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giornalista e regista italiano (1919-2011) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Gualtiero Jacopetti (Barga, 4 settembre 1919 – Roma, 17 agosto 2011) è stato un giornalista, regista e documentarista italiano. Ideatore, insieme a Paolo Cavara e Franco Prosperi, del genere cinematografico dei Mondo movie, il cui capostipite fu Mondo cane[1][2]; il suo film Africa addio vinse il David di Donatello.
Jacopetti nacque a Barga (LU), in Media Valle del Serchio, ed è rimasto molto legato alla sua città natale, che così definiva: «Casa mia è dove hanno vissuto i miei genitori, dove sono nato anch'io. Appartengo alla Toscana, a quegli alberi, a quel mare, ai castagni sui monti e agli armadi pieni di quelle vecchie, carissime cose». Essendo stato fascista in gioventù, si arruolò volontario nella seconda guerra mondiale, ma nel 1944 aderì alla lotta partigiana. Combatté in Versilia contro i nazisti occupanti. Alla fine della guerra era ufficiale di collegamento dell'esercito.
Durante la campagna elettorale del 1948 conobbe a Milano Indro Montanelli. Montanelli sarebbe divenuto la personalità di riferimento di Jacopetti durante tutta la sua carriera giornalistica[3]. Incoraggiato da Montanelli, Jacopetti cominciò a scrivere articoli di costume e attualità su Oggi e La Settimana Incom (all'epoca era anche un rotocalco, oltre che un cinegiornale)[4]. Poi Montanelli lo portò con sé a Vienna, dove Jacopetti iniziò a scrivere per il Corriere della Sera.
Negli anni successivi Jacopetti si trasferì a Roma per dirigere La Settimana Incom. Nella capitale, alla fine del 1953, a poco più di 30 anni, fondò e diresse il settimanale d'informazione Cronache (nome completo: Cronache della politica e del costume, dal 1º gennaio 1954). Il giornale ruppe abitudini consolidate: mentre i settimanali di allora presentavano un'Italia in crescita, bella e dal luminoso avvenire, Jacopetti fece l'operazione contraria[5].
Molti furono però i sequestri della rivista: in un periodo in cui anche la pubblicazione di parole come "amante" o "divorzio" era vietata e gli stessi giornalisti s'imponevano spesso l'autocensura, questa rivista proponeva argomenti di politica e società in modo più disinibito, fino alla pubblicazione nel 1955 delle foto dell'allora stella nascente Sophia Loren a cosce nude con la didascalia "Dono di Sofia Loren". L'immagine costò a Jacopetti una condanna per «stampa, vendita e commercio di fotografie oscene» e la chiusura del giornale[4].
Cronache fu comunque un'esperienza di rottura, innovativa per la stampa periodica italiana; da esso derivò per filiazione diretta L'Espresso di Arrigo Benedetti, che ereditò praticamente formula, taglio e gran parte della redazione. Da Cronache passarono infatti al nuovo settimanale molte future grandi firme del giornalismo italiano, tra cui Cesare Brandi, Giancarlo Fusco, Fabrizio Dentice, Carlo Gregoretti, Cesare Zappulli e Bruno Zevi.
Nel 1955 organizzò nella sua abitazione un convivio amoroso (due uomini e due donne). Non sapeva però che una delle partecipanti era minorenne. Il padre di questa sporse denuncia e Jacopetti venne arrestato per corruzione di minorenne. Dopo 59 giorni di carcere accolse il suggerimento degli avvocati per risolvere il caso: si unì in matrimonio con la ragazza[6] nel giugno 1955. Nove anni dopo il matrimonio sarebbe stato annullato[7][8]. Fu in questi anni romani che Jacopetti ebbe contatti con persone legate al cinema, tra cui Alessandro Blasetti, la cui amicizia si rivelò poi importante anche per la successiva carriera nel cinema[4].
Nel 1956 Jacopetti cominciò a collaborare con la Rizzoli. Inizialmente lavorava per i cinegiornali, dirigendo testate come L'Europeo Ciac (dal 1956) e Ieri, oggi, domani (dal 1959)[9].
Negli anni Cinquanta Jacopetti interpretò il ruolo di un avvocato in Un giorno in pretura di Steno e negli stessi anni collaborò con Blasetti alla sceneggiatura di Europa di notte (1959), considerato l'antesignano dei film della serie Mondo. Fu proprio dai materiali raccolti per Blasetti a cui lui non era interessato che scaturirono le prime idee per il documentario Mondo cane del 1960-61, realizzato assieme a Franco Prosperi e Paolo Cavara. Reportage di usi e costumi bizzarri scovati in giro per il mondo, insieme esotici e crudeli, il documentario prodotto da Angelo Rizzoli si prendeva volutamente gioco dei cinegiornali dell'epoca, divenuti spesso strumento di una politica conformista, il cui pubblico era poco abituato ad argomenti tabù[4].
