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partigiana, antifascista e brigatista italiana (1912-1988) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Cesarina Carletti nota come Cesira detta Nonna Mao (Torino, 24 agosto 1912 – Torino, 1º febbraio 1988) è stata una partigiana, antifascista e brigatista italiana.
Figlia di un operaio anarco-socialista, il quale la portava spesso alle riunioni clandestine del Partito Socialista e a quelle anarchiche. Rinunciò a prendere il diploma per non diventare una giovane italiana dell'Opera nazionale balilla per cui non poté continuare gli studi al liceo classico.
A 17 anni viene condannata a 5 anni di confino per aver spedito una lettera a Mussolini con scritto che "era stato un grande pagliaccio nel Partito Socialista", ma ebbe la pena scontata in 5 mesi di carcere. A dicembre del 1935 si sposò, ma poco dopo il marito viene richiamato per combattere la Guerra d'Etiopia e morì in combattimento, lasciandola vedova dopo sei mesi di matrimonio[1].
Il 29 ottobre 1940 muore il padre dopo esser stato malmenato dagli squadristi e nel 1942 entra nella resistenza, inizialmente con il compito di reclutare partigiani in città e portarli a combattere nelle Valli di Lanzo; dopo l'8 settembre entra nella Divisione cittadina di Giustizia e Libertà. Nell'ottobre 1943 è arrestata ma riesce a fuggire, però il 10 dicembre 1943 è ferita in combattimento a Mezzenile e portata nella Villa Triste di Via Asti; là viene torturata per dieci giorni dalle SS e dalle Brigate Nere, ma non parla.
Condannata a morte, la pena viene ridotta alla deportazione ed è trasferita prima nel comando delle SS e poi alle Carceri Nuove; arriva al Campo di concentramento di Ravensbrück il 30 giugno 1944 e viene in seguito trasferita al sottocampo di Schönefeld vicino a Berlino[2], verrà liberata dall'Armata Rossa. Quando fu liberata, pesava soltanto 35 chili[3]. Dopo essere stata curata alcuni mesi in Unione Sovietica, riuscì a tornare a Torino.
Nel dopoguerra aderisce al Partito Comunista Italiano e dopo l'attentato a Palmiro Togliatti il 14 luglio 1948 rimase tre giorni con il mitra ad aspettare il via libera per l'insurrezione armata contro la Democrazia Cristiana. Sempre più delusa dal PCI e dall'amnistia Togliatti, dopo il 1952 si allontanò dal partito e dalla fine degli anni '60 si avvicinò a Lotta Continua e a Potere Operaio.
Nel luglio 1975 venne chiamata in questura e poi portata al carcere Le Nuove per aver distribuito volantini delle Brigate Rosse,[4] in particolare della rivendicazione dell'assalto alla sede del Movimento Sociale Italiano di Padova del giugno 1974, dalla sua bancarella di piatti e pentolame a Porta Palazzo e per aver ospitato il brigatista Alfredo Buonavita.[5] Venne messa in libertà provvisoria dopo tre giorni, per poter provvedere ai sessantacinque gatti nella sua casa di Porta Pila[6].
Venne processata la prima volta nel 1976, ma venne assolta nel 1978; durante il processo disse[7]:
«Con questa sono 21 volte che sono stata in galera. E non mi sarei mai immaginata di ritrovarmi oggi con le stesse imputazioni del tribunale speciale fascista di 33 anni fa, quando ero partigiana; appartenenza a banda armata...»
E aggiunse:
«Le stesse facce, le stesse divise nere, la stessa vigliaccheria di tanti anni fa... non è cambiato niente!»
Assolta in ogni processo, è morta nella sua casa di Torino a 75 anni il 1º febbraio 1988[8].
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