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politico italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giulio Rodinò di Miglione (Napoli, 10 gennaio 1875 – Napoli, 16 febbraio 1946) è stato un politico italiano.
Giulio Rodinò di Miglione | |
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Deputato del Regno d'Italia | |
Legislatura | XXIV, XXV, XXVI, XXVII |
Gruppo parlamentare | Popolare, Democristiano |
Circoscrizione | Napoli |
Collegio | XI |
Sito istituzionale | |
Ministro della Guerra | |
Durata mandato | 21 maggio 1920 – 15 giugno 1920 |
Presidente | Francesco Saverio Nitti |
Durata mandato | 2 aprile 1921 – 4 giugno 1921 |
Presidente | Giovanni Giolitti |
Ministro di grazia e giustizia | |
Durata mandato | 4 luglio 1921 – 26 febbraio 1922 |
Presidente | Ivanoe Bonomi |
Dati generali | |
Partito politico | Partito Popolare Italiano (1919), Democrazia Cristiana dal 1943 |
Titolo di studio | Laurea in Giurisprudenza |
Professione | Avvocato |
Fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano (1919) e della Democrazia Cristiana (1942).
La sua formazione politica attinse all’opera e al pensiero di Giuseppe Toniolo e di Filippo Meda, per cui fu moderatamente favorevole alla partecipazione elettorale dei cattolici italiani, pur nel rispetto del non expedit. Seguendo questa linea nel 1901 fu eletto consigliere comunale a Napoli e nella città partenopea, più volte rieletto fino al 1913, ricoprì anche incarichi assessorili. Si candidò alle elezioni politiche, senza successo, già nel 1903 e nel 1909.
Fu poi deputato ininterrottamente dalla XXIV (1913) alla XXVI (1926) legislatura del Regno d'Italia. Fu favorevole all’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale; il 20 febbraio 1918 dichiarò alla Camera che «i sentimenti vibranti di fede e di devozione» patriottica dei cattolici italiani riconoscevano i «doveri che c’impone la concordia nazionale [...] nel nome santo della Patria»[1].
Ministro della guerra nel secondo gabinetto Nitti (1920) e nel quinto governo Giolitti (1921); in seguito fu Ministro di grazia e giustizia nel Governo Bonomi I (1921-22).
Eletto nella XXVII legislatura, si dimise per protesta da vice presidente della Camera nel 1925; decadde poi dal mandato parlamentare per deliberazione della Camera, il 9 novembre 1926. Durante il Ventennio non svolse attività pubblica.
Fu poi ministro senza portafoglio nel Governo Badoglio II (1944) e vicepresidente del Consiglio dei ministri nel Governo Bonomi III, dal dicembre 1944 al giugno 1945.
Membro della Consulta Nazionale dal suo insediamento sino alla prematura scomparsa, il 16 febbraio 1946[2].
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