Curzio Inghirami nacque a Volterra il 29 dicembre 1614 da Inghiramo del Cavalier Curzio e dalla senese Silvia di Giulio Piccolomini.[1] Si dedicò sin dalla giovane età allo studio delle lettere classiche, avvalendosi sia dell’archivio sia della biblioteca di famiglia, entrambe particolarmente ricche. Insieme all'amico Raffaello Maffei intraprese un approfondito studio dei documenti reperibili in Volterra, analizzando i documenti dell'archivio comunale, dell'archivio vescovile e dell'archivio della Badia Camaldolese. Intorno al 1640 sposò Orsola di Ser Claudio Ciupi, vedova di Anton Lorenzo di Michelangelo Riccobaldi Del Bava. Nel 1647 il consiglio comunale di Volterra decise di contribuire al nuovo progetto internazionale ideato dal gesuita fiammingo Jean Bolland: un'edizione accademica delle vite dei santi con un enorme apparato di note erudite sulle loro reliquie e sulla loro posizione (gli Acta Sanctorum). Come città natale di San Lino, il secondo papa, Volterra aveva un posto nella storia cristiana di cui andare orgogliosa. Il compito di redigere il rapporto su Volterra per Jean Bolland e i bollandisti ricadde su Curzio Inghirami e Raffaello Maffei, la cui fama ed erudizione furono calorosamente annotate nella loro lettera di nomina. Inghirami e Maffei completarono nel 1649 il Processo alle Sacre Reliquie, che confluirà poi negli Acta Sanctorum.[2] Di notevole importanza sono anche gli studi sulle genealogie delle principali famiglie volterrane e le ricerche sulla storia dei vescovi volterrani, condotti anch'essi con la collaborazione di Maffei.
Consolo dell'Accademia dei sepolti sino alla morte, Inghirami prese parte attiva alla vita sociale e politica della città. Morì a Volterra il 23 dicembre 1655 a soli 41 anni, lasciando vari scritti rimasti inediti, alcuni dei quali sono oggi conservati nella Biblioteca Guarnacci.
Nel 1637 Inghirami pubblicò gli Etruscarum antiquitatum fragmenta, in cui annunciava la scoperta di importanti documenti, contenenti quasi tutta la storia del popolo etrusco e della sua civiltà, nel suo possedimento di Scornello, vicino a Volterra. L'opera suscitò un vastissimo scalpore in tutta Europa.[3][4][5] Si trattava in realtà di un falso clamoroso, come venne quasi subito dimostrato. Inghirami difese la genuinità delle sue scoperte in un ampio Discorso (1645), ma il prefetto della Biblioteca apostolica vaticana Leone Allacci dimostrò in modo inconfutabile la falsità dei documenti nell'opuscolo polemico Animadversiones in antiquitatum etruscarum fragmenta.[6] La scrittura nei testi etruschi andava nella direzione sbagliata, da sinistra a destra. Più importante - e più significativo - era il fatto che i testi latini erano scritti in minuscolo. Attingendo a umanisti precedenti, molti dei quali avevano discusso brevemente o di sfuggita l'argomento, Allacci insisteva sul fatto che i romani avevano sempre redatto i loro testi letterari in maiuscolo. Per dimostrarlo fece ricorso al Virgilio romano e vaticano e alla Littera Florentina. Il breve schizzo della storia dell'antica scrittura latina redatto da Allacci fornì il modello per Jean Mabillon, che lo citò nel suo De re diplomatica (1681).[7]
L'opera di Inghirami «ebbe comunque il merito di attirare l'attenzione degli studiosi sul problema etrusco, anticipando anche alcuni atteggiamenti, come l'esaltazione incondizionata di quel popolo e lo spirito antiromano, dell'etruscologia settecentesca.»[8] Falsi come i frammenti di Beroso di Annio da Viterbo o le Etruscarum antiquitatum dell'Inghirami, ebbero anche un fecondo effetto sul senso critico, poiché gli studiosi si sentirono in dovere di esaminare i nuovi reperti e nel processo cercarono di ampliare la loro conoscenza dei libri antichi.[9]
Curzio Inghirami era Consolo dell'Accademia dei Sepolti di Volterra, la quale gestiva il Teatro della città, ubicato nella Piazza principale (oggi Piazza dei Priori). Sono state ritrovate due esilaranti commedie inedite scritte da Inghirami: "L'Armilla" e "Amico Infido" tradotte anche in Inglese da Ingrid Rowland. Sono state pubblicate in un volume curato da Simon Domenico Migliorini, per le edizioni dell'attuale Accademia dei Sepolti. Il volume ha contributi di Giovanni Antonucci, Marcella Paggetti, Lucia Ghilli e Ingrid Rowland.
Ingrid D. Rowland (2004), p. 118.
«In 1647 the city council of Volterra resolved to contribute to a new international project devised by the French Jesuit Jean Bolland: a scholarly edition of the lives of the saints with a huge apparatus of learned notes on their relics and their location (the still ongoing Acta Sanctorum). As the birthplace of Saint Linus, the second pope, Volterra had a Christian history to be proud of. The task of drafting Volterra's report for Jean Bolland and his team fell to Curzio Inghirami and Raffaello Maffei, whose fame and erudition were warmly noted in their letter of appointment. They completed their Processo alle Sacre Reliquie (Trial of the Sacred Relics) in 1649.»
Camilla Fiore (2012), p. 74.
