dio indù della creazione. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Brama[1] o Brahma (devanagari: ब्रह्मा, Brahmā) è nella lingua sanscrita l'adattamento in genere maschile del termine di genere neutro Brahman e indica, a partire da testi recenziori induisti, quella divinità predisposta all'emanazione/creazione dell'universo materiale.
Brama acquisisce quindi quel ruolo che nei testi più antichi è riservato a Prajāpati, ma a differenza di quest'ultimo Brama non è una divinità suprema quanto piuttosto è al servizio di altre divinità considerate supreme[2].
Brama non deve essere confuso con il Brahman Atmanupanisciadico che intende invece indicare quell'unità cosmica da cui tutto procede e da cui procede anche Brama che ne risulta un agente. Anche se va tenuto presente che nel loro variegarsi le teologie induiste possono intendere lo stesso Brahman come mera potenza impersonale della divinità principale intesa come Persona suprema, e di volta in volta indicata come Krishna-Visnù/Siva o queste, viceversa, possono rappresentare solo una sua manifestazione.
È chiamato anche Vedanatha (Dio dei Veda), Gyaneshwar (Dio della sapienza), Chaturmukha (colui che ha quattro volti), Svayambhu (autogenerato), Brahmanarayana (metà Brama e metà Visnù), ed il suo culto è collegato a Kamaloka ed all'Hiranyagarbha (sanscrito हिरण्यगर्भः: lett. "uovo" o "grembo cosmico")[3][4].
Insieme alle divinità Visnù e Siva forma la Trimurti, laddove gli antichi testi induisti enunciano altre triadi di divinità maschili o femminili (minori), che non includono Brama[5][6]. Brama è consorte della dea Sarasvati e padre dei quattro Kumara e di Dakṣa[7][8].
In quanto divinità creatrice dell'universo materiale, luogo da cui ogni esistenza dovrebbe invece "liberarsi", a Brahma non viene riservato un culto particolare; ciononostante, questo dio viene rappresentato in immagini cultuali e il suo nome può essere pronunciato durante i riti religiosi.
L'assenza di uno specifico culto riservato a Brahma viene spiegata tradizionalmente, tra gli altri, nello Skanda Purāṇa (I, 1,1 6 e III 2, 9,15), con il fatto che egli abbia mentito nel sostenere di aver raggiunto la cima del luminoso linga, qui inteso come asse del mondo.
La descrizione indù del processo di genesi dell'universo, pur avendo origini vediche, si è definita con la letteratura raccolta nella Smriti in particolar modo in quella puranica.
L'universo secondo gli indù è una realtà destinata a scomparire o meglio ad entrare in un periodo di latenza, di non manifestazione (avyakta) da cui riemergerà con una nuova emanazione (sarga). Tutto questo accade da sempre e per sempre accadrà. Colui che provoca ciò possiede l'appellativo di Bhagavat (colui che è divino, che è degno di adorazione, l'essere supremo eterno e inconcepibile) o anche di Svayambhu (esiste da sé stesso), e la compie al solo fine del gioco (lila)[9].
(SA)
«na prayojanavattvāt lokavat tu līlākaivalyam»
(IT)
«Egli non ha motivo di essere. Allo stesso modo il mondo è semplicemente un suo gioco.»
Il processo di emanazione si avvia con la fuoriuscita delle acque[10] dove egli pone il proprio sperma[11] generando l'uovo/embrione d'oro (hiranyagharbhah)[12]. Il non generato, il Bhagavat, prende al suo interno la forma di Brahma che ricalca, secondo Mario Piantelli[11] i più antichi hiranyagharbhah e Prajapati[13].
Dopo essere rimasto per un secolo nell'uovo d'oro, Brahma lo rompe fuoriuscendone, creando quindi nella parte superiore dell'uovo il mondo celeste, nella parte inferiore la terra e in mezzo lo spazio, l'etere. Tutto l'universo coincide con l'uovo di Brahma (Brahmanda).
Con l'universo Brahma genera i deva, il tempo, gli astri e i pianeti, le terre con i monti, gli oceani, i fiumi, ma anche delle potenze impersonali come l'ascesi (tapas), la parola (vac), il desiderio (kama), gli opposti (caldo-freddo, dharma-adharma, ecc.)[14]. E come il Purusha del Veda genera l'umanità ripartendola nelle quattro funzioni corrispondenti ai Varna
«Brahmā's ability to create is little more than an expertise or a technical skill that he employs at the behest of the greater gods; he is called upon whenever anyone is needed to create something, or even to create a pregnant situation— to give power to a potential villain so that the action of the conflict can unfold. […] Brahmā's mythology is derived largely from that of the god Prajāpati in the Brahmānas. Unlike Brahmā, Prajāpati is regarded as the supreme deity […]»
(Wendy Doniger, Encyclopedia of Religion, vol. 2. NY, Macmillan, 2005, p. 1023)
(EN) David Leeming, Creation Myths of the World, 2ªed., 2009, p.146, ISBN978-1598841749. & (EN) David Leeming, The Oxford Companion to World Mythology, Oxford University Press, 2005, pp.54, 183-184, ISBN978-0195156690., da cui sono estratte le seguenti citazioni: "Brahman è identificato con l'Assoluto, in modo particolare nella filosofia induista dei Veda. Nelle Upanishad, Brama diviene la causa prima eterna, presente ovunque e da nessuna parte, sempre e mai. Brahman può incarnarsi in Brama, Visnù, in Siva. In altre parole, tutto ciò che esiste, deve la propria esistenza all'opera di Brahman. In questo senso, l'induismo è in ultima istanza una religione monoteista o monista, che ritiene tutte le divinità come aspetti e manifestazioni di Brahman"; [Alle pagg. 183-184]: "Prajāpati, quando la sua qualità di dio creatore è identificato col Brama – ne diviene la personificazione (...) Mokṣa è l'elemento di raccordo fra l'assoluto trascendente Brahman and l'assoluto interiore Ātman."
(IT)
«Uccise il serpente che giaceva sulla montagna, Tvaṣṭṛ gli aveva foggiato il vajra (fulmine) risonante- come le vacche che muggendo fuggono fuori dal recinto, così le acque scesero rapidamente verso il mare. Eccitato prese il Soma bevendone il succo nelle coppe di triplice legno. Il generoso prese il vajra, l'arma che si lancia, è colpì il primo tra i serpenti. Quando tu. Indra, uccidesti il primo tra i serpenti annientasti anche gli inganni dei mentitori, generando il sole, il cielo, l'aurora. Nessuno più ti resistette.»
(IT)
«In principio si sviluppò come un embrione d'oro. Fin dalla sua nascita l'Uno fu il signore di ciò che era venuto in essere. Egli è diventato il sostenitore della terra e di questo cielo: al quale mai altro dio dovremmo noi offrire la nostra adorazione per mezzo dell'oblazione»
(Rigveda, X,121,1. Traduzione di Saverio Sani in Rigveda. Venezia, Marsilio, 2000, pagg. 68-9)