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Critica televisiva è il termine che definisce il genere letterario specifico della critica concernente lo scrivere o il parlare riguardo alla programmazione della televisione, con l'espressione sostanziale di una valutazione di merito sulla qualità o il significato - o gli aspetti correlati - delle singole produzioni proposte da questo medium.
Per molti versi similare alla critica cinematografica, e sorta di fatto con la nascita stessa della televisione, questa forma di critica viene sviluppata essenzialmente su giornali quotidiani o in talk show radiofonici e televisivi, ma anche in libri specializzati o pubblicazioni periodiche.
A questa attività spesso hanno contribuito e contribuiscono scrittori e saggisti di vaglia la cui attività si esplica tendenzialmente su linee che esulano lo specifico televisivo (tre su tutti: Giovanni Cesareo, studioso della materia[1]; Umberto Eco, autore di una celebre Fenomenologia di Mike Bongiorno, ritenuto uno dei primi esempi di critica televisiva[2]; e Giovanni Guareschi che, sorta di precursore dei critici televisivi, è stato per quattro anni curatore di una rubrica intitolata Telecorrierino delle famiglie e ospitata sul settimanale Oggi Illustrato[3]).
Secondo l'Enciclopedia della televisione[4] curata da Aldo Grasso (uno dei maggiori critici televisivi italiani) - che vi dedica un apposito lemma - "il cruccio della critica televisiva nasce da una difficoltà logica insolubile: il sostantivo si riferisce a un'attività che normalmente si esercita nel campo dell'estetica: l'aggettivo indica invece la presenza di un corpo, di una materia, che sembra aver perduto ogni connotazione estetica e che, anzi, viene assimilato alla 'spazzatura' con sempre maggiore frequenza. Difficile stabilire su quali criteri si fondi".
Conseguentemente, se si dà credito alle parole di Achille Campanile - secondo il quale "grande critico è colui che trasforma lo spettatore in palcoscenico e lo schermo in un incontro di humour, estro, invenzione", chi esercita una buona critica - secondo l'opera di Grasso - "è colui che usa il programma televisivo come un attivatore dell'immaginazione e dell'intelligenza, che conosce metodi di analisi, ma non li esplicita, che sa assumere posizioni etiche", e, soprattutto, pur sapendo come si costruisce un programma televisivo, non appare in tv salvo cavi sporadici e, comunque, motivati da eccezionalità.[4]
Occupandosi di un settore spesso autoreferenziale, la critica televisiva ha contribuito, in Italia come all'estero[5], a creare dei personaggi la cui notorietà è talvolta andata oltre quella di puri e semplici critici (è il caso dell'uomo di cultura Beniamino Placido), fino a giungere a casi di parodia, come accaduto a Claudia Vinciguerra (1923-2010) divenuta personaggio televisivo a tutto tondo e, in quanto tale, spesso al centro di gag comiche di intrattenitori televisivi.
Lo svilupparsi della critica televisiva può essere distinto - limitatamente all'esperienza italiana - in tre epoche, o ere, differenti:[2]
Come materia di studio la critica televisiva prevede, a livello universitario, la laurea magistrale in storia e critica della televisione.[6]
In Italia, interna al Premio Flaiano vi è una sezione dedicata alla premiazione di critici televisivi.
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