Donna di Ostuni
scheletro del paleolitico rinvenuto a Ostuni in Italia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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scheletro del paleolitico rinvenuto a Ostuni in Italia Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La donna di Ostuni è uno scheletro umano femminile scoperto nel 1991 in una grotta presso il Parco archeologico e naturalistico di Santa Maria D'Agnano, a pochi chilometri da Ostuni, identificato con il codice Ostuni 1. Lo scheletro, risalente a circa 28.000 anni fa, è quello di ventenne gravida, rinvenuto con la mano destra appoggiata sul ventre, quasi a protezione del feto. Il reperto è conservato presso il Museo di civiltà preclassiche della Murgia meridionale.
Allo scheletro è stato assegnato popolarmente il nome di Delia.[1][2]
Lo scheletro è stato scoperto nell'ottobre del 1991 dal paletnologo Donato Coppola nella grotta di Santa Maria d'Agnano, a pochi chilometri dal centro di Ostuni. La donna, nello stato terminale della gravidanza, era stata adagiata con cura all'interno della voragine che si apre sulle pendici della collina che domina Ostuni. La grotta, successivamente ribattezzata "della maternità", presenta tracce di utilizzi stratificati e di culti che dal Paleolitico superiore si sono protratti fino al XVII secolo. La donna era stata adagiata in posizione fetale sul fianco sinistro; il braccio di questo lato era ripiegato sotto la testa e il destro appoggiato sul ventre, quasi a protezione del suo bambino mai nato.
La composizione della salma denota una pietas non usuale, probabilmente diffusa tra le popolazioni Cro-Magnon della zona.[3][1] L'analisi al radiocarbonio, realizzata nel 1992 dal "Centre des faibles radioactivités" di Gif-sur-Yvette in Francia, aveva inizialmente determinato che lo scheletro fosse vecchio di circa 24.410 anni.[4] Successivi studi hanno appurato che la donna di Ostuni visse nel periodo compreso tra 27.810 e 27.430 anni fa.[5]
Nei pressi della sepoltura di Ostuni 1, è stata rinvenuta un'altra tomba, contenente uno scheletro mal conservato e di sesso non identificabile. A questi resti è stato assegnato il codice di Ostuni 2.[5]
La morfologia dello scheletro femminile lascia intendere che la donna avesse circa vent'anni, fosse alta circa un metro e settanta centimetri e muscolosa.[6] Le cause del decesso sono ignote ma si ipotizza che Delia, incinta di otto mesi, sia morta per una complicanza severa della gravidanza, l'eclampsia.[7] Nei due mesi e mezzo precedenti la morte la donna aveva avuto gravi problemi di salute ma l'ipotesi che fosse malnutrita non sembra probabile, considerando che la zona di ritrovamento, all'epoca, era ricca di prodotti della terra e di animali.[6]
Il corpo è stato composto con grande cura, adornato di gioielli. Vicino al corpo sono stati ritrovati i resti di animali usualmente cacciati dalla sua tribù e strumenti di uso quotidiano in pietra.[3] Vicino al polso destro sono state trovate alcune conchiglie forate quali Ciprea, Cyclope, Trivia e Columbella, sicuramente ciò che rimane di un braccialetto. La testa era adornata con una cuffia tinta di ocra rossa e composta da conchiglie, probabilmente del genere Columbella rustica e denti di cervo. Altri denti, questa volta di cavalli e bovini sono stati ritrovati nei pressi del corpo.[8]
Appena rinvenuto lo scheletro sarebbe stato battezzato "Delia" dal suo scopritore, Donato Coppola, come omaggio alla donna che sarebbe diventata sua moglie,[1] anche se egli ha affermato che la sepoltura sia sempre stata da lui chiamata solamente Ostuni 1 e che qualsiasi altro nome sia un'invenzione giornalistica.[9]
L'analisi dello scheletro del piccolo, identificato con il codice Ostuni 1b, si è rivelata un'eccezionale opportunità per studiare lo sviluppo prenatale nel paleolitico, considerando che il ritrovamento di un feto di tale periodo preistorico così ben conservato è un evento molto raro.[5]
Gli esami compiuti sugli anelli di accrescimento di alcuni denti del feto con l'ausilio del sincrotrone di Trieste, hanno permesso di determinare con quasi assoluta certezza il periodo di gestazione compreso tra le 31 e le 33 settimane. Gli anelli di accrescimento, in numero totale di 108, hanno evidenziato una sofferenza fetale e tre episodi di stress distribuiti negli ultimi due mesi e mezzo di gestazione, la cui causa, tuttora ignota, è stata con buona probabilità, il motivo della morte della donna e di suo figlio.[5]
La conformazione ossea di Ostuni 1b a 33 settimane di gestazione lascia intendere che nel paleolitico lo sviluppo fetale fosse più veloce di quello moderno, anche se non è escluso che i tre episodi di stress registrati abbiano accelerato lo sviluppo del bambino oppure abbiano ritardato la formazione degli anelli di accrescimento dei denti; in quest'ultimo caso il periodo di gestazione calcolato in 33 settimane potrebbe essere stato sottostimato.[5]
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