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vasta classe di disturbi psicopatologici e sintomi che consistono in alterazioni o anomalie del tono dell'umore dell'individuo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
In psichiatria e psicologia clinica con il termine disturbo dell'umore si designa la vasta classe di disturbi psicopatologici e sintomi che consistono in alterazioni o anomalie del tono dell'umore dell'individuo, che siano di entità tale da causare alla persona problemi o disfunzioni persistenti o ripetute oppure disagio marcato nonché disadattamento alle condizioni ambientali di vita con ripercussioni di varia entità nella vita interrelazionale e/o lavorativa. Spesso tali disturbi si accompagnano a quelli d'ansia.
Disturbi dell'umore | |
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Specialità | psichiatria e psicologia clinica |
Classificazione e risorse esterne (EN) | |
ICD-10 | F30-F39 |
MeSH | D019964 |
Il concetto di tono dell'umore indica il correlato emotivo di fondo della nostra attività mentale. Ogni persona ha un proprio tono dell'umore che il soggetto tende a manifestare con maggiore frequenza. Questo può essere considerato come caratteristico del soggetto, quale abitudine caratteriale e come parte del temperamento della persona. Esso è il risultato sia di una dotazione biologica di base dell'individuo, ovvero la sua costituzione ereditaria, sia delle modificazioni dovute all'ambiente di crescita e sviluppo della personalità (inclusi i fattori presenti nel corso della vita intrauterina). Sono stati individuati alcuni neurotrasmettitori direttamente associati alle funzioni di regolazione dell'umore: i principali sono la serotonina, la noradrenalina e la dopamina.
Oltre all'umore di base del soggetto, vengono considerate fisiologiche alcune oscillazioni periodiche in conseguenza di avvenimenti allegri o tristi. In psichiatria occorre distinguere un'oscillazione fisiologica del tono dell'umore da un'alterazione patologica che deve venire diagnosticata e curata.
Esistono 4 criteri fondamentali che sono indicatori di alterazione patologica del tono dell'umore:
Esistono inoltre 3 elementi di conferma, che comunque se assenti NON escludono la diagnosi:
Nella maggioranza dei casi la patologia del tono dell'umore lamentata è una delle molte forme di depressione. Nella prassi medica vengono riconosciute e tenute distinte due tipi depressione, in base alla causa:
La classificazione eziologica è basata sull'intuizione del medico, è pratica per valutare la strategia clinica, ma non è rigida. Al giorno d'oggi si preferisce considerare un'unica classe di depressione che unisce le due eziologie, indipendentemente dalle cause è noto che i due fattori formano un sistema collegato ovvero si condiziona a vicenda ovvero attraverso meccanismi di feedback retroattivi.
L'alterazione del tono dell'umore è considerata patologico quando sono presenti i 4 criteri fondamentali diagnostici prima considerati, ed è associata ad un'alterazione biologica. Ciò è ipotizzabile in base alla risposta positiva alle terapie farmacologiche. La maggior parte delle volte l'alterazione dell'umore è preceduta o contestuale ad eventi esistenziali importanti (negativi o positivi o cambiamenti di vita) che hanno comunque modificato la psiche del paziente o la sua percezione della realtà.
Le alterazioni del tono dell'umore si studiano secondo due prospettive temporali:
Si definisce episodio depressivo maggiore un periodo circoscritto di tempo durante il quale l'umore è persistentemente e gravemente depresso. Nella forma classica questo disturbo ha una durata tipica, superiore alle due settimane ma inferiore ai 12-18 mesi. Clinicamente, si osserva una caduta primaria del tono dell'umore quale sintomo preponderante, che influenza negativamente anche altre funzioni mentali e somatiche.
A seconda dei sintomi presenti si considerano diversi "cluster", cioè aspetti o ambiti di disturbo. Questi hanno legami con fattori individuali (condizioni fisiche, età, carattere), sociali e culturali. Gli ambiti (cluster) principali sono:
È da considerare che il concetto di "tipo clinico", così come il concetto di "cluster", indica solo la forma in cui si presentano i sintomi. Non contiene informazioni su eventuali cause - come conflitti interiori e difficoltà esistenziali, traumi o altro vissuto personale - che potrebbero essere messi in collegamento con la condizione del paziente.
La complicanza più frequente è il suicidio, presente nel 15% dei casi, che colpisce soprattutto oltre i 55 anni, abuso di alcol o sostanze psicoattive, presenza di altro disturbo psichiatrico che può essere successivo alla depressione (demenza), oppure coesistente con la depressione (disturbo dell'alimentazione, disturbo di panico, DOC), oppure può essersi risolto esitando in depressione (disturbo conversivo).
