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I Canti della Montagna pistoiese sono ciò che resta, dopo un lavoro di raccolta sistematica e non, della tradizione orale di questa zona.
Il primo a raccoglierli fu Niccolò Tommaseo (1832), che senza il rigore della ricerca antropologica, in un solo giorno raccolse i canti dalla sola persona di Beatrice Bugelli, esaltandone in seguito la purezza, semplicità ed estetica di questa poesia. Giuseppe Tigri raccolse e pubblicò nel 1856, 1860 e 1869, canti di questo territorio, esaltandone anch'esso la purezza, che cercava di dimostrare trascendente i limiti estetici, per diventare morale, espressione cioè di una vita incontaminata. Filippo Rossi-Cassiglioli, medico pistoiese, raccolse e pubblicò 26 libretti di maggi epici recitati sulla Montagna pistoiese. Francesca Alexander pubblicò due volumi di canti nel 1885 e nel 1887, raccolti nella zona dell'Abetone. Queste raccolte erano prive del rigore scientifico di ricerca. Il primo che si differenziò per la metodica d'indagine e per il rigore filologico e documentario, fu Michele Barbi, di Taviano (Sambuca Pistoiese), che alla fine dell'Ottocento pubblicò due saggi sui canti popolari pistoiesi. Il lavoro del Barbi, complessivamente inedito, fu depositato presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ricerche sul campo furono compiute negli anni '70 anche da Caterina Bueno.
Un importante lavoro su questa materia è la raccolta sistematica, con i metodi della ricerca etnomusicologica e antropologica, effettuata da Sergio Gargini, musicologo e sociologo, nei primi anni '70 del Novecento. Parte di questo lavoro è stato poi pubblicato col titolo Non son poeta e non ho mai studiato, cantate voi che siete alletterato, nel 1986. Il lavoro di Gargini ha recuperato un immenso materiale che rischiava di andare perduto, perché tramandato in forma orale. Questo lavoro ha dato inizio alla riscoperta, valorizzazione e la diffusione dei canti dalla tradizione orale. I canti sono sonetti, stornelli e ottave rime e quelli che seguono ne sono degli esempi.
«
Vita tremenda, vita tribolata
di chi va alla macchia la’ per lavorare
vita tremenda trista e strapazzata
non si può creder quanto immaginare
un’anima dell’inferno più dannata
non possa così tanto spasimare
non pole aver ne’ spasmo ne’ dolore
quante n’ha il carbonaro e tagliatore
Parte da casa tutto lieto il cuore
e va lieto in Sardegna a lavorare
lascia la moglie ni’ mezzo al dolore
sperando un giorno di poter tornare
Dicendo che se giova il mio sudore
speranza n’ho di far buoni guadagni
soccorso vi darò poi lo vedrete
comprerete il vestire e mangerete
Le speranze son bone capirete
perché il padron fa bone promessioni
si va per tutto come ben sapete
come secondo le combinazioni
in Corsica in Sardegna e infino e Riete
e per dicendo di maggior fortuna
s’ andrebbe anche ni’ ggrigio della luna
s’incontra una foresta folta e bruna
si fabbrica una cella per demorio
si fabbrica di legno terra e sassi
sembrava il ricovero dei tassi
la porta fan di rami e di altri assi
il letto ancor di ramo del più fino
polenda e cacio si doventa grassi
per risparmiar se ne mangia anco pochino
si dorme duro sotto quelle zolle
co’ i’ ccapo ‘n tera come le cipolle
il sangue nel mio cuore ancor mi bolle
star sette mesi e non mi spoglio mai
e tengo il foco acceso la’ in foresta
anda’ e veni’ che sembra un viavai
fra le visite e le cacciate
si passa a non dormir molte nottate
ora c’è l’ingiustizia e l’angherie
quando il capomacchia il prezzo viene a fare
da chi vuole 20, 25 e 30
uno e ottanta ce lo fan bastare
ma quande ha fatto il portafoglio pieno
lo mette in tasca e a noi ci da’ di meno
ed ora che risponde il poveretto
benché poco sia quel che tu mi dai
a termina’ il lavoro son costretto
senno’ a casa non ritorno mai
vedrò se a lavorar 5 o 6 mesi
tu mi rimandi a casa per le spesi
il dispensier che sta su’ libri tesi
non fa che aggiunger cifre ad altri zeri
tiengan di loro le misure e i pesi
per levarci quel che c’han dato ieri
poi c’è di tara un 15 per cento
poi c’è un rinsacco smisurato
quello lo fan secondo il suo talento
per levarci tutto quel che c’hanno dato
fra tara rinsacchi e fra rivelli
credete in dio ce ne rimangia mezzi
ritorna a casa dolorante e stracco
non è più omo
è diventato straccio…»
«
Semo venuti a far l'inserenata
padron di casa se contento siete
so che ci avete una figlia garbata
dentro le quattro mura la tenete.
Ma se per sorte fusse addormenteta
fatele un fischio che la sciornerete
ditele che l'è passo un de' suoi amori
la viene a salutar con canti e suoni
ditele che l'è passo un de suoi amanti
la viene a salutar con suoni e canti.
