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Poema persiano di Attar Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il verbo degli uccelli (in persiano منطق الطیر, Manṭiq aṭ-ṭàir, 1177), tradotto anche come la conferenza…, la lingua…, e Il discorso degli uccelli, è un poema di circa 4500 versi in persiano di Farīd ad-dīn ʻAṭṭār.
Il verbo degli uccelli | |
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Titolo originale | منطق الطیر |
L’assemblea degli uccelli, dipinto di Habib Allah. L'upupa, a destra al centro, istruisce gli altri uccelli sulla dottrina Sufi. | |
Autore | Farid al-Din 'Attar |
1ª ed. originale | 1177 |
Genere | poema |
Lingua originale | persiano |
«O meraviglia! La prima apparizione di Simurgh si ebbe in Cina nel profondo della notte. Esattamente nel centro di quel paese cadde una sua piuma, e questo bastò per seminare lo scompiglio in tutti i reami della terra. Ogni uomo si fece di lei un'immagine particolare e conformò la sua azione a quanto di essa poté cogliere. Quella piuma è ora conservata nei dipinti cinesi, e da questo il detto: "Cerca la sapienza, financo in Cina!"»
Il verbo degli Uccelli racconta la storia di un gruppo di uccelli pellegrini che partono, guidati da un'upupa, alla ricerca del Simurgh, il loro re, e racconta le loro esitazioni e incertezze durante questo viaggio.
Come altri racconti orientali, il racconto è costellato di racconti, aneddoti, parole di santi e dei pazzi che li accompagnano. Uno dopo l'altro abbandonano il viaggio, ognuno adducendo una scusa, incapaci di sopportare il viaggio. Ogni uccello simboleggia un comportamento o un difetto. Il capostipite è l'upupa, l'usignolo simboleggia l'amante. Il pappagallo cerca la fonte dell'immortalità, non Dio. Il pavone simboleggia le “ anime perdute” che hanno stretto un'alleanza con Satana.
Tutti gli uccelli del mondo si radunano per decidere chi sarà il loro re. L'upupa, che è il più saggio fra loro, li convince ad intraprendere la ricerca del leggendario Simurgh, un uccello della mitologia persiana che corrisponde all'incirca alla Fenice della mitologia occidentale.
Gli uccelli devono attraversare sette valli prima di raggiungere il Simurgh:
Non appena gli uccelli realizzano la verità, devono poi recarsi alla stazione di Baqa (sussistenza dell'uomo in Dio - continua fana ) che si trova in cima al monte Qaf.
Quando i soli trenta uccelli rimasti raggiungono finalmente il luogo dove vive il Simurgh, tutto ciò che essi vedono è uno specchio in cui scorgono la loro stessa immagine riflessa (Questo finale cela un gioco di parole in lingua persiana fra "Simurgh", il nome dell'uccello mitico, e "si murgh", che in persiano significa appunto "trenta uccelli"). Ciò rappresenta la dottrina Sufi secondo cui Dio non è esterno o separato dall'universo, bensì costituisce la totalità di ciò che esiste; i trenta uccelli comprendono infine l'identità mistica fra "Simurgh" e la loro stessa essenza (il Simurgh che raffigura Dio, ma anche l'anima capace di guardare come l'Essere Divino). L'asprezza del viaggio li aveva purificati, trasformando loro stessi in Simurgh: «C'erano due Simurgh, e tuttavia ce n'era uno solo; e tuttavia erano due».[1] Il senso anagogico è che, con l'unione, si giunge al Tutto (3x10) e così a Dio, somma di tutti gli esseri.[2]
In breve l'opera è un'allegoria nella quale la ricerca del Simurgh rappresenta la ricerca di Dio, l'upupa rappresenta un maestro Sufi, ognuno degli altri uccelli rappresenta un vizio umano che ostacola il raggiungimento dell'illuminazione spirituale e le valli simboleggiano le tappe che un Sufi deve attraversare per attingere la vera natura di Dio.
All'interno di questa cornice narrativa, costituita dalla storia del viaggio degli uccelli, ʻAṭṭār inserisce numerosi brevi racconti, sorta di "parabole" con funzione didattica.
«O viandante, non considerare il mio libro come opera di pura poesia o di logica: è solo in chiave di dolore che tu devi leggerlo! Se aspiri a conoscere uno soltanto degli infiniti dolori dell'uomo, ti scongiuro di credere alle mie parole! La ruota della fortuna spingerà innanzi colui che saprà leggere il mio discorso alla luce del dolore.»
Collezione al Metropolitan Museum of Art, New York. Folio d’un manoscritto illustrato datato c.1600. Dipinti di Habiballah of Sava (attivo ca. 1590-1610), in inchiostro, opaco acquerello, oro e argento su carta, dimensioni 25,4 x 11,4 cm.[3]
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