La depressione può esordire lentamente o acutamente nel giro di pochi giorni, solitamente a partire da un fatto scatenante che ha colpito negativamente la vita del paziente, il quale riferisce una frattura dal suo continuum psicologico; se non curata la depressione ha un decorso naturale della durata da 4 mesi a 2 anni, con successiva remissione e completo recupero. Entro questo periodo i sintomi tipici della depressione maggiore scompaiono. Se la malattia dura oltre i due anni si tratta di depressione cronica, una forma ad intensità minore.
A seconda del decorso si possono distinguere due sotto-tipi di depressione particolari: la forma cronica che dura oltre i 2 anni, e la stagionale, in cui l'episodio si ripresenta sempre nello stesso periodo dell'anno per poi risolversi in alcuni mesi.
Ci sono forme caratteristiche di momenti particolari della vita, come la depressione post-partum (che compare entro 4 settimane dal parto) o quella che può seguire la menopausa. La depressione maggiore nella sua forma più "classica", comunque, colpisce i soggetti in periodi della vita non caratterizzati da fatti particolari. Alcune persone sono colpite più volte nel corso della vita, da episodi distanziati fra loro di molti anni, a volte un numero di anni regolare.
Non è presente un marker diagnostico della depressione, ma sono possibili alcuni studi neurologici che permettono di individuare alterazioni del tono dell'umore:
Sono episodi depressivi con sintomatologia minore rispetto agli episodi depressivi maggiori. Si considerano minori sia per la gravità dei sintomi che per la durata. La distinzione tra "maggiore" e "minore" è esclusivamente sintomatologica e non eziologica.
Esistono diversi tipi di episodi depressivi minori, visti sotto il profilo eziologico: reattivi, se associati ad eventi esistenziali negativi; neurotici, se dovuti a conflittualità psichiche profonde; endogeni, dovuti a cause biologiche e costituzionali. Solitamente un quadro depressivo minore si presenta con un quadro sintomatologico generico (assenza di classificazione in cluster) e mai con manifestazioni psicotiche. Gli episodi minori che decorso molto breve non sono nemmeno considerati patologici, mentre in caso di forme cronica si parla di disturbo distimico, o eventualmente si considerano anche altri quadri come il disturbo bipolare o i disturbi di personalità.
Si definisce episodio ipomaniacale un periodo circoscritto di tempo durante il quale l'umore è perennemente elevato. È una patologia speculare alla depressione maggiore, nella quale l'innalzamento del tono dell'umore porta ad una serie di sintomi secondari, in particolare iperattività e accelerazione ideomotoria. Il soggetto si sente bene, con stato di euforia ed allegria eccessiva senza motivazione plausibile, rifiuta di trovarsi in una situazione patologica, anzi si irrita se trova una limitazione alla propria espansività, prova un piacere immenso speculare all'anedonia, in particolare di tipo gustativo, sessuale e ludico, caratterizzato da un atteggiamento scherzoso e ilare.
A differenza dell'episodio depressivo il paziente è spesso autosufficiente. Diagnosi differenziale con sostanze psicoattive euforizzanti, come anfetaminici e cocaina, disturbo delirante paranoide caratterizzato da idee di grandezza religiosa, scientifica o erotica, che differisce dall'ipomania per l'assenza di iperattività e di riduzione del tempo di sonno, e per il decorso cronicizzante del disturbo delirante, mentre l'ipomania è transitoria con recupero completo. Complicanza nel 10% verso uno stato di mania, in particolare nei pazienti geneticamente predisposti, con possibilità di abuso di alcolici.
Esordio acuto che si stabilizza nel giro di due giorni. Decorso breve che dura al massimo 3 mesi.
Correlati Biologici: non esistono test elettrofisici, ormonali o biochimici che evidenziano episodio ipomaniacale, ma ampliamento ventricolare alla TC, ipoperfusione temporo-basale dx alla SPECT, alla RM spettroscopica si ipotizza una possibile eziologia del disturbo nell'alterazione del metabolismo di fosfolipidi di membrana.
Si definisce episodio maniacale una condizione transitoria caratterizzata da tono dell'umore molto elevato, con esaltazione euforica ed eccitamento in maniera più marcata rispetto all'episodio ipomaniaco. La distinzione tra episodio ipomaniaco e maniaco si ha al manifestarsi di almeno una tra le seguenti condizioni:
Complicanza verso crisi aggressive e crisi di comportamento incongruo.