(sonetto di rispetto:)
Io ti vorrei veder nel mio giardino
e vederti sbocciar come una rosa
io ti darei volentieri un bacino
se sei contenta ti farei mia sposa
Se sei contenta dimmi la verità
non mi venir bugiarda
se no così non va.
Bella bellina chi v'ha fatto gli occhi
chi ve li ha fatti tanto innamorati
da sotto terra leveresti i morti
dal letto leveresti gli ammalati.
Tanto lavoro e tanta lavoranza
vostri begli occhi son la mia speranza
tanto valore e tanta valorìa
vostri begli occhi la speranza mia.
(sonetto di rispetto:)
Se la mia mano sfiora i tuoi capelli
e la tua fronte la vedrò arrossire
per noi saran quelli giorni più belli
sarà una contentezza da gioire.
Se sei contenta dimmi la verità
non mi venir bugiarda
se no così non va.»
«
O poveri soldati
C'abbiamo la cuccagna
In cima alla montagna
C'è il quartiere
Ci si sta volentieri
Perché c'è l'acqua bona
Se fulmina o se tona
Qui si sente
Si dorme duramente
Sopra d'un tavolone
Il povero groppone
Va in fracasso
Per capezzale un sasso
Messoci sotto il capo
Che c'è stato portato
Dall'Appennino
C'hanno proibito il vino
Sopra di questo monte
C'abbiamo un piccol fonte
D'acqua bona
Non si vede persona
Solo che un sol pastore
Dove con grande amore
Guida i suoi armenti
S’odono spesso i venti
Combatter tra di loro
E questo gli è il ristoro
Dei soldati
Poveri tribolati
Non si sa come fare
Che non si trova
Pane da mangiare
Vadino tutti in fumo
Capanne e capannini
E Modena coi confini
A noi non preme
Su Cutigliano insieme
Su tutto l'Abetone
La cima del Cimone
E di Fanano
Viva il nostro Sovrano
Con la sua faccia oliva
Evviva Ferdinando
Evviva evviva!!!!»
«
Ecco il ridente maggio
ecco quel nobil mese
che viene a dare imprese
ai nostri cuori (2v)
è carico di fiori
di rose e di viole
risplende con il sole
ogni riviera (2v)
Ecco la primavera
ecco il tempo novello
torna grazioso e bello
e più giocondo (2v)
rispetto:
(parlato)
Io sono venuto per
ambasciatore
dinanzi a voi
magnifica donzella
e mi ha mandato il vostro
caro amore
per lui io canto
per lui ho una favella
e mi ha mandato il vostro
caro aiuto
per lui io parlo
per lui io vi saluto
E vi saluta tante
volte tante
quante ne può pensar
la vostra mente
e v’ama tanto che
strugger si sente
or tocca a voi
ad essere costante
(riprende cantato)
Ecco che tutto il mondo
si riempie d’allegrezza
di gaudio di dolcezza
e di speranza (2v)
ecco la primavera
ecco il tempo novello
torna grazioso e bello
e più giocondo (2v)»
«
E sorte fuori la mosca dal moscaio
per agguantar la mora dal moraio.
Fra mosca e mora …
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il ragno dal ragnaio
per agguantar la mosca dal moscaio.
Fra ragno, fra mosca e mora …
m’innamorai di quella traditora.
E sorte fuori il grillo dal grillaio
per agguantar il ragno dal ragnaio.
Fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora …
m’innamorai di quella traditora.
(...)
(...)
(...)
E sorte fuori il leofante dal leofantaio
per agguantar il leone dal leonaio.
Fra leofante, fra leone, fra lupo, fra cane, fra gatto,
fra topo, fra grillo, fra ragno, fra mosca e mora ……
m’innamorai di quella traditora.»
Nel 1980 fu ripristinato il Cantar Maggio, come uso e costume sulla Montagna pistoiese, e spesso era il Collettivo folcloristico montano dello stesso Gargini a riarrangiare i Canti del Maggio. Autori come Maurizio Geri e Riccardo Tesi hanno lavorato sui canti della tradizione.[2]
Dal lavoro di Gargini in poi, i Canti del Maggio si fanno nel tempo i più rappresentativi della Montagna pistoiese, in quanto più cantati. Questi canti hanno acquistato il valore di una vera e propria allegoria alla vita ed alla rinascita, che va oltre la stretta annunciazione della primavera.
Grazie principalmente al Collettivo Folcloristico Montano, nel 2003, prende vita il Festival del Maggio Itinerante, un festival che parafrasando il calendimaggio, in tutto il mese di maggio porta gli stessi Canti del Maggio e gli altri canti della tradizione, davanti alle case e per le vie di molti paesi.
Sulla scia di questa tradizione nascono anche due festival musicali. Il primo, Sentieri acustici, diretto da Riccardo Tesi, prende come palcoscenico la world music, quindi un contesto internazionale; il secondo, il Montagna Folk Festival (svoltosi dal 2003 al 2007), sceglie il panorama della musica popolare e sue contaminazioni, della penisola italiana.
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