«La notizia del rinvenimento degli Scarith suscitò la curiosità e l’attenzione dei più illustri eruditi e antiquari europei provocando una vera e propria querelle che si consumò tramite la pubblicazione di numerosi trattati. Nel 1636 Paganino Gaudenzi (1595-1649), colto linguista e lettore di “lettere umane” presso lo Studio di Pisa dal 1628, membro dell’Accademia dei Disuniti, pubblicò il trattato De charta: exercitatio, raccolta di brani dalle più rinomate fonti classiche che doveva dimostrare l’impossibilità dell’utilizzo della carta di lino da parte dei popoli primitivi e dunque la falsità degli Scarith. Inoltre il Gaudenzi aveva in preparazione un altro volume dedicato agli ormai celebri reperti pubblicato nel 1639 ad Amsterdam insieme all’erudito danese Heinrich Ernst (Ad antiquitates etruscas quas Volaterrae nuper dederunt observationes, in quibus disquisitionis astronomicae de etruscarum antiquitatum fragmentis auctor quoque notatur), vincendo le forti ostilità che si sollevarono dalla corte medicea. Lungi dall’estinguersi la polemica proseguì aspramente nel 1640 nel volume dell’illustre studioso greco, e futuro bibliotecario della vaticana, Leone Allacci (1586-1669) (l'Animadversiones in antiquitatum etruscarum fragmenta ab Inghiramio edita) che dimostrò la falsità del ritrovamento sia dal punto di vista storico (Fesulani Chronologia merum deliramentum) sia linguistico (Fesulani errores in Grammaticis). Agli stessi anni appartiene il carteggio tra Cassiano Dal Pozzo (1588-1657) e il teologo di casa Sacchetti Vincenzo Noghera che coadiuvarono l’Allacci nel reperire fonti e testimonianze a supporto delle sue tesi.»
Anche l'erudito olivetano Secondo Lancellotti si occupò della questione, lasciando inedito un Discorso contro la credenza delle cose sotto nome di antichità trovate in Volterra, brillante confutazione degli apocrifi di Inghirami (Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, ms. 1660, c. 3v. Il codice, apografo, riporta il Discorso di Lancellotti e un'anonima confutazione; l'autografo, che il Vermiglioli segnalava nella Biblioteca di Volterra, pare oggi perduto). Cfr.: Franco Arato, Un enciclopedista perugino del Seicento: Secondo Lancellotti, in Studi settecenteschi, XVI, 1996, pp. 28-29, ISSN 0392-7326 (WC · ACNP).
Non mancarono i difensori dell'Inghirami. Cfr.: Pietro Fanfani (1875), p. 324.
«Primo di tutti, com'era naturale, lo stesso Curzio Inghirami difese i Frammenti con un librone che non finisce mai, il quale è dotto veramente, ed illustra moltissimo le Antichità etrusche, benchè alla difesa degli scritti non giovi nulla. Ci fu un pro e contra vivissimo tra gli eruditi e tra vari giornali letterari: il Lisci di Firenze prese apertamente le difese dell'Inghirami; e lo difese, stupite!, lo stesso Muratori, il quale per altro più la buona fede dell'Inghirami difese, che i Frammenti da esso dati fuori.»
(EN) Anthony Grafton, Inky Fingers: The Making of Books in Early Modern Europe, Harvard University Press, 2020, pp. 88-89, ISBN 9780674237179.
«In a polemical pamphlet, Allacci denounced the new texts as fakes. The writing in the Etruscan texts went in the wrong direction, from left to right. More important—and more telling—was the fact that the Latin texts were written in minuscule. Drawing on earlier humanists, many of whom had discussed the subject briefly or in passing, Allacci insisted that the Romans had always cast their literary texts in majuscules. He used the Vatican and Roman Virgils, as well as the Florentine Pandects, to make this point. Allacci's sketch for a history of early Latin writing, starting with different forms of capital letters, provided the model for Mabillon, who cited it.»
Mario Speroni, La tutela dei beni culturali negli stati italiani preunitari: L'età delle riforme, Giuffrè Editore, 1988, p. 72.
(DE) Wolfgang Speyer, Die literarische Fälschung im Altertum, C.H. Beck, 1971, p. 101, ISBN 9783406033889.
«Befruchtend auf den kritischen Sinn wirkten aber auch zeitgenössische Fälschungen, wie die angeblich von Annius von Viterbo entdeckten Fragmente des Berosos oder die Etruskischen Altertümer des Curzio Inghirami, da die Gelehrten sich zu einer Prüfung der neuen Funde genötigt sahen und dabei ihre Kenntnisse des antiken Buchwesens zu erweitern strebten.»
- Elogio di Curzio Inghirami, in Elogj degli uomini illustri toscani, vol. 4, Lucca, 1771.
- Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, vol. 8, Modena, presso la Societá Tipografica, 1780, p. 250.
- Pietro Fanfani, Del pirronismo storico-critico e dei libri apocrifi, in Nuova antologia, vol. 29, 1875, pp. 307-327.
- (DE) Luc Deitz, Die Scarith von Scornello: Fälschung und Methode in Curzio Inghiramis ‘Ethruscarum antiquitatum fragmenta’ (1637), in Neulateinisches Jahrbuch, n. 5, 2003, pp. 103-133.
- (EN) Ingrid D. Rowland, The Scarith of Scornello: A Tale of Renaissance Forgery, University of Chicago Press, 2004, ISBN 9780226730363.
- Iacopo Ennio Inghirami, Curzio Inghirami. Alla riscoperta di uno studioso volterrano ante-litteram, in Rassegna Volterrana, vol. 82, 2005, pp. 237-248.
- Camilla Fiore, «Parmi d’andare peregrinando dolcissimamente per quell’Etruria». Scoperte antiquarie e natura nell’Etruria di Curzio Inghirami e Athanasius Kircher, in Storia dell’arte, n. 133, 2012, pp. 53-81, ISSN 0392-4513 (WC · ACNP).
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