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scultura di Mirone Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Discobolo è una scultura realizzata intorno al 455 a.C. (periodo di congiunzione tra preclassico e classico) da Mirone. La statua originale era in bronzo, oggi è nota solo da copie marmoree dell'epoca romana, tra cui la migliore è probabilmente la versione Lancellotti.
Discobolo | |
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Autore | Mirone |
Data | 455 a.C. |
Materiale | marmo (bronzo l'originale) |
Altezza | 156 cm |
Ubicazione | Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, Roma (Discobolo Lancellotti) |
L'opera venne probabilmente prima fusa, per poi essere scolpita, per la città di Sparta e rappresentava un atleta nell'atto di scagliare il disco.
Dell'opera si conoscono diverse versioni. Tra le più importanti, oltre a quella Lancellotti, ne esiste una integra al British Museum detta Townley che si distingue per un trattamento della testa più adrianeo, dai capelli più lunghi; inoltre lo scultore, possedendo una tecnica più avanzata, ridusse il tronco d'appoggio a lato della figura. Nel Museo nazionale romano si conserva un'altra versione frammentaria, detta di Castelporziano[1].
L'atleta venne raffigurato nel momento in cui il suo corpo, dopo essersi rannicchiato per prendere slancio e radunare le forze, sta per aprirsi e liberare la tensione imprimendo al lancio maggiore energia. Subito dopo girerà su sé stesso e scaglierà il disco, accompagnando il gesto con tutto il corpo.
Cicerone scrisse: «Le opere di Mirone non sono ancora vicinissime alla verità, nondimeno non si esiterà a dichiararle belle; quelle di Policleto sono ancora più belle e già veramente perfette secondo la mia opinione».
Gli storici d'arte dell'antichità lodarono Mirone per la sua maestria nel ritmo e nella simmetria. L'espressione di serenità, priva di sentimenti e accennante solo una tenue concentrazione, fu criticata da Plinio.[2]
L'opera godette fin da subito di fama internazionale nell'Europa colta e intellettuale, anche grazie all'eccezionale stato di conservazione. Per fama era pari solo all'Apollo del Belvedere, alla Venere de' Medici, al Laocoonte o ai Cavalli di San Marco.
Fu quindi tra le prime opere oggetto di spoliazioni napoleoniche, tant'è che una stampa presso la Biblioteca nazionale di Parigi mostra l'arrivo del primo convoglio con i beni confiscati al termine della Campagna d'Italia di Napoleone, che arrivava a Champ de Mars, di fronte all'École Militaire di Parigi, tra cui figura il Discobolo appena acquisito a mezzo del trattato di Tolentino. Il Discobolo tornò a Roma con il Congresso di Vienna e l'opera di Antonio Canova.
Lo studio della statua consentì ai primi organizzatori delle Giochi olimpici di ricreare lo sport del lancio del disco, di cui si era persa la conoscenza e che richiede un moto circolare.
La bellezza della statua colpì inoltre Adolf Hitler che, durante il suo viaggio in Italia nel maggio 1938, vedendo nella bellezza e nella perfezione fisica dell'atleta il mito della razza ariana, si fece "gentilmente concedere" dal governo italiano l'opera. Sebbene il Consiglio superiore delle Scienze e delle Arti si fosse opposto, Hitler acquisisce l'opera tramite compravendita privata tra Göring e il principe Lancellotti per 5 milioni di lire[3]. Essendo un'opera notificata alle Belle Arti, la sua esportazione era tuttavia vietata, ma grazie alle pressioni del ministro degli esteri Galeazzo Ciano, la statua riuscì ad arrivare in Germania nel giugno 1938[4].
Il Discobolo restò così in terra tedesca - per la precisione nella Gliptoteca di Monaco di Baviera - fino alla fine della guerra, quando lo storico dell'arte Rodolfo Siviero riuscì a convincere il Governo Militare Alleato che l'opera, insieme a tanti altri capolavori, era stata acquisita illegalmente dai nazisti grazie all'alleanza tra due regimi tirannici[4]. Così - nonostante molte opposizioni, ricorsi giudiziari e svariati ritardi da parte tedesca - il 16 novembre 1948 il Discobolo tornò in Italia, insieme ad altri 38 capolavori che erano stati esportati illegalmente tra il 1937 e il 1943[3].
Il Discobolo appare in una moneta da 2 Euro commemorativa emessa nel 2004, in occasione dei Giochi olimpici di Atene del 2004.
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