Esordio entro i 25 anni di vita, con episodio acuto che si stabilisce in pochi giorni, oppure esordisce come complicazione di episodio ipomaniacale dopo qualche settimana con sintomi lievi. Decorso a parabola della durata di qualche settimana.
Si definisce episodio misto una condizione transitoria di alterazione del tono dell'umore in cui coesistono elementi depressivi ed elementi maniacali. L'umore è alterato instabilmente, con continue fluttuazioni dalla depressione, caratterizzata da tristezza, pensieri pessimistici e deliranti, all'euforia, caratterizzata da iperattività, aggressività ed irritabilità. Il paziente presenta inoltre alterazione del ritmo sonno-veglia, agitazione disforica, sintomi deliranti (persecutori ed ipocondriaci), desiderio di suicidio. Si associa spesso ad abuso di alcol o sostanze psicoattive, e ad una compromissione della funzionalità lavorativa e sociale. L'esordio può essere ex novo oppure come conseguenza di episodio depressivo o maniacale. Dura da poche settimane ad alcuni mesi, con completa regressione dei sintomi oppure con trasformazione in episodio depressivo maggiore.
Si definisce disturbo bipolare I (o psicosi maniaco-depressiva) un disturbo dell'umore caratterizzato dal susseguirsi di episodi depressivi maggiori, di episodi maniacali o misti, e di periodi di relativo benessere. In questo contesto l'intensità della mania e delle fasi depressive è la medesima o l'episodio depressivo presenta intensità maggiore e durata minore.
Epidemiologia: prevalenza del 0,4-1,6% con uguale distribuzione tra i sessi; il primo episodio nei maschi è maniacale, nelle femmine è depressivo; è presente familiarità che aumenta fino al 24% presenza di disturbo bipolare I nei parenti di pazienti, al 5% presenza di disturbo bipolare II, al 24% di disturbo depressivo maggiore.
Clinica: si fa diagnosi di disturbo bipolare I se compaiono almeno un episodio maniacale o misto nella vita di un individuo (non esistendo disturbi unipolari positivi, si ha elevato rischio di presentare un episodio depressivo). L'episodio depressivo ha durata minore ma maggiore intensità, con inibizione psicomotoria, rallentamento fisico, ipersonnia, iperfagia, desiderio di suicidio (maggiore rispetto alle forme unipolari depressive).
Complicanze: si hanno suicidio, comportamenti violenti, abuso di alcol, compromissione lavorativa e sociale, cronicizzazione del disturbo bipolare con aumento della frequenza degli episodi (disturbo bipolare a rapida ciclicità) e scomparsa degli intervalli liberi da sintomi (disturbo bipolare a ciclo continuo), entrambi favoriti dall'utilizzo di trattamenti antidepressivi (farmaci triciclici e distiroidei).
Esordio: tra i 15 e i 40 anni, si ha esordio più precoce in pazienti con disturbo di personalità, che presentano numerosi episodi maniacali.
Decorso: si ha una variabilità individuale, anche se si ripete il ciclo “maniaco-depressivo” o ciclo bipolare, con il quale si intende il periodo di tempo trascorso tra due episodi con stessa polarità. La durata dei cicli decresce con il passare del tempo, per una riduzione dell'intervallo di benessere, fino ad un aggravamento del disturbo, che può essere di due tipi: decorso a ciclo continuo (senza intervalli liberi da sintomi) o decorso a cicli rapidi (con più di quattro episodi critici nell'arco di 12 mesi, con o senza periodi di remissione completa).
Si definisce disturbo bipolare II un disturbo dell'umore caratterizzato dal susseguirsi di episodi depressivi maggiori, episodi ipomaniacali, e periodi di relativo benessere. Rispetto al disturbo bipolare I si hanno episodi depressivi di minore intensità, ed episodi esclusivamente ipomaniacali (in caso anche di solo un episodio maniacale si parla di disturbo bipolare I).
Epidemiologia: prevalenza del 0,5% con frequenza leggermente superiore nel sesso femminile; è presente familiarità.
Complicanze: anche nel disturbo bipolare II si hanno suicidio, comportamenti violenti, abuso di alcol, compromissione lavorativa e sociale, e cronicizzazione del disturbo bipolare con aumento della frequenza degli episodi (disturbo bipolare a rapida ciclicità), anche se in frequenza minore rispetto al disturbo bipolare I.
