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Clostridioides difficile, una volta conosciuto come Clostridium difficile,[1] è un batterio sporigeno appartenente alla famiglia Clostridiaceae. È un bastoncello, Gram +, anaerobio. Come altre specie affini, quando produce specifiche tossine, può essere patogeno per l'uomo.
Clostridioides difficile | |
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Clostridioides difficile | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Prokaryota |
Regno | Bacteria |
Phylum | Firmicutes |
Classe | Clostridia |
Ordine | Clostridiales |
Famiglia | Clostridiaceae |
Genere | Clostridioides |
Specie | C. difficile |
Nomenclatura binomiale | |
Clostridioides difficile Lawson & Rainey, 2016 |
Ampiamente diffuso nel suolo è presente anche nell’apparato gastrointestinale di vari animali: cani, gatti, cavalli, maiali, roditori. Il C. difficile fa parte della normale flora saprofita dell’intestino umano e colonizza tra il 3% e il 15% degli adulti sani. Può essere isolato nell'80% delle feci dei bambini fino a 1 anno di età, colonizzazione favorita dall’immaturità della flora batterica intestinale.
La specie C. difficile è definita da un grande e diversificato pangenoma con livelli estremi di plasticità evolutiva che è stata modellata per lunghi periodi di tempo dal flusso genico e dalla ricombinazione, spesso tra lignaggi divergenti. Sono stati isolati centinaia di diversi ceppi del C. difficile, non tutti tossigeni. La continua evoluzione del C. difficile in risposta alle attività ambientali e antropiche ha portato alla rapida comparsa e alla diffusione in tutto il mondo di lignaggi clonali virulenti.
L'infezione da Clostridioides difficile è, in alcuni paesi, la causa più comune di infezioni nosocomiali e causerebbe circa 15 000 morti l'anno negli USA e 3 700 nella UE/EEAA.[2][3][4]
Il costo attribuibile per ogni caso di infezione nosocomiale da Clostridioides difficile in Italia è di 14023 euro[5].
Hall e O'Toole, in materiale fecale di neonati, nel 1935 individuarono il batterio: Bacillus difficilis, chiamato così per la difficoltà incontrata nell'isolamento e per l'estrema lentezza di crescita dello stesso sul terreno colturale. Nel 1970 fu rinominato come Clostridium difficile.[6][7][8][9] Mentre il primo caso di colite pseudomembranosa era stato documentato da Finney nel 1893 in un'autopsia di una donna, morta per una diarrea emorragica post-intervento chirurgico, che presentava pseudomembrane simil-difteriche nel colon.[10][11]
Nel 1968 su criceti, normalmente usati per lo studio del C. difficile, trattati con l'antibiotico lincomicina si osservò la comparsa di una grave colite pseudomembranosa sperimentale mortale.[11]
Nel 1970 animali trattati con antibiotici presentavano un'alta quantità nelle feci di tossina patogena prodotta dal C. difficile, individuando con la tossina la causa primaria delle manifestazioni cliniche della patologia della colite pseudomembranosa.[11] Nel 1980 furono individuate due distinte tossine (A e B) prodotte dal C. difficile.[12] Le tossine A e B sono trascritte su un locus di patogenicità che comprende cinque geni: due geni della tossina, tcdA (tossina A) e tcdB (tossina B), e tre geni regolatori, uno dei quali (tcdC) codifica un regolatore negativo della trascrizione della tossina.[13][14]
La prima sequenza genomica completa di un ceppo di C. difficile è stata pubblicata per la prima volta nel 2005 dal Sanger Institute nel Regno Unito. Si trattava del ceppo 630, un ceppo virulento e resistente ai farmaci isolato in Svizzera nel 1982.
