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Romanzo di Romana Petri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Figlio del lupo è un romanzo della scrittrice Romana Petri, pubblicato nel 2020 e ispirato alla vita dello scrittore Jack London.
Figlio del lupo | |
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Autore | Romana Petri |
1ª ed. originale | 2020 |
Genere | romanzo |
Sottogenere | biografico |
Lingua originale | italiano |
Figlio del lupo ha vinto nel 2020 il Premio letterario Giovanni Comisso[1], il Premio della Giuria nell'ambito del Premio letterario nazionale per la donna scrittrice[2] e il Premio Città di Penne - Mosca[3].
L'autrice ripercorre la vita del protagonista, ricorrendo molto spesso al flashback, ricostruendo dialoghi e sottolineando le molte contraddizioni, soprattutto ideologiche, di London. Legatissimo alla madre, alla sorella maggiore Eliza e al padre adottivo John London, il giovanissimo Jack non esitava a compiere i lavori più umili o a scrivere per denaro, per soccorrere i suoi cari sempre in difficoltà finanziarie. Quando gli arrise un successo assoluto, con Il richiamo della foresta, Romana Petri così si esprime:
«L'unico uomo buono di tutta la storia l'aveva chiamato John. Sapevano entrambi che il cognome Thornton era solo una convenzione.[4]»
Sul piano delle idee, il giovane scrittore era altrettanto preso dal socialismo quanto dalla teoria del Superuomo di Friedrich Nietzsche. Voleva inoltre diventare immensamente ricco per consentire a moltissime persone di avere presso di lui un buon posto di lavoro. A questo proposito Romana Petri scrive:
«Una sera, [...] si disse: "Jack, potresti essere un socialista che pensa a sé". Il superuomo di Nietzsche lo aveva convinto che gli uomini dovessero essere tutti uguali. Tutti tranne lui, che era meglio degli altri. Il socialismo era per le masse fragili che dovevano essere difese. Lui se la cavava da solo.[5]»
E più oltre:
«La teoria del superuomo sembrava dunque scritta per lui, un uomo più grande, più forte e più saggio di chiunque altro, pronto ad abbattere ogni ostacolo, a guidare le masse rese schiave verso la libertà. Fu la più magnifica delle sue contraddizioni. La lettura di Nietzsche lo rese per tutta la vita individualista e socialista allo stesso tempo.[6]»
Infine, sulla possibilità che Jack London sia morto suicida, l'autrice propende invece per una morte accelerata dall'alcool e dalle continue sfide cui egli si sottoponeva senza risparmio, ma nel complesso non voluta (diversamente da quanto avviene in Martin Eden). In ciò Petri ripercorre le ipotesi di altri studiosi, quali Clarice Stasz[7] e così presenta il fatto che preludeva alla morte di London, già molto malato:
«Riprese vita solo a ottobre, con l'apertura della caccia alle anatre. Non andò a caccia personalmente, ma ne mangiò molte, mandando all’aria ogni prudenza per la sua salute. Avvelenato com'era dall'uremia, quel regime alimentare equivaleva a un suicidio.[6]»
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