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museo italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Palazzo Abatellis è un antico palazzo nobiliare situato a Palermo in via Alloro, arteria principale del quartiere della Kalsa. È sede dal 1954 della Galleria Regionale della Sicilia che espone una delle maggiori raccolte d'arte d'Italia e testimonia lo sviluppo della cultura figurativa in Sicilia dal XII al XVII secolo con opere di importanti artisti che si formarono o lavorarono più o meno a lungo sull'isola (quali Antonello da Messina, Francesco Laurana, Antonello Gagini, Antoon Van Dyck, Pietro Novelli, Giacomo Serpotta), oltre ad esporre opere di notevoli artisti non di area siciliana (quali il Mabuse, Bronzino, Vasari). La Galleria è nota per ospitare alcuni capolavori che costituiscono autentiche icone della storia dell'arte Occidentale (come l'Annunciata di Antonello da Messina e il Trionfo della morte), nonché per l'allestimento di Carlo Scarpa, considerato un capolavoro assoluto della museografia del XX secolo.
Galleria Regionale della Sicilia Palazzo Abatellis | |
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Il portale principale del palazzo. | |
Ubicazione | |
Stato | Italia |
Località | Palermo |
Indirizzo | Via Alloro 4, 90133 Palermo |
Coordinate | 38°07′00″N 13°22′16″E |
Caratteristiche | |
Tipo | Arte medievale, arte rinascimentale |
Visitatori | 45 660 (2022) |
Sito web | |
Il palazzo del 1495, opera di Matteo Carnilivari[1] all'epoca attivo a Palermo in cui attendeva ai lavori di palazzo Ajutamicristo, e splendido esempio d'architettura gotico-catalana, era la residenza di Francesco Abatellis (Patella o Albatelli o Abbatelli, corrotto in Abatellis), maestro Portolano del Regno.[2][3][4]
Di origini lucchesi l'Abatellis, al servizio di re Ferdinando II d'Aragona, fu nominato Prode Capitano indi trasferito a Palermo ove ricoprì la carica di Gran Siniscalco e di Pretore per tre successivi incarichi nel periodo a cavallo il 1486 e il 1495.[5][3] In città, coi proventi accumulati in terra iberica, edificò un palazzo vicino al convento di Santa Maria degli Angeli detto la Gancia.[6] Vedovo di una nobile spagnola, sposò una cittadina palermitana, ma nessuna delle due consorti diede alla luce un erede, pertanto l'Abatellis, dispose che il palazzo rimanesse alla seconda moglie, e che alla morte di essa, le strutture ospitassero un monastero di donne intitolato a «Santa Maria della Pietà» e amministrato secondo la regola dell'Ordine benedettino.[2][7]
Delle disposizioni testamentarie fu disattesa la tipologia dell'ordine atto a governare l'istituzione: infatti il 19 maggio 1526[8] un gruppo di religiose dell'Ordine domenicano, provenienti dal monastero di Santa Caterina, si trasferì nel palazzo. Furono necessari numerosi adattamenti per renderlo adeguato alle esigenze della vita monastica, e come si può vedere da una pianta pubblicata dal Filippo Meli in Matteo Carnelivari e l'architettura del quattro e cinquecento in Palermo, le diverse ali furono frazionate per realizzare celle e corridoi. All'esterno le finestre furono modificate e furono tolte le colonnine intermedie e, a volte, anche alcuni elementi decorativi. Nel 1553 il palazzo fu denominato monastero del Portolano.[9]
Per le esigenze della comunità religiosa fu necessaria l'edificazione di una cappella costruita sul lato sinistro del palazzo occultando uno dei prospetti. Questa cappella fu eretta negli anni 1535 - 1541 dall'architetto Antonio Belguardo e prese il nome di chiesa di Santa Maria della Pietà. Il luogo di culto presentava il prospetto rivolto a settentrione e l'altare a mezzogiorno, in un'area adiacente alla porta antica del Palazzo.[8]
Nel XVII secolo con la costruzione di una chiesa più grande (l'odierna chiesa di Santa Maria della Pietà)[10] con ingresso principale su via Butera, la cappella fu abolita e suddivisa in diversi vani, la parte anteriore con l'ingresso su via Alloro fu adibita a parlatorio[8] mentre nella parte retrostante fu realizzata una porta di accesso nel muro dell'abside, tolto l'altare e tramutata in magazzini. Con l'emanazione delle leggi eversive il monastero fu tuttavia mantenuto, in via straordinaria, alle religiose domenicane.
