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Il domino (plurale domini o domino)[1] o dominò è una veste consistente in un lungo mantello o in una tunica con cappuccio, simile alle cappe di alcuni ordini religiosi ma con maniche e maschera per il viso. Tradizionalmente di seta e di colore nero,[2] è un tipico travestimento carnevalesco diffusosi in tutta Europa a partenza dalla tradizione italiana. Domino è detta per metonimia anche la persona che indossa la maschera.[1]
Il nome del domino appare chiaramente legato al sostantivo latino Dominus («Signore») e parrebbe derivare dall'espressione benedicamus Domino («benediciamo il Signore»), vestigio dell'origine religiosa del costume. Il termine si ritiene penetrato in italiano attraverso il francese,[1] intermediazione di cui reca traccia fonetica la variante dominò. Sempre dal francese deriva l'estensione del nome dalla maschera all'omonimo gioco, detto jeu de dominos («gioco di domini») per via del colore nero che accomuna la veste tradizionale e il retro delle tessere.[1]
Il domino era in origine la veste di alcuni ordini monastici, particolarmente spagnoli e italiani,[2][3] i cui membri usavano con esso proteggersi dalle intemperie nei mesi invernali.[4] Dal XVI secolo in poi fu adottato nella mondanità, definendo gradualmente la propria forma fino all'Ottocento e assumendo funzione di travestimento nei balli in maschera, nel veglione, nel carnevale.[2][5]
Nel XVIII secolo il domino iniziò a essere vivacemente decorato di nastri, pizzi, fiocchi, fiori, toppe, lacci, falpalà e simili ornamenti, e rimase stabilmente in voga come travestimento sia maschile sia femminile.[2][3][4] La tendenza alla decorazione del costume raggiunse il suo apice nel secolo seguente, adattandosi alla moda dell'epoca. Dalla prima metà dell'Ottocento il domino si presenta chiuso anteriormente, in genere con cappuccio rimovibile. In tale forma si è conservato nella sua funzione di maschera carnevalesca.[6]
Il domino tradizionale è di seta,[4] talvolta in parte di velluto, così come i suoi accessori. Il colore originario è il nero, ma a partire dallo stile rococò si diffusero altre tinte come il bianco, il verde, l'azzurro, il rosa;[2] quest'ultimo, secondo quanto attestato in Germania da documenti d'epoca e opere figurative, fu uno specifico privilegio di classe della nobiltà berlinese.[6]
Il domino si è diffuso in tutta Europa dall'Italia e precisamente da Venezia.[6] In Russia, in passato, fu l'unico costume ammesso nelle feste da ballo in maschera di Pietroburgo.[7] Esso affianca le maschere tradizionali nel carnevale svevo-alemanno dal sud della Germania alla Svizzera centrale, e gioca come figura tipica un ruolo di rilievo nei carnevali di strada del canton Svitto.
La maschera ha preso piede ed è diventata tradizione popolare in diversi centri dell'Italia meridionale, come Barrafranca, Bisacquino, Paternò in Sicilia o Lavello in Basilicata.[8][9] In Sicilia ha conosciuto diverse varianti di colore e tessuto (seta o raso a seconda del ceto sociale), avvicinandosi in alcune tradizioni al costume di Arlecchino e sovrapponendosi in altre al tipico caffettano islamico che ne rappresenta un'origine alternativa.[8][10] A Venezia, per contro, la maschera in domino pare aver rappresentato un travestimento esclusivo ed elegante, usato da pochi come variante della bautta.[11]
Maschera elegante e misteriosa, il domino ha ispirato opere liriche sia comiche (Il domino nero di Auber su libretto di Eugène Scribe, 1837) sia drammatiche (Un ballo in maschera di Verdi, su libretto di Antonio Somma, 1859;[12] quest'ultima, già intitolata Una vendetta in domino, si rifà a una precedente opera di Auber, Gustave III, ou Le Bal masqué, sempre su libretto di Scribe).
Ancora in ambito musicale, è sempre un domino il protagonista della romanza op. 34 n. 3 Maska di Taneev (1912) su testo di Jakov Polonskij, dove si legge un esempio in russo dell'uso metonimico del termine per indicare la persona mascherata.
«Злою скукой томимый давно
у колонн встретил я домино»
«A lungo tormentato dalla noia
alle colonne ho incontrato il domino»
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