La specie è stata trasferita dal genere Clostridium a Clostridioides nel 2016, dandole così il binomio Clostridioides difficile.[15][16][17] Questo nuovo nome riflette le differenze tassonomiche tra questa specie e i membri del genere Clostridium, mantenendo però allo stesso tempo l'abbreviazione C. difficile.[18]
Troviamo spore di Clostridioides difficili nel terreno, negli ospedali e nelle case per anziani. La forma attiva dei batteri si trova solo nel tratto intestinale . Al microscopio, dopo la colorazione di Gram, sono bacilli allungati con un'estremità leggermente gonfia. Il germe stesso è gram-positivo. La sua cultura è ottimale in ambiente basico di agar a 37 °C. Quando le condizioni si fanno difficili, i batteri producono spore resistenti all'essiccazione, a temperature estreme e a molti prodotti chimici e disinfettanti.[19][20].
Le spore sono metabolicamente dormienti e altamente resistenti alle procedure di disinfezione standard, consentendo loro di persistere per lunghi periodi nell'ambiente. Le spore ingerite da ospiti sensibili possono riattivarsi (o germogliare) in risposta a specifici acidi biliari nell'intestino tenue e tornare a uno stile di vita attivo per produrre tossine e causare malattie. Le spore sono altamente trasmissibili e responsabili della contaminazione degli ambienti. Il Clostridioides difficile è un germe della flora digestiva commensale. Rilevato anche nelle feci degli infanti è spesso asintomatico per l'incapacità della tossina, nei ceppi tossigenici, di legarsi ai recettori degli enterociti ancora immaturi. Alcune sue mutazioni emergenti sono multi-resistenti (si sono adattate alla maggior parte degli antibiotici) e in caso di disturbo della flora digestiva provocato dalla somministrazione di antibiotici, possono svilupparsi in modo significativo. La grande variabilità dei diversi ceppi rende difficile la loro caratterizzazione molecolare. Quando nel 2003 l'analisi molecolare ha portato all'identificazione di un ceppo di C. difficile caratterizzato come gruppo BI mediante analisi di endonucleasi di restrizione, NAP1 (nordamericano a campo pulsato) mediante elettroforesi su gel a campo pulsato e ribotipo 027, il "nuovo" ceppo è stato chiamato "C. difficile BI / NAP1 / 027". La diversa terminologia riflette le tecniche predominanti utilizzate per la tipizzazione epidemiologica.[21][22][23]
Del C. difficile esistono sia ceppi tossigenici (cioè produttori di tossine) sia non tossigenici, ma solo le forme tossigeniche sono causa di malattia negli esseri umani.
I batteri producono citotossine polipeptidiche ad alta massa molecolare, A e B. Alcuni ceppi producono solo una delle tossine, altri producono entrambe. La tossina A provoca una reazione infiammatoria che coinvolge l'ipersecrezione di liquido e la necrosi emorragica attraverso l'attivazione del rilascio di citochine da parte dei neutrofili. La citotossina B depolimerizza l'actina, la principale proteina del citoscheletro, e quindi aiuta nella distruzione dei tessuti. L'azione combinata delle tossine provoca necrosi dell'epitelio superficiale ed edema (gonfiore fluidico) nelle zone dell'intestino colpite. La proliferazione del C. difficile è normalmente contrastata dalla normale microflora intestinale, che si ritiene inibisca l'attaccamento del batterio e delle sue tossine alle pareti intestinali. L'alterazione dell'equilibrio microbico intestinale con la terapia antibiotica e la maggiore esposizione al batterio in ambiente ospedaliero consente al C. difficile di colonizzare individui suscettibili. Inoltre, è stato dimostrato che le concentrazioni subinibitorie di antibiotici promuovono una maggiore produzione di tossine da parte di C. difficile.[24][25][26][27][28][29]
