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fotografa canadese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Arwa Abouon (Tripoli, 1982 – Montreal, 9 giugno 2020) è stata una fotografa canadese.
Lei e la sua famiglia discendono dal popolo Amazigh, cioé berbero che significa "uomini liberi"[1]. Nel 1983 il padre, preoccupato per l'incolumità dei figli in seguito ai proclami di reclutamento alle armi di Muammar Gheddafi, preferì emigrare in Canada portando via tutta la famiglia[2].
Abouon studiò alla Università Concordia di Montreal, dove si laureò in design e Belle Arti, con lode, nel 2007[3]. La sua opera riflette in gran parte il forte contrasto insito nella sua stessa identità: essere stata una canadese occidentale di origini berbere e al tempo stesso musulmana, anche se, come dichiarò lei stessa, parlava poco e male l'arabo. Le sue fotografie sono state spesso autobiografiche proprio per raccontare lo sdoppiamento identitario che si trovò a dover vivere ma che al tempo stesso rappresentavano anche una ricchezza. Utilizzava spesso, quale mezzo espressivo preferito, i dittici, talvolta con immagini contrapposte come ad esempio. I’m Sorry / I Forgive You e Mirror Mirror Allah Allah, quest'ultimo premiato alla 26ª Biennale di Alessandria d'Egitto per i Paesi del Mediterraneo[2].
Come ebbe a commentare in occasione della mostra di Alessandria: "Questo [dittico] può anche essere collegato alla mia educazione tra due culture e alla ricerca di un equilibrio con queste influenze. Penso che queste dualità siano più una benedizione che una stampella perché riesco a comprendere fattori diversi o a volte persino opposti in modo più soggettivo" e aggiunse "Questo specchio riflette ciò che gli mostriamo e per prosperare dobbiamo tornare alla semplicità e trattare le differenze di opinioni delle persone con rispetto e con una mente aperta"[4].
Le sue fotografie sono state esposte in varie mostre in America, Europa, Asia, Medio Oriente e, naturalmente, in Canada[2]. Sue foto sono state esposte anche in Italia presso le Gallerie delle Prigioni a Treviso, l'edificio che ospitava le prigioni asburgiche che Luciano Benetton ha restaurato e che viene gestito tramite una Fondazione. La mostra collettiva cui Abouon ha preso parte, dal titolo Sahara: What is Written Will Remain, si è tenuta nel 2018 con autori provenienti dall'Africa[5].
La sua morte è stata improvvisa e le sue cause ignote[2].
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