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filosofo cristiano ed apologista greco Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Atenagora di Atene (in greco: Ἀθηναγόρας; 133 circa – 190 circa) è stato un filosofo, teologo e scrittore greco antico, apologista cristiano vissuto nel II secolo.
Le notizie sulla vita di Atenagora sono molto scarse.
Atenagora non è citato né da Eusebio né da San Girolamo; qualche piccolo accenno si trova in Metodio[1], Epifanio[2] e Fozio[3]. Filippo di Side dice che Atenagora era un retore e filosofo ateniese dell'Accademia di Atene, convertito al Cristianesimo dopo la lettura delle Sacre Scritture consultate alla ricerca di temi da utilizzare nelle polemiche contro gli apologeti cristiani[4]. In seguito Atenagora si sarebbe recato ad Alessandria d'Egitto dove avrebbe fondato il prototipo della sua celebre accademia cristiana. Le date di nascita e di morte sono state calcolate per estrapolazione dalle opere a lui attribuite.
Due sono le opere rimasteci di Atenagora: un'apologia, intitolata Supplica in favore dei Cristiani (in greco: Πρεσβεία περί των Χριστιανών, Presbèia perì tôn Christianôn), e un trattato, attribuitogli con molte riserve, Sulla resurrezione dei morti (Περὶ τῆς αναστάσεως τῶν νεκρῶν, "Perì tês anastàseos tôn nekrôn").
La Supplica (titolo latino: Legatio pro Christianis) è una apologia di 37 capitoli indirizzata "agli imperatori Marco Aurelio e Lucio Aurelio Commodo, conquistatori dell'Armenia e della Sarmazia, e, quel che più conta, filosofi" tesa a difendere i Cristiani dalla triplice accusa, rivolta già agli ebrei, di ateismo (la mancanza di fede nelle divinità pagane), incesto per il fatto che predicassero l'amore fraterno e cannibalismo per via del rito eucaristico. In base alla dedica e alla citazione della pace nel primo capitolo, la data di composizione della Supplica è stata fissata fra la fine del 176 e il principio del 177. Gli argomenti utilizzati da Atenagora per ribattere ai tre capi di accusa sono di natura razionale.
Ai due imperatori pertanto Atenagora chiedeva per i Cristiani gli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri cittadini romani.
L'autore attribuisce a Platone il primato fra i filosofi greci, descrivendolo come un precursore del Dio cristiana e della nozione della Trinità. Il testo presenta la prima dimostrazione storica nota dell'esistenza di Dio, almeno fra gli autori della Cristianità. Viene esposta nel capitolo VII col nome di "Dimostrazione della fede" in quanto avente delle verità di fede come ipotesi (la generazione dell'Unigenito) e come tesi (l'esistenza e unicità di Dio).[7] L'argomento, imperfetto dal punto di vista teorico, consiste nel duplice legame fra generazione e eguaglianza o somiglianza, nonché fra quest'ultima e la possibilità di coesistere insieme, in particolare in un medesimo spazio geografico. Secondo Atenagora, solamente le creature che si generano le une con le altre sono identiche oppure una a immagine e somiglianza dell'altra. Di nuovo, solamente queste ultime possono coesistere insieme e in uno stesso luogo.[7]
L'argomento fu applicato al Verbo di Dio, generato dal Padre Dio e Dio egli stesso. La loro identità rende possibile la loro coesistenza e sovranità sul mondo. Tuttavia, la concezione trinitaria risulta viziata da una nozione incompleta dello Spirito Santo la cui sostanza e identità di Dio sembra non essere definita chiaramente, pur ammettendo che la terza divina persona della ss. Trinità è "emanante da Dio Padre e a lui riveniente come un raggio" di luce.[7]
L'argomento fu applicato anche contro gli dei pagani, per destituire i fondamenti filosofici del politeismo. In quanto ingenerati, gli dei pagani sono dissimili e non possono coabitare in una casa comune.[7] D'altra parte, il mondo creato ammette di essere avvolto dalla provvidenza e potenza di un unico Dio il quale non sarebbe perfetto, onnipotente e onnisciente se dovesse condividere la propria signoria sul creato con altri dei dissimili e discordi da Lui. L'ipotesi residua porta a postulare l'associazione dei molteplici dei con altrettanto mondi possibili la cui separazione da quello delle creature umane li rende invisibili, privi di effetti indiretti o di facoltà di controllo e intervento. Un Dio che non si vede, non opera e non giudica è riconducibile per l'uomo ad un essere che in realtà non è.[7]
L'argomento di Atenagora sarebbe poi stato ripreso da san Giovanni Damasceno, Dottore della Chiesa, nel suo trattato De fide ortohodoxa.[7]
Ad Atenagora, ma con molte riserve, è attribuito un secondo lavoro intitolato Περὶ τῆς αναστάσεως τῶν νεκρῶν (La risurrezione dei morti). Il trattato è diviso in due parti, nella prima vengono confutate le obiezioni contro la tesi della risurrezione, nella seconda si dimostra che la risurrezione è possibile. Rifiutando il dogma platonico del corpo come prigione dell'anima e affermando la complementarità tra materia e spirito, Atenagora accetta la risurrezione fisica dei morti sulla base dell'onnipotenza di Dio allo scopo di rendere manifesta per l'eternità l'immagine umana.
Il più antico testo di quest'opera di Atenagora si trovava nel Codex parisinus graecus (anno 914), immediatamente dopo il testo della Supplica per i Cristiani, copiato per Areta di Cesarea dal suo segretario Baanes[8]. L'attribuzione ad Atenagora di quest'opera viene tuttavia di solito negata per motivi di stile e di contenuto[9].
La Chiesa ortodossa lo considera santo e lo ricorda il giorno 24 giugno.
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