Il C. difficile è tassonomicamente distinto da molti altri ben noti clostridi, con una struttura di popolazione diversificata che comprende centinaia di ceppi diversi sparsi in almeno 6 cladi filogenetici. Del C. difficile esistono sia ceppi tossigenici (cioè produttori di tossine) sia non tossigenici, ma solo le forme tossigeniche sono causa di malattia negli esseri umani. La patogenicità dipende infatti dalla presenza delle tossine A (TcdA, enterotossina) e B (TcdB, citotossina). Sono stati identificati oltre 400 diversi ceppi tossigenici.[30]
Tutti i ceppi tossigenici esprimono la tossina TcdB, con o senza la tossina TcdA. La tossina B ha infatti attività citotossica più potente della tossina A. Entrambe le tossine sopravvivono nell’ambiente acido dello stomaco e sono in grado di legarsi alla superficie delle cellule epiteliali delle mucose intestinali dove vengono internalizzate e dove catalizzano la glicosilazione di alcune proteine citoplasmatiche, con successiva morte cellulare. Una terza tossina di cui non è chiara la patogenicità, la tossina binaria (CDT), è prodotta da alcuni ceppi di C. difficile. Questa tossina ha dimostrato di incrementare la virulenza di C. difficile attraverso l’adenosina difosfato-ribosilazione di actina, inducendo la formazione di protrusioni di microtubuli nelle cellule facilitando l’adesione del batterio sulla superficie cellulare. La tossina CDT può essere presente anche nei ceppi dove le tossine A e B sono assenti, riscontrati nei pazienti asintomatici.[31]
Esistono ceppi che producono quantità massive di tossine comparsi sin dal 2000. In particolare, C. difficile PCR-ribotipo 027 (BI/NAP1/027) è stato associato a un aumento della gravità dei casi, delle ricorrenze e della mortalità. Il ceppo produce entrambe le tossine in gran quantità a causa di una mutazione (delezione) del gene regolatore tdcC e possiede, analogamente ad altre specie di Clostridi, la tossina binaria CDT. Oltre allo 027, anche altri ribotipi epidemici considerati ipervirulenti sono emersi, alcuni a diffusione internazionale, come lo 078 e lo 018.
Una varietà di approcci di tipizzazione molecolare sono stati sviluppati per studiare il C. difficile e le CDI, tra cui: multilocus sequence typing (MLST), multilocus variable-number tandem-repeat analysis (MLVA), surface layer protein A gene sequence typing, amplificated fragment length polymorphism, elettroforesi su gel a campo pulsato (PFGE), analisi dell'endonucleasi di restrizione (REA), tossinotipizzazione (basata sui dati di sequenza delle tossine A e B) e ribotipizzazione PCR.[32] Quando nel 2005, l'analisi molecolare ha portato all'identificazione di un tipo di ceppo di C. difficile caratterizzato come gruppo BI mediante analisi di endonucleasi di restrizione, NAP1 di tipo a campo pulsato nordamericano mediante elettroforesi su gel a campo pulsato e ribotipo 027 mediante ribotipizzazione PCR multiplex è stato chiamato C. difficile BI/NAP1/027. La diversa terminologia riflette le tecniche predominanti utilizzate per la tipizzazione epidemiologica, anche se la ribotipizzazione PCR è quella più ampiamente accettata in Europa dove l'Anaerobe Reference Laboratory di Cardiff (UK) tiene la collezione dei ceppi e assegna la numerazione dei ribotipi PCR. In Nord America, PFGE è il metodo di digitazione preferito.[33]
Nel Nord America, a partire dal 2016, il ceppo NAP1 è stato sostituito da nuovi ceppi in alcune aree della British Columbia. Questi nuovi ceppi includono NAP2, NAP4, NAP9 e NAP11 e alcuni ceppi che non hanno una designazione NAP. La frequenza di questi nuovi ceppi è aumentata dal 2008 al 2013 in una regione studiata, sostituendo i batteri NAP1 originariamente più comuni e riconoscibili.
