Elettrodo di riferimento
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Un elettrodo di riferimento è un elettrodo che presenta un potenziale di elettrodo ben determinato e stabile, indipendente dall'intensità di corrente che attraversa la cella elettrochimica in cui è inserito.[1] Si dice a tale proposito che l'elettrodo di riferimento è "idealmente non polarizzabile": per ottenere ciò, ossia per rendere trascurabile il passaggio di corrente attraverso tale elettrodo, esso deve essere inserito in un circuito ad alta impedenza[2].

1) elettrodo di lavoro
2) elettrodo ausiliario
3) elettrodo di riferimento.
Gli elettrodi di riferimento sono utilizzati per la misura del potenziale elettrochimico a partire dal potenziale di cella, che è pari alla differenza di potenziale tra l'elettrodo di lavoro e l'elettrodo di riferimento.
Esempi di elettrodi di riferimento
I più comuni elettrodi di riferimento sono:
- L'elettrodo normale a idrogeno (E = 0,000 V);
- L'elettrodo a calomelano;
- L'elettrodo rame | solfato di rame (II) (E = -0,318 V);
- L'elettrodo palladio | idrogeno
- L'elettrodo ad Ag/AgCl.
- Elettrodo rame/solfato di rame
- Elettrodo Ag/AgCl
Requisiti degli elettrodi di riferimento
La stabilità degli elettrodi di riferimento è solitamente ottenuta utilizzando un sistema redox i cui costituenti sono a concentrazione costante.
La costanza della concentrazione della soluzione elettrolitica nella quale è immerso l'elettrodo di riferimento è in genere assicurata utilizzando:
- un setto poroso per separare le due semicelle, garantendo al tempo stesso il passaggio delle cariche;[3]
- un sistema tampone o una soluzione satura) per evitare che la soluzione vari il proprio pH.
Altro requisito essenziale degli elettrodi di riferimento è l'essere non polarizzati.[4]
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
Collegamenti esterni
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