone a lui care.
Il film «... prima di essere una lezione di morale è in ogni momento una lezione di messa in scena.»[6]
Ecco alcuni esempi:
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