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imposta sul flusso di beni e/o fattori attraverso una frontiera Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il dazio in economia è una barriera artificiale ai flussi di beni e/o fattori tra due o più paesi o, in passato, tra due o più comuni di una stessa nazione (in quest'ultimo caso si parla di dazio interno[1]). Esso nasce da esigenze di politica economica di un singolo Stato (o gruppo di Stati) e si manifesta in manipolazioni amministrative dei flussi di beni in entrata e in uscita dallo stato stesso. Per estensione è anche l'insieme delle strutture che ne assicurano il rispetto e l'esecuzione in frontiera, come la dogana.
Dal punto di vista politico, il dazio costituisce uno strumento di protezione di alcuni settori economici nazionali, quando questi non possono competere con la concorrenza estera. L'uso sistematico di questo strumento si chiama protezionismo. Nella maggior parte dei casi il dazio viene riscosso attraverso una dichiarazione doganale, pagata dall'importatore. Le entrate monetarie date dai dazi costituiscono per lo Stato un introito fiscale.
Durante il Medioevo il dazio costituiva una delle principali fonti di introito fiscale ed era associato ad una tassa che gravava sulle merci che transitavano da un comune all'altro. Il frazionamento politico dell'epoca feudale e lo sviluppo dei rapporti commerciali resero sempre più complesso il movimento delle merci, fino a quando furono presi provvedimenti atti a ridurre l'impatto dei dazi sul commercio territoriale mediante l'istituzione di periodi di sospensione coincidenti con le fiere cittadine.
Con l'avvento del mercantilismo e la formazione delle signorie e degli stati mutò la politica doganale e lo sviluppo dei trattati commerciali e dei porti franchi portò ad una sempre maggiore liberalizzazione dei mercati che ebbe come conseguenza il progressivo abbandono dei dazi interni[2] e la nascita di un sistema di dogane di confine.
Il calcolo del dazio avviene in sede di dichiarazione doganale e può essere stabilito in vari modi: sul valore della merce in arrivo (valore teorico della merce al momento dell'entrata nello stato/comunità di stati, cioè valore di fattura aumentato o diminuito del costo del trasporto in base ai termini di resa concordati in base all'Incoterms), sulla quantità di merce introdotta (tassazione in base ad un'unità di misura specifica) o in modo misto tra i due metodi precedenti. In Italia in passato l'entità dei dazi interni era spesso determinata pesando su un peso pubblico le merci che entravano in un determinato territorio.[3]
L'uso prevalente è però quello in importazione con l'applicazione di una specifica tassa su alcuni determinati beni in entrata, quasi sempre per avvantaggiare la produzione nazionale rispetto a quella estera.
Il drawback è un'agevolazione che può essere applicata da uno Stato per evitare che i dazi doganali gravino sui costi delle materie prime, con un conseguente aggravio dei costi dei prodotti finiti delle imprese nazionali; in questi casi lo Stato può rimborsare il dazio pagato su di esse se e quando il prodotto finito viene riesportato.
I dazi possono consistere anche in tasse sulle esportazioni; tipico è l'esempio dei paesi a basso livello di reddito pro-capite ma con ingenti ricchezze naturali: applicando un dazio sulle esportazioni delle proprie materie prime aumentano le loro entrate erariali. Il dazio è direttamente legato alla classificazione internazionale della merce, ottenuta utilizzando la tariffa doganale, ed è applicato ai beni provenienti da nazioni con cui non siano stati stipulati accordi preferenziali.
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