In generale, la maggior parte dei metodi di identificazione sono congruenti anche se non si ha una corrispondenza biunivoca tra le diverse tipizzazioni e solo le tecniche MLVA e REA consentono una sufficiente discriminazione tra diversi focolai.[34][35]
I principali database dove sono registrate le caratterizzazioni genetiche dei diversi ceppi di C. difficile sono: Enterobase[36] Public databases for molecular typing and microbial genome diversity (PubMLST).[37]
Alcuni ceppi, ad esempio RT017 RT078 RT027, possono vivere con basse concentrazioni di zucchero trealosio; questi ceppi sono diventati più comuni dopo che il trealosio è stato introdotto come additivo alimentare nei primi anni 2000, aumentando così l'assunzione di cibi addizionati di trealosio.[38][39]
Dal 2005, la morbilità e la mortalità derivanti da C. difficile sono aumentate costantemente in tutto il mondo in funzione dell'insorgenza di ceppi definiti ipervirulenti (in particolare il ribotipo 027). I meccanismi attualmente proposti che distinguono i ceppi ipervirulenti dai ceppi precedenti (meno virulenti) sono oggetto di controversia. Sono stati proposti: l'aumentato tasso di sporulazione, l'aumentata produzione di tossine, la capacità di sopravanzare i ceppi enedemici nell'intestino dell'ospite ma come questo patogeno sia diventato la principale causa di infezioni nosocomiali rimane sconosciuto e la classificazione di "ceppo ipervirulento" resta arbitraria.[40][41] Molti ceppi di C. difficile sono stati rilevati negli animali e in alimenti ricavati da animali facendo emergere anche l'ipotesi che molte trasmissioni del C. difficile nell'uomo siano correlate con l'alimentazione di carne o pesce o interspecie.[42][43][44][45][46][47]
Il pan-genoma del C. difficile è composto da un genoma centrale (quei geni presenti in tutti gli isolati) e da un genoma accessorio o adattativo (geni assenti da uno o più ceppi o unici per un particolare ceppo).
Una grande percentuale (11%) del genoma è costituita da elementi genetici mobili, principalmente sotto forma di trasposoni coniugativi.
L'analisi ha identificato quattro distinti cluster statisticamente supportati, comprendenti un clade ipervirulento, una tossina A - B +clade e due cladi con isolati umani e animali. Le differenze genetiche tra i cladi hanno rivelato diverse isole genetiche relative alla virulenza e all'adattamento di nicchia, tra cui resistenza agli antibiotici, motilità, adesione e metabolismo enterico. Solo il 19,7% dei geni era condiviso da tutti i ceppi.
Il genoma di C. difficile è ampio e geneticamente diverso, mostrando livelli notevoli di plasticità e livelli bassissimi di conservazione tra i ceppi.
C. difficile possiede un genoma "aperto" con livelli estremi di plasticità, con accesso e scambio frequente con più ambienti ospiti e pool genetici batterici. Di conseguenza, poiché vengono sequenziati più ceppi di C.difficile da linee divergenti e diverse fonti animali e ambientali, questa stima aumenterà probabilmente.
La prima sequenza genomica completa di un ceppo di C. difficile è stata pubblicata per la prima volta nel 2005 dal Sanger Institute nel Regno Unito. Si trattava del ceppo 630, un ceppo virulento e resistente ai farmaci isolato in Svizzera nel 1982. Gli scienziati del Sanger Institute hanno sequenziato genomi di circa 30 isolati di C.difficile utilizzando tecnologie di sequenziamento di nuova generazione da 454 Life Sciences e Illumina.
I ricercatori della McGill University di Montreal hanno sequenziato il genoma del ceppo di C. difficile del Quebec altamente virulento nel 2005 utilizzando una tecnologia di sequenziamento ad altissima velocità. I test hanno comportato l'esecuzione di 400 000 reazioni di sequenziamento parallelo del DNA del genoma del batterio, che era stato frammentato per il sequenziamento. Queste sequenze sono state assemblate computazionalmente per formare una sequenza genomica completa.
Nel 2012, gli scienziati dell'Università di Oxford hanno sequenziato i genomi di C. difficile da 486 casi verificatisi in quattro anni nell'Oxfordshire utilizzando le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione.
