Damnum iniuria datum
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In diritto romano il damnum iniuria datum fu inserito tra i delicta grazie alla Lex Aquilia de damno, un plebiscito votato nell'antica Roma nel 286 a.C.[1]
La lex si articolava così:
La pena consisteva nel simplum: per il primo capitolo, nel maggior valore che schiavi o animali avessero avuto durante l'anno precedente l'uccisione; per il secondo, per l'importo del credito estinto; per il terzo, nel maggior valore degli schiavi, animali e cose nei trenta giorni precedenti l'evento dannoso.[2]
Il secondo capitolo cadde in desuetudine, quando si incominciarono ad usare le rispettive azioni. Il primo e terzo capitolo furono ricompresi nel novero del damnum iniuria datum. L'azione che spettava contro l'autore del danno era l'actio legis Aquiliae, penale (ma in simplum) e in ius. Ad essa era legittimato il proprietario e poi, tramite actiones utiles, si estese la tutela aquiliana ad usufruttuari, comodatari e possessori di buona fede; forse anche a creditori pignoratizi, usuari e coloni.[3]
L'azione si dava all'uopo in via nossale, non era trasmissibile e si cumulava con altre azioni. Se il danno era stato provocato nel maggior valore della res nell'ultimo anno o mese, l'azione era reipersecutoria, diversamente poteva essere mista dovendosi considerare a titolo di pena quella parte della condanna che superasse il valore della res al tempo dell'evento dannoso. Dal rozzo criterio del valore della cosa si passa poi a considerare l'interesse dell'attore all'integrità fisica della cosa stessa.[4]
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