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giornalista e scrittore argentino Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Horacio Verbitsky (Buenos Aires, 11 febbraio 1942) è un giornalista e scrittore argentino.
«Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda»
È uno dei principali esponenti del movimento argentino per la difesa dei diritti umani e tra i responsabili della sezione americana di Human Rights Watch. Editorialista del giornale argentino Página/12, collabora con El País, New York Times, Wall Street Journal e il Fatto Quotidiano ed insegna alla Fundación para un Nuevo Periodismo Iberoamericano, fondata da Gabriel García Márquez[2].
Militante politico rivoluzionario, negli anni settanta iniziò a collaborare con testate giornalistiche argentine. In quegli anni fu un membro attivo del gruppo guerrigliero dei Montoneros e partecipò anche ad azioni armate[3]. Per questo fu costretto all'esilio in Perù. Strenuo oppositore di Jorge Videla, nel periodo della Dittatura militare argentina diede vita, con Rodolfo Walsh, alla Agencia de Noticias Clandestinas, tramite la quale veniva denunciata la repressione del regime e venivano diffuse le prime informazioni sui campi di concentramento dell'ESMA[1].
Divenne internazionalmente noto nel 1995 con la pubblicazione del saggio Il Volo - Le rivelazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos; il testo tratta delle brutalità commesse durante la dittatura nel periodo 1976-1983 (il volo del titolo fa riferimento alla pratica di gettare gli oppositori in mare dagli aerei), ed è basato sulla confessione dell'ex ufficiale di Marina Adolfo Scilingo. Il libro è stato un importante elemento probatorio nel processo condotto in Spagna dal giudice Baltasar Garzón contro lo stesso Scilingo, che nell'aprile 2005 è stato condannato a 640 anni di carcere[4].
È invece del 2005 il libro L'isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, nel quale Verbitsky, raccogliendo le testimonianze di sopravvissuti e parenti dei desaparecidos, ricostruisce la storia del campo di concentramento in una delle isole del Río Tigre, chiamata El Silencio. L'inchiesta di Verbitsky mette in evidenza i retroscena dei rapporti tra la dittatura argentina e le gerarchie ecclesiastiche, chiamando in causa alcune figure di spicco del Vaticano, come il nunzio apostolico Pio Laghi, papa Paolo VI e Jorge Mario Bergoglio, futuro papa Francesco[5].
Proprio riguardo all'elezione di Bergoglio a capo della Chiesa cattolica, Verbitsky ha dichiarato di considerare l'evento «una disgrazia per l'Argentina e per il Sudamerica», e di ipotizzare che il nuovo pontefice possa rivestire, nei confronti del proprio continente, un ruolo «simile a quello di Wojtyła verso il blocco sovietico del suo tempo»[6].
Negli ultimi anni si sta dedicando alla connessione tra la dittatura argentina, le maggiori istituzioni del paese e le imprese economiche e finanziarie argentine e straniere ed ha rimodulato il termine di "regime militare" in regime "civico-militare: «La dittatura ha avuto istigatori, complici, e sfruttatori (…) va ripensata come un vero e proprio blocco civile, militare, ecclesiastico ed economico (…). Altrimenti si potrebbe pensare che i militari siano stati dei pazzi venuti da Marte per annientare gli argentini»[7]
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