Nel 2006, Sebaihia e colleghi hanno descritto il primo genoma chiuso completamente sequenziato e annotato di C. difficile (ceppo 630; RT012).[25] Questo ceppo virulento, altamente trasmissibile e multiresistente di C. difficile è stato originariamente isolato nel 1982 da un paziente con PMC a Zurigo, Svizzera. Il sequenziamento e l'annotazione del ceppo 630 hanno rivelato un grande cromosoma circolare di 4 290 252 bp (4,3 Mb), 3 776 sequenze putative di codifica delle proteine (CDS) e un contenuto di GC del 29,06%. È stato anche identificato un plasmide circolare (pCD630) di 7 881 bp contenente 11 CDS.[25] Cinque anni dopo, Monot e colleghi[48] hanno riannotato il genoma del ceppo 630 utilizzando un approccio trascrittomico e proteomico combinato per aggiornare le funzioni putative di > 500 geni precedentemente putativi o sconosciuti. Da allora, molti altri genomi di dimensioni comprese tra 4,1 e 4,3 Mbp sono stati completamente sequenziati e annotati: CD37 (RT009; isolato negli Stati Uniti nel 1980), M68 (RT017; isolato in Irlanda nel 2006), CF5 (RT017; isolato in Belgio nel 1995), M120 (RT078; isolato nel Regno Unito nel 2007), G46 (RT027; isolato nel Regno Unito nel 2006), R20291 (RT027; isolato nel Regno Unito nel 2006), 196 (RT027; isolato in Francia nel 1985), 2007855 (RT027; isolato negli Stati Uniti nel 2007) e BI1 (RT027; isolato negli Stati Uniti nel 1988).[49][50][51] I genomi di riferimento come quelli dei ceppi 630 e M120 svolgono un ruolo importante nella pipeline di analisi dei dati NGS. Comprendono una sequenza inequivocabile e contigua di nucleotidi noti che attraversano l'intero cromosoma e plasmidi (se presenti), fornendo quindi un riferimento di altissima qualità per la mappatura dei genomi in bozza.
In sintesi, gli studi MLST su diverse raccolte di ceppi di C. difficile suggeriscono che ci siano cinque lignaggi o cladi che possono generalmente essere suddivisi per i più importanti ribotipi PCR; 027, 017, 023, 078 e un ampio gruppo comprendente il resto dei ribotipi PCR che rappresenta un lignaggio interessante altamente divergente.
C. difficile ha un epigenoma altamente diversificato, con 17 motivi di metilazione di alta qualità segnalati finora, la maggior parte relativi al tipo 6mA. È stato dimostrato che la metilazione in uno di questi motivi, CAAAA A, altamente conservato, influisce sulla sporulazione, un passaggio chiave nella trasmissione della malattia da C. difficile, nonché sulla lunghezza delle cellule, sulla formazione di biofilm e sulla colonizzazione dell'ospite.[52]
Un altro componente importante del mobiloma di C. difficile sono i batteriofagi (fagi). I fagi si sono evoluti con il C. difficile per periodi di tempo molto lunghi e l'infezione dei fagi è una parte intrinseca della storia naturale e della biologia del C. difficile. L'acquisizione di fagi e la loro perdita dal genoma di C. difficile sono eventi genetici significativi che hanno avuto un impatto sull'evoluzione dell'ospite.[53]
Almeno otto batteriofagi, principalmente temperati cioè lisogeni, sono stati isolati dal C. difficile, con dimensioni del genoma comprese tra circa 30 e circa 60 kb. Sia i ceppi di C. difficile di origine ambientale sia quelli di origine clinica sono portatori di un insieme diversificato e prevalente di profagi.
Solo i ceppi di Clostridioides difficile che producono tossine sono di rilevanza clinica.
La rapida evoluzione della resistenza agli antibiotici nel C. difficile[54] e i conseguenti effetti sulla prevenzione e il trattamento delle infezioni da C. difficile sono motivo di preoccupazione per la salute pubblica.[55]
I fattori di virulenza del C. difficile sono: enterotossina, spore e ialuronidasi. Questo bacillo si trova normalmente nel microbiota umano per cui, se si utilizzano per lungo tempo antibiotici, questi possono distruggere anche quei batteri che tengono confinato il C. difficile il quale può prendere il sopravvento e provocare crampi addominali e malattie varie (colite pseudomembranosa). Queste malattie hanno un decorso benigno e autolimitanti tranne nel caso in cui ci sono complicanze che possono compromettere la parete intestinale con un possibile passaggio in circolo del bacillo, con conseguente sepsi e quindi morte dell'individuo.
L'isolamento può avvenire tramite la coprocoltura in terreni selettivi per C. difficile. L'enterotossina può essere saggiata con il metodo ELISA, mentre la citotossina con rivelazione di tossicità in colture cellulari.
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