Esordio: più tardivo rispetto al disturbo bipolare I, tra i 30 e i 50 anni.
Decorso: si ha una variabilità individuale, anche se solitamente è caratterizzato da una lunga latenza, con intervalli liberi da sintomi che possono durare anche anni. La frequenza dei cicli aumenta con il passare del tempo.
Si definisce disturbo ciclotimico un disturbo bipolare caratterizzato dal susseguirsi di episodi depressivi maggiori e episodi ipomaniacali, senza periodi liberi da sintomi. Entrambi gli episodi depressivi e ipomaniacali hanno un quadro clinico attenuato rispetto al disturbo bipolare II, ma la caratteristica è data dall'assenza di intervalli liberi dalla malattia, che possono portare ad un impatto psicosociale e lavorativo molto più grave del disturbo bipolare. Il paziente è altamente instabile e non sono mai presenti periodi di remissione completa della sintomatologia.
Epidemiologia: prevalenza del 0,4-1% con uguale distribuzione tra i sessi; è presente familiarità e un'elevata correlazione con abuso di sostanze psicoattive.
Complicanze: il disturbo ciclotimico può complicare in disturbo bipolare I o II fino al 50% dei casi.
Esordio: lento, in età adolescenziale; in caso di esordio oltre i 40 anni è un sintomo emergente di sclerosi multipla.
Decorso: cronico fluttuante con episodi di varia intensità e latenza, senza periodi o con periodi minimi di benessere.
Nel disturbo bipolare, la fase depressiva è caratterizzata da una maggiore incidenza di tentati suicidi, inclinazione all'uso di sostanze stupefacenti ed episodi psicotici.
Si definisce disturbo unipolare depressivo maggiore un disturbo dell'umore caratterizzato dal susseguirsi di episodi depressivi maggiori intervallati da periodi di relativo benessere, con assenza di episodi maniacali.
Epidemiologia: prevalenza del 10-25% nella popolazione femminile e del 5-12% in quella maschile; è presente familiarità che aumenta di 2-3 volte il rischio di disturbo depressivo maggiore (parenti di pazienti hanno il 24% in più di possibilità di presentare disturbo depressivo maggiore rispetto popolazione normale).
Clinica: il disturbo può presentarsi come singolo episodio oppure forma ricorrente, in cui la gravità dipende dalla frequenza degli episodi, dalla durata degli episodi e dalla gravità di ogni singolo episodio (depressione maggiore o minore).
Complicanze: si ha suicidio nel 15% dei pazienti, oppure cronicizzazione del disturbo (se singolo episodio dura oltre 2 anni senza remissione completa).
Esordio: principalmente tra i 20 e i 30 anni, ma può comparire a qualsiasi età. Nelle donne è aumentato nel postpartum e nella menopausa.
Decorso: dopo il primo episodio si ha 50% di possibilità che si presenti nuovamente (50% che resti un episodio isolato), dopo il secondo episodio si ha 70%, dopo 3 episodi si ha 90%.
Si definisce disturbo distimico un disturbo dell'umore caratterizzato dal susseguirsi di episodi depressivi minori in modo cronico, senza periodi di relativo benessere.
Epidemiologia: prevalenza del 6% con frequenza maggiore nel genere femminile di 2-3 volte rispetto genere maschile.
Clinica: il disturbo è caratterizzato da una depressione cronica, ma con sintomatologia attenuata rispetto al disturbo depressivo maggiore (assenza di manifestazioni psicotiche o melancoliche). Il paziente è triste, irritato, perennemente di cattivo umore, con una soglia di tristezza più bassa, dovuta a minimi episodi negativi della sua esistenza, con difficile recupero del buon umore e tendenza al pessimismo. È caratterizzato da lieve anedonia, dovuta al cattivo umore di fondo che però non si manifesta nei confronti delle persone care (a differenza della depressione maggiore). Tra i diversi cluster:
Complicanze: si accompagna sovente a disturbi di personalità borderline o istrionico, disturbi d'ansia, disturbi somatomorfi, abuso di alcol e sostanze psicoattive, nel 10% si ha un episodio depressivo maggiore.
Esordio: si distingue un disturbo distimico precoce, prima dei 21 anni, e un disturbo distimico tardivo, spesso risultato di un disturbo depressivo maggiore lieve che cronicizza. Non si ha un esordio netto, il paziente infatti non avverte una frattura del proprio continuum psicologico (come invece avviene nel disturbo depressivo nel quale si ha un inizio determinato da un evento esistenziale negativo).
