Gaspare Murtola
poeta italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Gaspare Murtola, o Gasparo Murtola (Mùrtola; Genova, 1570 circa – Corneto, 1624), è stato un poeta e scrittore italiano. La sua fama è rimasta in gran parte legata ai colpi di pistola da lui sparati contro Giambattista Marino, conclusisi senza danni per entrambi, e in seguito ai quali Marino scrisse i sonetti della Murtoleide, a cui Murtola volle a sua volta rispondere con la sua Marineide, indirizzata naturalmente al rivale, Marino.
Nonostante sia lirico estremamente discontinuo e sia stato accusato dal Marino di essere uno scrittore sciatto e poco preparato, il Murtola, dopo essersi brillantemente laureato in legge e aver intrapreso la carriera ecclesiastica, si dedicò intensamente alla scrittura, apparentemente con un certo successo. Fu latinista non disprezzabile, e in latino scrisse, tra altre cose, alcune fortunate Neniae ad imitazione di quelle del Pontano. Fece parte di varie Accademie; fu tra l'altro accademico Insensato (col nome di "Scioperato") e accademico Filopono di Faenza.
Ebbe il suo primo incarico importante, a Roma, come segretario del chierico di camera Iacopo Serra, che seguì poi per qualche tempo in Ungheria. Già a Roma (1600) conobbe il Marino, come testimonia un sonetto che il genovese si scambiò col napoletano (leggibile nella Lira di quest'ultimo, 1614).
Passò quindi a Torino, alla corte di Carlo Emanuele I, assumendo il prestigioso incarico di segretario del duca.
C'è da supporre che i dissapori col Marino fossero già cominciati a Roma, dal momento che solo un mese dopo l'arrivo di quest'ultimo a Torino, agli inizi del 1608, il Murtola, timoroso di essere scalzato nei favori del duca, gli dedicava (come si suppone) i sonetti satirici del Lasagnuolo di Monna Betta, ad imitazione di quelli con cui Annibal Caro aveva accompagnato la sua Apologia contro Ludovico Castelvetro.
A questi primi sonetti seguìrono quelli della Marineide, Risate, in cui il Marino era fatto segno di grossolane accuse di immoralità, ateismo, sodomia e quant'altro. Alle rime del Murtola il Marino rispose con le spiritose Fischiate della Murtoleide.
Esasperato dalla contesa, perdente sulla qualità del piano letterario e umiliato dal conferimento al Marino della croce dei SS. Maurizio e Lazzaro (l'11 gennaio 1609), il Murtola attentò alla vita del rivale (il 2 febbraio dello stesso anno): sorpresolo in via della Dora Grossa (attuale via Garibaldi), nei pressi della piazza del Castello, mentre si trovava in compagnia dell'amico Francesco Aurelio Braida, il Murtola gli sparò diversi colpi di pistola. Mancò il bersaglio, ma l'innocente Braida rimase colpito in maniera non lieve.
«Domenica passata, che fu il primo di febbraio, vigilia della Purificazione della santissima Vergine, giorno per me sempre memorabile, su la strada maestra presso la piazza publica, poco innanzi alle ventiquattro ore, mentre ch'io di lui non mi guardava, mi appostò con una pistoletta carica di cinque palle ben grosse, e di sua propria mano molto da vicino mi tirò alla volta della vita. Delle palle tre ne andarono a colpire la porta d'una bottega che ancora se ne vede segnata; l'altre due mi passarono strisciando su per lo braccio sinistro e giunsero a ferire il Braida nel fianco (giovane virtuoso, ben nato e mio parziale amico, il quale mi era allora a lato e veniva meco passeggiando), talché piaccia a Dio che la scampi.»
Incarcerato, fu graziato dopo non molto, per intercessione del nunzio pontificio, per bontà di Carlo Emanuele I e per le pressioni dello stesso rivale. Nonostante l'esito complessivamente infelice, i ripetuti attacchi del Murtola, insieme alle manovre di Tommaso Stigliani, non mancarono di sortire l'effetto sperato: proprio in quel 1609 l'Inquisizione aperse una pratica sul Marino, ma si trattava non di comportamenti immorali, come molta letteratura ottocentesca interpretava, ma sulle posizioni religiose.
Il Murtola, ovviamente licenziato dalla corte (mentre il Marino gli subentrava come segretario del duca), si trasferì a Roma, dove, amorevolmente accolto da Paolo V, ricevette molti uffici, tra cui il governatorato di Montefiascone.
Il carattere impervio dell'intellettuale genovese risalta dalle dichiarazioni che rilasciò a proposito dell'attentato. A caldo sostenne, di fronte agli inquirenti, che non avrebbe esitato a sparare al Marino quando fosse stato pure in compagnia dello stesso duca. Secondo un aneddoto riportato da Giovanni Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, Venezia 1746, quando poi obbedì all'invito di Paolo V e si fece ricevere, richiesto dal pontefice di presentarsi, avrebbe risposto: "Sono il Murtola". "Quel che tirò l'archibusata al cavalier Marino?", gli chiese il papa. "Beatissimo Padre sì, io son quel che falii" - "e così disse due verità in una sola risposta".
