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orazione di Pericle tramandata da Tucidide Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'Epitafio (Ἐπιτάφιος, Epitaphios), conosciuto anche come Epitafio o Orazione funebre, è un'orazione funebre di Pericle pronunciata ad Atene alla fine del primo anno della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) come parte del funerale pubblico annuale per i caduti in guerra
Epitaffio | |
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Titolo originale | Ἐπιτάφιος |
Altri titoli | Epitafio Orazione funebre |
Busto di Pericle riportante l'iscrizione "Pericle, figlio di Santippo, Ateniese". Marmo, copia romana di un originale greco del 430 a.C. circa. | |
Autore | Pericle |
1ª ed. originale | 430 a.C. |
Genere | orazione |
Lingua originale | greco antico |
Ambientazione | Antica Atene |
Il discorso è riportato da Tucidide nel secondo libro della sua Storia della guerra del Peloponneso[1]. Possiamo essere ragionevolmente sicuri che Pericle abbia pronunciato il discorso nel mese di pianepsione (ottobre/novembre) del 430 a.C. Pericle ha lasciato un altro epitaffio nel 440 a.C. durante la Guerra di Samo.[2] Tucidide era estremamente meticoloso nella sua documentazione, tuttavia è possibile che elementi di entrambi i discorsi siano stati riportati nella sua versione.
L'Epitaffio si differenzia dalla forma consueta dei discorsi funebri ateniesi. David Cartwright lo descrive come "un elogio della stessa Atene ..."[3]. Il discorso glorifica i risultati di Atene, progettati per risvegliare gli spiriti di uno Stato ancora in guerra.
Il discorso incomincia elogiando l'usanza dei funerali pubblici per i morti. Pericle sostiene che chi parla dell'orazione ha l'impossibile compito di soddisfare, da un lato, i soci del defunto, che vorrebbero che le sue azioni fossero ingigantite, dall'altro tutti gli altri potrebbero provare un'esagerata gelosia e invidia[4].
Pericle incomincia lodando gli antenati degli ateniesi attuali, ricordando brevemente i domini da loro acquisiti. Parte, poi, dall'esempio di altre orazioni e saluti funebri ateniesi sulle grandi conquiste militari del passato:
«Quella parte della nostra storia che racconta le conquiste militari che ci hanno permesso i nostri vari possedimenti, o del giusto valore con cui noi o i nostri padri hanno derivato l'ondata di aggressione ellenica o straniera, è per me un tema troppo familiare ai miei ascoltatori per soffermarmici. Quindi lo passerò.»
Invece, Pericle propone di concentrarsi su:
Pericle decide così di lodare la guerra, glorificando la città per la quale sono morti i suoi concittadini ma, soprattutto, elogiando la sua forma di governo:
«Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensí di una cerchia più vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualsiasi campo si distingua, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d'altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per la sua oscura posizione sociale.»
Queste linee formano le radici del concetto di "giustizia uguale sotto la legge":
«Se guardiamo alle leggi, esse offrono uguale giustizia a tutti nelle loro differenze private ... se un uomo è in grado di servire lo stato, non è ostacolato dall'oscurità della sua condizione." La libertà di cui godiamo nel nostro governo si estende anche alla nostra vita ordinaria… noi non ci sentiamo urtati se uno si comporta a suo gradimento, né gli infliggiamo con il nostro corruccio una molestia che, se non è un castigo vero e proprio, è pur sempre qualche cosa di poco gradito[6].»
Il liberalismo di cui parla Pericle si estende anche alla politica estera ateniese:
«Apriamo la nostra città al mondo, e mai per atti alieni escludiamo gli stranieri da ogni opportunità di apprendere o osservare, anche se gli occhi di un nemico possono occasionalmente trarre profitto dalla nostra liberalità ...[7].»
Al culmine della sua lode ad Atene, Pericle dichiara:
«In breve, io dico che come città siamo la scuola della Grecia, mentre dubito che il mondo possa produrre un monarca che, dipendendo solo da se stesso, sia capace di fronteggiare tante emergenze, e sia onorato da una tale felice versatilità come l'ateniese[8].»
Infine, Pericle collega la sua lode della città ai morti ateniesi che sta celebrando:
«L'Atene che ho celebrato, solo l'eroismo di questi e dei loro simili l'hanno fatta ... nessuno di questi uomini ha permesso di essere tentato di innervosire il suo spirito né dalla ricchezza, con la sua prospettiva di futuro divertimento, né dalla povertà, con la sua speranza di un giorno di libertà per ritirarsi dal pericolo. No, rivolgere quella vendetta sui loro nemici era qualcosa di più che desiderare qualsiasi benedizione personale, e ritenendo che questo fosse il più glorioso dei pericoli, con gioia decisero di accettare il rischio ... Quindi, scegliendo di morire resistendo, piuttosto che vivere sottomessi, sono fuggiti solo di fronte al disonore ...[9].»
La conclusione sembra inevitabile:
«Perciò, dopo aver giudicato che essere felici significa essere liberi, [hanno capito che] essere liberi significa essere coraggiosi, cioè non rifuggire dai rischi della guerra[10].»
Pericle quindi si rivolge al pubblico e li esorta a vivere secondo gli standard stabiliti dai defunti:
«Così sono morti questi uomini come Ateniesi, voi, i loro sopravvissuti, dovete decidere di avere una risolutezza ineffabile sul campo, anche se potete pregare chi avrebbe potuto avere una fine più felice[11].»
Pericle termina con un breve epilogo, ricordando al pubblico la difficoltà del compito di parlare di più dei defunti. Il pubblico viene quindi congedato[12].
"Tommaso Moro, Thomas Hobbes, G.W.F. Hegel, Lord Macaulay, David Hume, Immanuel Kant, Friedrich Nietzsche e Max Weber, tra gli altri, considerarono l'epitaffio la massima espressione degli ideali della democrazia greca nel periodo del suo splendore"[13].
L'attore Paolo Rossi ha più volte recitato parti dell'Epitaffio di Pericle o presunte tali. Secondo Umberto Eco "il [...] discorso agli ateniesi è un classico esempio di malafede. All'inizio della prima guerra del Peloponneso, Pericle fa il discorso in lode dei primi caduti. Usare i caduti a fini di propaganda politica è sempre cosa sospetta, e infatti sembra evidente che a Pericle i caduti importavano solo come pretesto: quello che egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia, che altro non era che populismo [...]. Oggi diremmo che si trattava di un populismo Mediaset"[14].
Gli studiosi della guerra civile americana Louis Warren e Garry Wills hanno paragonato l'Epitaffio di Pericle al discorso di Gettysburg di Abramo Lincoln. Infatti, anche il discorso di Lincoln, come Pericle, incomincia con un riconoscimento ai predecessori ed esorta i sopravvissuti ad emulare le azioni dei defunti; focalizza, inoltre, tale emulazione al sistema democratico dell'Unione ("governo del popolo, dal popolo, per il popolo").[senza fonte]
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