Decorso: il disturbo distimico ha un decorso fluttuante, con depressione cronica la cui sintomatologia aumenta o diminuisce a seconda degli eventi esistenziali che influiscono l'umore del paziente.
Si definisce disturbo maniacale unipolare un disturbo dell'affettività caratterizzato da un tono umorale persistentemente elevato. Definito anche Disturbo Bipolare di tipo III, per la presenza comunque contenuta di leggere ricadute dell'umore che però non sono ascrivibili a episodi depressivi. Il maniacale "puro" sperimenta continue fasi di eccitamento psicomotorio, cognitivo ed affettivo, pur non manifestando sintomi psicotici tipici dell'episodio maniacale, oscillando tra turni di esaltazione gioiosa e turni di aggressività e irritabilità. Nella sua "versione" minore è rappresentato da quella che in gergo viene chiamata ipomaniacalità cronica, una condizione più caratteriale che patologica. Il rischio maggiore per questi soggetti è quello di sviluppare un forte episodio depressivo misto caratterizzato da mania disforica e confusa.
Epidemiologia: prevalenza del 0,1-0,5% con frequenza maggiore nei soggetti maschi; è molto probabile l'uso concomitante di sostanze stupefacenti psicoanalettiche con effetto stimolante.
Complicanze: il disturbo unipolare maniacale può evolvere in un disturbo bipolare di tipo II nel caso si presenti un episodio depressivo misto.
Esordio: tra i 15 e i 35 anni; in caso di esordio oltre i 40 anni è possibile che nell'effettuazione della diagnosi venga confuso con un disturbo bipolare di tipo II (anche per la reticenza dei pazienti ad ammettere esperienze depressive fatte nel passato)
Decorso: cronico e statico con episodi di intensità simile; possibile latenza di stati depressivi tenuti a freno dalla pressioni inconsce del soggetto
Disturbo caratterizzato da sintomi dei disturbi dell'umore, come quelli della sindrome bipolare/psicosi maniaco-depressiva, in concomitanza con sintomi psicotici più tipici della schizofrenia.
Clinica: la diagnosi si basa sul comportamento osservato e sulle esperienze riportate dalla persona. È caratterizzato da processi di pensiero anormali e emozioni disregolamentate. La diagnosi viene formulata quando la persona ha caratteristiche sia di schizofrenia sia di un disturbo dell'umore, o disturbo bipolare o depressione, ma non soddisfa rigorosamente i criteri diagnostici per nessuno dei due. Il tipo bipolare si distingue per i sintomi di mania, ipomania o episodio misto; il tipo depressivo dai sintomi della depressione soltanto. I sintomi comuni della malattia includono perdita della memoria e della capacità di pianificazione, allucinazioni uditive, visive e olfattive, deliri paranoidi, discorsi e pensieri disorganizzati.[1]
Complicanze: pericolo di suicidio, uso di sostanze psicotrope, alcolismo, disturbi d'ansia, problemi di salute, comportamenti pericolosi, compromissione lavorativa e isolamento sociale
Esordio: l'insorgenza dei sintomi di solito inizia nella giovane età adulta, attualmente con una prevalenza incerta della vita perché il disturbo è stato ridefinito, ma le stime di prevalenza del DSM-IV erano inferiori all'1% della popolazione, nell'intervallo dallo 0,5 allo 0,8%.
Decorso: cronico fluttuante, come nel disturbo bipolare, periodi riacutizzazioni alternati a remissione della sintomatologia maniaco-depressiva o depressiva e di quella psicotica
La terapia dei disturbi dell'umore deve risolvere la condizione psicopatologica in corso, ma deve anche stabilizzare le condizioni psichiche generali del paziente, evitando recidive e possibili episodi di polarità opposta
Trattamento di Mantenimento: occorre prevenire le ricadute cercando di raggiungere un buon compenso psichico. Si utilizza Stabilizzatori dell'Umore (Carbonato di Litio a dosi 0,6-0,8 mEq/litro, Valproato, Carbamazepina e Oxcarbazepina). È possibile potenziare l'azione dello Stabilizzatore dell'Umore con un secondo Stabilizzatore (Lamotrigina, adatta a crisi depressive) o con un Antipsicotico di nuova generazione (Olanzapina, Quetiapina). Il trattamento di mantenimento va protratto per tutta la vita, inoltre la riduzione rapida del dosaggio causa una crisi che aumenta maggiormente il rischio di recidive (in caso di sospensione rapida di Litio si ha rischio elevato di suicidio).
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