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De clementia

opera di Seneca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera

De clementia
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Il De clementia è un trattato di Seneca scritto fra il 55 e il 56 d.C.

Dati rapidi Titolo originale, Autore ...

Insieme alle Naturales quaestiones e al De beneficiis, fa parte dei tre trattati dell'autore.[1]

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Caratteristiche

Dell'opera, originariamente composta di tre libri, sono giunti solo il primo e l'inizio del secondo libro.[2] Il trattato appartiene al genere letterario detto speculum principis: in essa infatti Seneca esplora il rapporto tra filosofia e politica individuando la qualità più importante che dovrebbe avere un sovrano, ovvero la clemenza. Lo scritto è dedicato al giovane Nerone del quale Seneca era divenuto precettore, insieme al prefetto del pretorio Afranio Burro, per volere della madre Agrippina minore.[3] Con tale scritto Seneca spera di educare al meglio il giovane imperatore elogiando lo stesso con le qualità che vorrebbe che Nerone avesse.

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Contenuto

Riepilogo
Prospettiva
«Clemenza è tenere a freno la passione quando si ha il potere di punire.»

Rivolgendosi a Nerone, da poco divenuto imperatore, Seneca ne elogia la moderazione e la clemenza (durante il cosiddetto "quinquennio del buon governo"), definita come la «moderazione d'animo di chi può vendicarsi», o l'"indulgenza", e che invita a comportarsi con i suoi sudditi come un padre con i figli. Seneca non mette in discussione il potere assoluto dell'imperatore romano, ed anzi lo legittima come un potere di origine divina. A Nerone il destino ha assegnato il dominio sui suoi sudditi, ed egli deve svolgere questo compito senza far sentire su di loro il peso del potere. Alcuni pensano che avendo intuito gli istinti tirannici del giovane princeps, Seneca abbia tentato di tenerli a freno tramite questi insegnamenti.

Questa tesi trova il supporto filosofico nella dottrina politica stoica, secondo cui la monarchia è la forma di governo migliore, all'unica condizione che il sovrano sia sapiente, e trattenendo i suoi sentimenti più violenti, sappia esercitare con temperanza il suo potere. Queste considerazioni influenzarono l'imperatore stoico Marco Aurelio e il suo pensiero politico. Seneca, anticipando di molti secoli la concezione illuminista di Cesare Beccaria, vede nell'eccessività della pena anche il contrario della deterrenza.

«Ma i costumi dei cittadini si correggono maggiormente con la moderazione nelle punizioni: il gran numero di delinquenti, infatti, crea l’abitudine di delinquere, e il marchio della pena risulta meno grave quando è attenuato dalla moltitudine delle condanne, e il rigore, quando è troppo frequente, perde la sua principale virtù curativa, che è quella di ispirare rispetto.»
«Nello Stato in cui gli uomini vengono puniti raramente, si instaura una sorta di cospirazione a favore della moralità, della quale ci si prende cura come per un bene pubblico. I cittadini si considerino privi di colpe e lo saranno; e si adireranno maggiormente con quelli che si allontaneranno dalla rettitudine comune, se vedranno che sono pochi. È pericoloso, credimi, mostrare ai cittadini quanto più numerosi siano i cattivi.»
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Note

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