Nonostante le aspre critiche per la durezza delle immagini e il cinismo del commento, il film ottenne un successo enorme in tutto il mondo e una nomination all'Oscar per la migliore colonna sonora, la celeberrima More, realizzata da Riz Ortolani e Nino Oliviero. A Mondo Cane seguì Mondo cane 2 (1963), seguito meno dirompente e più ironico del precedente ma altrettanto apprezzato dal pubblico, in cui molti contributi provenivano anche dall'Italia (Abruzzo, Calabria e Lazio: suggestive le immagini che riportano la processione e gli usi particolari della confraternita dei Sacconi rossi, nella cripta della Chiesa di San Bartolomeo all'Isola, sull'isola Tiberina). Per la verità Jacopetti ha sempre rinnegato il secondo capitolo di Mondo Cane, poiché ritenuto una mera operazione commerciale. Molti dei contributi che si vedono nel film sono infatti avanzi di montaggio del primo capitolo.[senza fonte]
Ebbe una relazione con l'attrice Belinda Lee, terminata tragicamente il 12 marzo 1961 in California quando lei, Paolo Cavara e Jacopetti ebbero un grave incidente d'auto che causò la morte dell'attrice (tra l'altro in attesa di un figlio da Jacopetti).[10] Jacopetti le dedicò poi il film La donna nel mondo (1963) «che in questo lungo viaggio ci accompagnò e ci aiutò con amore.»[11]
Jacopetti lavorò sempre in coppia con l'amico Franco Prosperi e con una troupe dove figurava come organizzatore lo scrittore Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito Nievo. I suoi film più importanti furono tutti prodotti da Angelo Rizzoli. Dopo La donna nel mondo, analisi meno feroce, ma parecchio irriverente della condizione della donna in vari paesi (1963), Jacopetti realizzò insieme a Prosperi Africa addio (1965-66), impressionante resoconto sui tragici effetti della decolonizzazione nel continente nero, con drammatiche immagini sul selvaggio sfruttamento della fauna africana e sull'inadeguatezza delle popolazioni indigene ad autogovernarsi. La sua tesi era semplice: è giusto che gli Stati africani raggiungano l'indipendenza, però gli africani non hanno dimestichezza con la forma-stato, per cui l'abbandono delle potenze coloniali provocherà il caos, in cui prevarrà il più forte o il più violento. In sostanza, secondo Jacopetti, con la decolonizzazione l'Africa avrebbe provocato un'involuzione delle condizioni di vita delle popolazioni. Il film vinse il David di Donatello 1966. Nonostante ciò, una parte della critica accusò gli autori di razzismo[12].
Nel 1971 i due registi realizzarono Addio zio Tom, beffarda indagine sulla schiavitù negli Stati Uniti dell'Ottocento. Il film si discosta dalle opere precedenti perché fa trasparire sin dalla prima inquadratura che si tratta di una ricostruzione filmata: due giornalisti scendono da un elicottero proveniente dal futuro per un reportage "in soggettiva" sul commercio degli schiavi. Anche lo stile si fa ancora più beffardo e bizzarro, allontanandosi dall'approccio asciutto dei precedenti film della coppia.
Nel 1975 Jacopetti diresse Mondo candido, trasposizione in chiave moderna del Candido di Voltaire. Quest'opera non venne apprezzata né dalla critica né dal pubblico ed ebbe grossi problemi produttivi, rimanendo il suo "canto del cigno".
Jacopetti è stato accusato a più riprese di razzismo e di un fanatismo di stampo fascista. Alle dure accuse il regista ha sempre ribadito di essere un liberale, concepito come lo intendeva il suo maestro di giornalismo Indro Montanelli.
A partire dagli anni 1980 Jacopetti abbandonò l'attività professionale: decise di viaggiare, e nel tempo libero dipingeva. Realizzò con la televisione giapponese alcuni documentari e, quando tornò in Italia, risiedette nella sua casa di Roma, città nella quale morì il 17 agosto 2011. È stato sepolto nel cimitero degli inglesi, a Roma[14], dove riposa anche l'attrice britannica Belinda Lee (1935-1961), morta mentre era in attesa di un figlio da Jacopetti.
Secondo Franco Prosperi, fu Gualtiero Jacopetti a scattare le foto al corpo di Benito Mussolini a Piazzale Loreto[15]. Jacopetti invece, in un'intervista rilasciata a Tatti Sanguineti, sostiene che a scattare quella foto fu Fedele Toscani.[16]
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