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pittore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Clemente Alberi (Bologna, 1803 – Bologna, 1864) è stato un pittore italiano, figlio del pittore Francesco Alberi[1].
Clemente Alberi compie come di consueto la propria formazione artistica presso l'Accademia di Belle Arti della propria città, ove insegnava il padre. La sua attività spazierà dalle pale d'altare alle copie di celebrati dipinti del seicento bolognese, ma sarà nella ritrattistica che raggiungerà una fama che si diffonderà anche oltre il territorio bolognese.
Del 1839 è la nomina a professore di pittura presso l'Accademia[2], ruolo che ricoprirà fino al 1860 tra odi e malumori, in quanto non riuscirà mai a sedare le voci che la sua posizione era stata ottenuta in quanto figlio di un altro professore dell'istituto. La sua ampia produzione di ritratti mostra però una innegabile qualità pittorica e un adeguamento stilistico, pur mantenendosi entro il recinto della cultura accademica. I ritratti giovanili quali quello della Contessa Giulia Tomasi Amiani di Fano (1831) lo vedono vicino ai modi del francese Ingres, mente in opere più tarde, quali il Ritratto dell'ing. Brunelli, del 1854, si avverte un tentativo di maggiore semplicità dovuto probabilmente all'influenza della nascente tecnica fotografica.
Una delle sue prime opere note giunte fino a noi è la copia dell'Ultima comunione di san Girolamo, eseguita nel 1824 in sostituzione di quella originale di Agostino Carracci, realizzata per la Chiesa di san Girolamo della Certosa, originale confluito nel 1815 nelle sale della nascente Pinacoteca Nazionale di Bologna. È questa tela un esempio di totale mimesi verso il celebratissimo originale, qualità che gli varrà anche la commissione da parte dell'imperatore di Russia Nicola I di copie di celebrate opere del Seicento. In questa occasione verrà descritto come «uno de' più valorosi giovani che oggi ci abbiano queste scuole (…) che in questa bella copia di tale insigne opera (…) ha cominciato a distinguersi fuori delle Scuole Accademiche»[senza fonte].
Altre sue copie di celebrate opere sono la santa Cecilia da Raffaello in san Giovanni Monte e quella da Guido Reni nella chiesa di Santa Maria della Pietà. La carriera scolastica prevedeva anche opere di invenzione per aggiudicarsi i vari premi, difatti figura con continuità tra i premiati dal 1819 al 1824. Di poco posteriore a questo periodo è il Paolo e Francesca da Rimini sorpresi da Lancillotto commissionato dal conte Amati di Rimini nel 1828, ora presso le collezioni della Cassa di Risparmio di Rimini.
A seguito del successo ricevuto all'Esposizione di Firenze del 1827, si devono le numerosi commissioni per Fano e Pesaro, sia per quanto riguarda la ritrattistica che l'esecuzione di pale d'altare. Le fonti dell'epoca ci segnalano tutta una serie di opere dedicate a storie del passato che, tra episodi edificanti e glorie della storia e dell'arte, volevano riproporre una rinnovata spinta morale e politica, in linea con il rapido mutare degli eventi italiani che porteranno verso l'Unità nazionale. Segnaliamo Gli amori di Rinaldo e Armida (1836), la Morte di Napoleone (1836), Brunelleschi e Costantino Sforza signore di Pesaro (1845).
Così viene ricordato il pittore insieme al padre nel quarto volume dell'Archivio Patrio di antiche e moderne rimembranze felsinee di Giuseppe Bosi: «Figlio del pittore Francesco nato in Rimini nel 1803. In tenerissima età venne condotto a Bologna per essere il padre con decreto Napoleonico stato prescelto a professore di pitura in questa Accademia di Belle Arti, ove in tale carica stette fino alla sua morte avvenuta nel 1836. Clemente fu scolaro del detto di lui genitore avendo esaurito l'intero corso nella prelodata Accademia. Nel 1832 venne nominato professore in Pesaro, ove si fermò per tre anni, e ritornato a Bologna nel 1839 fu eletto a succedere alla cattedra del padre».
È sepolto nella tomba di famiglia della Certosa di Bologna, al pozzetto n° 16 del vestibolo nord della Sala delle Catacombe.[3]
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