Grotta di Patone
area protetta in provincia autonoma di Trento Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La grotta di Patone o anche chiamata bus del Diaol ("buco del diavolo") è una grotta orizzontale, che si trova nei pressi di Arco in Trentino. La grotta ha anche altre nomi: bus del Nigol, caverna alla 1ª Gana, grotta di Ceniga e grotta di Arco.
Grotta di Patone | |
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L'ingresso della grotta | |
Stato | |
Regione | Trentino-Alto Adige |
Provincia | Trento |
Comune | Arco |
Altitudine | 300 m s.l.m. |
Profondità | ca. 800 m |
Altri nomi | Bus del Diaol, bus del Nigol, caverna alla 1ª Gana, grotta di Ceniga e grotta di Arco |
Coordinate | 45°56′17.63″N 10°54′31.86″E |
È una grotta orizzontale, ovvero con un dislivello limitato, ma con un'estensione in lunghezza di circa 800 metri.[1]
Il toponimo bus del Diaol ("buco del diavolo") è dovuto al fatto che le antiche popolazioni che abitavano la valle erano spaventate dall'acqua che fuoriusciva dalla grotta, e quindi ritenevano la grotta un'opera del diavolo, da qui il curioso nome.[1]
Per raggiungere la grotta bisogna raggiungere sulla strada statale 45 bis Gardesana Occidentale, a nord di Arco, la località La Moletta, nei pressi di San Martino a Patone, a una altezza di 225 metri. Lungo la strada, nei pressi del maso delle Giare, si trova una cava di ghiaia. Si intraprende un sentiero non comodo, ripido e franoso, che termina risalendo il letto di un ex-torrente; dopo mezz'ora si arriva all'ingresso della grotta (circa 300 metri s.l.m.).[1]
Per visitare la grotta è consigliato essere accompagnati da uno speleologo, o comunque avere una certa esperienza di grotte.
La visita dura 2-3 ore, più il tempo per liberare il sifone (generalmente 2-3 ore).[2]
La grotta si trova sul fianco occidentale del monte Stivo. L'ingresso della grotta è molto ampio, molto simile ad una gigantesca bocca aperta, e si sviluppa interamente nei calcari del Lias.
La grotta ha 5 sifoni, che la suddividono in due tronconi, di cui il secondo è accessibile solamente dopo aver liberato il 3º sifone dalla sabbia. La nascita della grotta è dovuta al fatto che da essa fuoriusciva un torrente, ora asciutto.
Per entrare nella grotta bisogna subito scendere un masso di 2 metri, magari utilizzando una scaletta, e poco dopo oltrepassare il primo sifone, quasi sempre aperto. Qui, procedendo, si raggiunge un cancelletto. Il primo troncone ha una lunghezza di 350 metri e termina con il 3º sifone, generalmente ostacolato dalla presenza di sabbia, a meno che qualche visitatore non vi sia già passato di recente. Questo sifone si trova ad una quota di -21 metri dall'ingresso, il punto più basso dell'intera grotta.
Per arrivare all'inizio del secondo troncone è quindi possibile rimuovere la sabbia accumulatasi, utilizzando gli attrezzi che si trovano sul posto (pale e secchi), con un lavoro della durata media di 2-3 ore.
Una volta che si è riaperto uno stretto varco, ci si può infilare nel secondo troncone, che è molto più affascinante del primo. Questo troncone ha uno sviluppo di circa 500 metri e termina nel 5º sifone ricoperto totalmente da sabbia. In passato il gruppo grotte della SAT di Arco ha fatto sondaggi e scavato per cercare di scoprire dove andasse a finire la grotta ma senza risultato. Sembra infatti che questo 5º sifone sia particolarmente lungo e dalle voci degli esperti potrebbe finire in un grande salone finora inesplorato. [senza fonte]
L'anno della scoperta della grotta non è noto e neanche il suo primo scopritore. Storicamente è soltanto annotato in uno scritto di Vincenzo Zucchelli, il quale visitò, insieme ad alcuni amici, la grotta il 27 dicembre 1885. Sono anche datate altre esplorazioni negli anni successivi, fino a che anche alcuni studiosi, tra cui Battisti e Trenner, alla fine dell'ottocento se ne interessarono. Dagli studi si passò anche a guide turistiche, fino al suo primo rilievo nel periodo tra il 1925 e il 1938.[1]
Per accedere al secondo troncone, il Gruppo Grotte di Rovereto nel 1932 ideò un semplice sbarramento fatto di assi di legno e procedette a svuotare il sifone, cosicché fu possibile esplorare il secondo troncone. Questo sbarramento non resistette a lungo e nel 1960 il Gruppo Grotte della SAT di Arco dovette ricostruirlo, utilizzando questa volta il cemento armato. L'intervento non riuscì a risolvere il problema, infatti ancora oggi la sabbia si riversa nel sifone, rendendolo normalmente impercorribile, se non viene svuotato.[1][3]
Tra il 1976 e il 1977 si verificarono copiose piogge, specie nelle stagioni autunno inverno, che provocarono completi allagamenti della grotta.[1]
Nel gennaio 1999, dopo abbondanti precipitazioni piovose, all'interno della grotta si sono trovati resti di gasolio, con tutta probabilità provenienti dalla cava sottostante. Il problema non si è più verificato. La grotta risulta comunque a rischio a causa dell'avanzamento della cava stessa.[4]
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