Durante la notte tra il 16 e il 17 aprile 1943, il palazzo fu colpito durante un bombardamento aereo del secondo conflitto mondiale, evento che determinò il crollo parziale dell'ala sud - occidentale e della parete della torre ovest.
Finita la guerra si decise di provvedere al suo restauro e di trasformare il palazzo in "Galleria d'Arte per le collezioni d'arte medievale". Prima di questa sede le opere facevano parte della Pinacoteca della Regia Università e, dal 1866 in poi, delle collezioni del museo archeologico regionale «Antonio Salinas».
La Soprintendenza ai Monumenti affidò quindi all'architetto Mario Guiotto e successivamente all'architetto Armando Dillon i lavori di consolidamento e di restauro. Furono tolte le superfetazioni e furono ricostruiti il portico, la loggia e il salone centrale di cui era crollato il soffitto. Questi lavori furono ultimati a metà 1953 e fu allora chiamato Carlo Scarpa per curare l'allestimento e l'arredamento della Galleria che venne aperta al pubblico il 23 giugno del 1954. Scarpa realizzò anche diversi adattamenti di questi restauri per le necessità dell'allestimento.
Nel 1977 le competenze dei beni culturali passarono alla Regione Siciliana e la Galleria divenne regionale.
Il 4 febbraio 2008 il museo è stato temporaneamente chiuso per effettuare lavori di restauro cofinanziati dal fondo FESR dell'Unione Europea[11], e il 12 novembre 2009 è stato riaperto. Conservando il lavoro di Scarpa, sono state riviste e create nuove ali (le nuove sale verdi e rosse) ai piani superiori compresa una terrazza sul tetto.
«Un capolavoro. La miglior ambientazione di museo che mi sia mai capitato di incontrare in tutta la vita.»
Edificio a pianta rettangolare con cortile interno, costruito con pietre d'intaglio e torre angolare,[3] si sviluppa su due livelli raccordato da due scale scoperte che si fronteggiano e da un magnifico loggiato a due ordini con archi a sesto ribassato al piano terra e archi a tutto sesto al piano superiore.
Il portale d'ingresso, sebbene maestoso e lineare, incastonato tra le due torri merlate che spiccano dalla rigorosa costruzione, è delimitato da una cornice in pietra sormontata al centro da stemmi recanti le armi della famiglia Patella - Abatellis.[6] Il prospetto principale al piano nobile è decorato da raffinate trifore. Il cortile originariamente era lavorato in tufo così come l'ingresso e la torre, ad oggi tuttavia il palazzo rimane fortunatamente uno dei palazzi tardo-medievali meglio conservati dell'Italia meridionale e fortunatamente non rimaneggiato in epoca barocca come spesso è avvenuto tra XVII e XVIII secolo, tale stato di conservazione permette di capirne bene le forme e la struttura e di avere un grado di approssimazione minimo per ricostruirne la storia e lo stile
Nelle sale della galleria hanno trovato posto le opere provenienti da acquisizioni, donazioni e anche degli incameramenti dei beni degli enti religiosi soppressi nel 1866.
Al piano terra si trovano, fra i tanti manufatti tutti d'altissimo livello qualitativo: le opere lignee ad intaglio del XII secolo e le sculture del Trecento e del Quattrocento fra cui alcune di Antonello Gagini come l'Annunciazione e Ritratto di giovinetto, di Domenico Gagini come la Madonna del latte, le maioliche dipinte a lustro metallico dei secoli XIV e XVII, il Busto di gentildonna di Francesco Laurana (XV secolo) conosciuta come Eleonora d'Aragona, di forme elette e di plastica sodezza e le tavole dipinte di soffitti lignei.
Nella sala II, si trova lo straordinario grande affresco del Trionfo della Morte (databile con ogni probabilità agli anni 1445 e seguenti), proveniente da Palazzo Sclafani è esposto nella ex-cappella con una illuminazione dall'alto di grande impatto visivo. La morte, su un cavallo scheletrico, irrompe in un giardino e semina scompiglio con frecce letali tra giovani gaudenti e nobili donzelle, dopo aver seminato le gerarchie terrene, laici e religiosi, papi e imperatori, i cui corpi ormai giacciono esanimi, risparmiando quasi per beffa il gruppo di miserabili e derelitti che pure la invoca.