Una delle ultime cose che si sanno della sua vita riguarda una denuncia che ebbe da un'ostessa, per averla maltrattata e averle dato della "porca poltrona", segno che la volgarità contrassegnava anche la sua lingua.
Tra le diverse opere che diede alle stampe spicca per la sua ambiziosità (e anche per essere stata bersagliata dagli strali satirici del Marino) il poema sacro Della creazione del mondo, in 16 canti in ottave. L'opera appartiene ad un sottogenere letterario ben individuato, filiato dall'Esamerone di Sant'Ambrogio, che in quel torno d'anni era piuttosto in voga (l'anno seguente uno dei più significativi precursori della moda marinista, Angelo Grillo, pubblicò un suo L'Essamerone overo l'opera de' sei giorni, Venezia 1609). Il Murtola aveva come immediati precedenti il capolavoro di quel sottogenere, La Semaine del poeta francese Du Bartas (nel 1592 ne era stata stampata la traduzione italiana, a cura di Ferrante Guisone, molto ben presente anche al Marino) e il poema in versi sciolti Il mondo creato di Torquato Tasso. In questo poema il Murtola parafrasa ampiamente i primi capitoli della Genesi, ma con persistenti, quasi ossessivi, inserti encomiastici ai Savoia.
Se nel poema si mostra ancora saldamente ancorato ai modelli attardati del manierismo, la produzione lirica appare più aggiornata al gusto barocco. Essa in gran parte consiste in due raccolte, Canzonette (Venezia 1609, ma contiene componimenti in vari metri), e Le pescatorie (1618). La prima riunisce senza ordine sonetti e madrigali nello stile di moda; a parte alcuni componimenti che ricordano le anacreontiche del Chiabrera, in particolare sonetti e canzoni sono caratterizzati dallo stesso gioco di antitesi e metafore propri del marinismo; le Pescatorie costituiscono poi una sorta di unica, mostruosa metafora continuata, tutta giocata -- con i 482 sonetti che la costituiscono -- sul tema marittimo-galante degli amori del poeta con la ninfa Elpinia.
La stessa produzione latina (Nutriciarum libri tres, Macerata 1618; i componimenti del Murtola sono pubblicati insieme a quelli ispiratori del Pontano) è frutto dell'imitazione di un autore di culto per i marinisti, non per i "classicisti" seguaci del Chiabrera; in effetti i marinisti erano molto sensibili alla lezione dei poeti e degli scrittori del XV secolo, anche latini (il marinista Alessandro Adimari tradusse in versi italiani le Neniae del Pontano). Per queste ragioni, come pure l'altro famoso rivale del Marino, Tommaso Stigliani, il Murtola dev'essere considerato un marinista.
Perduti sono alcuni scritti in prosa contro il Marino, dopo l'11 gennaio 1609 in cui il rivale fu fatto cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro; perduto anche l'Epilogo della vita del Marino, seguente all'attentato.
«GASPARO MVRTOLA, non men chiaro per le Lauree del Dottorato, che della Poesia, s'acquistò con le sue belle doti gli animi di molti Prelati di S. Chiesa; e fu da Paolo V. Som. Pont. impiegato in molti Governi di consideratione, quali tutti amministrò con prudenza, e valore. Fiorì nel 1600., e scrisse abbondantemente così in Prosa, come in Verso, mostrandosi ne' suoi componimenti copioso d'inventioni, sententioso nel dire, e morale nelle sentenze, si come dimostrano le opere da lui pubblicate alle stampe, etc.»
«Il marittimo Murtola-. Ma nel '600 ognuno faceva di più, e anche questa ittiologia [il riferimento è al componimento La greggia del mare di Tommaso Stigliani] da un altro avversario del suo [dello Stigliani] avversario, da quel Gasparo Murtola che ha sulla coscienza poco meno di cinquecento sonetti, in cui esprime i propri casi per la crudeltà di Elpina, paragonandoli alle qualità dei pesci; sforzo d'ingegnosità e sfoggio di dottrina, quale anche il Marino vedemmo di piacer di mostrare nella poesia. Chi legge una volta queste "Pescatorie" e non le rilegge poi di frequente (dice l'editore di esse) mostra di non avere buon gusto; non so se noi sfuggiamo al biasimo perché proprio tutte quante non le abbiamo lette neppure quella prima volta! È curioso tuttavia come questo genovese sentisse il fascino marittimo: per rappresentazione scenica non sa congegnare che la "Creazione della Perla", e se fa un idillio, ecco Arione a cavallo d'un delfino, con seguito di lucci, cefali, orate et similia, confortare un conte savonese, confinatosi nel grigio e angusto scoglio di Bergeggi, presso a Spotorno»
Controllo di autorità | VIAF (EN) 7663045 · ISNI (EN) 0000 0001 2374 8108 · SBN LO1V090117 · BAV 495/232914 · CERL cnp00405831 · Europeana agent/base/138314 · LCCN (EN) n87903165 · GND (DE) 119392704 · BNF (FR) cb150091020 (data) |
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