Al primo piano l'opera di maggior rilievo è, senza dubbio, l'Annunziata di Antonello da Messina (XV secolo). Opera di assolutezza formale, considerata un'autentica "icona" del rinascimento italiano, è collocata nella sala X conosciuta come sala dell'Antonello. La Vergine è colta nell'istante supremo dell'Annunciazione (l'angelo le sta di fronte ma è invisibile). Il gesto della mano, il trapezio del manto, la politezza delle forme e lo sguardo magnetico, esaltano la figura restituendole una astratta bellezza. Nella stessa sala, a fianco ad essa sono collocate altre opere di Antonello: le tavole con le immagini di tre Dottori della Chiesa che costituivano le cuspidi di un polittico andato disperso.
Prima di accedere alla sala dedicata ad Antonello, nel percorso espositivo del piano nobile della Galleria Regionale si possono ammirare l'"Ultima Cena" del pittore catalano Jaume Serra, il "Salone delle croci", dove trovano posto la croce dipinta da Pietro Ruzzolone e quella del Maestro di Galatina e la collezione della pinacoteca di provenienza per la maggior parte da chiese e dai conventi della città, con opere quali la Madonna dell'Umiltà di Bartolomeo Camulio (sala VII) l'Incoronazione della Vergine di Riccardo Quartararo (sala XI) e i dipinti cinquecenteschi di Antonello Crescenzio.
La Sala XIII accoglie una serie pregevolissima di dipinti fiamminghi databili fra il XV e XVI secolo, la perla della raccolta è sicuramente il Trittico Malvagna di Jan Gossaert. Si tratta di un'opera miniaturista dove sono rappresentate una Madonna col bambino tra angeli, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Dorotea, mentre sul retro del pannello si trova lo stemma della famiglia dei Lanza. Altro capolavoro della sala fiamminga è la Deposizione di Jan Provost.
Nelle ultime sale (XV, XVI e XVII) di questo piano sono esposti dipinti di Vincenzo da Pavia, Jacopo Palma il vecchio, le tele a carattere mitologico quali Andromeda liberata da Perseo del Cavalier d'Arpino e Venere ed Adone di Francesco Albani e le opere più significative del Manierismo di marca Michelangiolesca, con dipinti di Giorgio Vasari (La caduta della manna, in due parti), Girolamo Muziano e Marco Pino.
I nuovi spazi museali (sala verde e sala rossa) si snodano su due piani, presentano una significativa raccolta del tardo manierismo siciliano, della pittura seicentesca e del realismo. La sala verde illustra opere del tardo manierismo di impronta controriformista, attraverso la produzione di artisti siciliani attivi a cavallo fra il cinquecento e il seicento: Giuseppe d'Alvino, Gaspare Bazzano e Pietro D'Asaro. Fra le altre opere più significative vanno citate San Francesco e l'Estasi di Santa Caterina di Filippo Paladini.
A concludere il percorso espositivo della sala verde, un capolavoro dell'oreficeria Palermitana del '600, la Sfera d'Oro, grande ostensorio in oro, argento dorato, smalti e diamanti, proveniente dalla Casa dei padri Filippini all'Olivella.
Nella sala rossa, al termine del percorso museale, assume grande rilevanza la componente Caravaggesca, con il francese Simon Vouet autore di Sant'Agata in carcere visitata da san Pietro, e con Amore dormiente del napoletano Battistello Caracciolo, ma anche una buona copia di ignoto, autore della Cena in Emmaus del Caravaggio, versione National Gallery di Londra.
Le opere principali di questa sala sono le tele di Antoon van Dyck: "Santa Rosalia incoronata dagli angeli", la "Madonna col bambino" e il "Compianto" a lui attribuito. Il pittore fiammingo che trovandosi a Palermo nei giorni terribili della pestilenza del 1624, propose una nuova iconografia e sicuramente influenzò nei decenni successivi l'opera di Pietro Novelli di cui citiamo i pregevolissimi Mosè, l'I ncoronazione di San Casimiro, San Pietro liberato dal carcere e la splendida pala d'altare denominata Comunione di Santa Maria Maddalena.
A seguire nella stessa sala, gli sviluppi della cultura figurativa del Seicento, fra le opere più importanti annoveriamo: tra gli stranieri, le tele del fiammingo Mathias Stomer e dello spagnolo Josepe Ribera detto lo "Spagnoletto", mentre fra gli italiani tele di rara bellezza sono La Maddalena di Andrea Vaccaro, il Tormento di Tycius di Cesare Fracanzano. La chiusura del percorso espositivo, è dedicata alla linea più marcatamente barocca che si dipana attraverso i dipinti di Mattia Preti, Agostino Scilla e Luca Giordano.
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