ragionamento critico formulato da Aristotele Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'argomento del terzo uomo (τρίτος ἄνϑρωπος) è un ragionamento critico fondato sul principio del regressus in infinitum, formulato da Aristotele e rivolto a contestare un particolare aspetto della dottrina platonica delle idee, mettendo in discussione la trascendenza di queste ultime rispetto agli enti sensibili.
Proposto per la prima volta dallo stesso Platone nel Parmenide,[1] l'argomento fu poi ripreso da Aristotele per opporsi alla teoria del maestro e contestarne la concezione trascendente delle idee.[2]
L'esempio portato da Aristotele nel suo rilievo critico è quello di un uomo, da cui il nome dell'argomento. Egli obiettò che, secondo la teoria platonica, tutti gli uomini del mondo sensibile sono tali perché partecipano dell'Idea di Uomo, perfetta in sé, ma separata rispetto a quei singoli uomini. Nonostante una tale separazione, tuttavia, vi deve pur essere un legame, o elemento in comune, in base al quale quegli uomini particolari siano effettivamente partecipi del loro Ideale corrispondente, altrimenti non vi parteciperebbero affatto. Proprio l'idea del «terzo uomo» rappresenta dunque tutto ciò che vi è in comune tra gli uomini sensibili e l'Uomo ideale. Ma a questo punto, anche il terzo uomo si troverebbe separato dall'Idea, e vi sarebbe bisogno di un ulteriore elemento che ne rappresenti gli aspetti in comune, poi un altro ancora, e così via all'infinito. Si parla pertanto in questo caso di "regresso all'infinito".
Aristotele conclude che una tale moltiplicazione degli enti rivela l'inefficacia della teoria che postuli una separazione tra gli individui corporei e le loro Idee corrispondenti. Ogni realtà deve piuttosto avere in se stessa, e non in cielo, le ragioni del proprio costituirsi (immanenza). Nel caso dell'esempio, «uomo» è un predicato comune a più enti, a cui viene erroneamente conferita un'esistenza autonoma da ciò di cui si predica, come se il predicato fosse esso stesso un uomo.[3]
Platone tuttavia era già consapevole di una tale obiezione, mostrando di conoscerla non solo nel Parmenide,[1] ma anche in Repubblica[4] e nel Timeo.[5] Essa quindi non inficerebbe la dottrina delle idee quale egli la professava, ma solo l'erronea tendenza a separare le idee dagli enti sensibili, concependole come fossero degli enti sensibili anch'esse.[6] Platone avrebbe utilizzato per primo l'argomento presente nell'aristotelico «terzo uomo» per evitare che la sua dottrina venisse fraintesa.[7] Il rapporto tra idee e mondo fenomenico è stato d'altronde da lui illustrato secondo ottiche diverse, non solo come metessi (partecipazione) e mimesi (imitazione), ma anche come diairesi (principio della divisione), e processione dall'Uno e la Diade.[8]
Aristotele avrebbe però utilizzato l'argomento del «terzo uomo» proprio per contestare alla radice la dottrina delle idee,[9] da lui interpretate, a differenza del suo maestro Platone, in senso statico e come semplice duplicazione del piano fisico.[10]
Alcune questioni sollevate da Aristotele contro la trascendenza platonica delle idee saranno comunque fatte proprie dai successivi filosofi neoplatonici, i quali, pur criticandole, le integrarono con una visione anche immanente dell'intellegibile, che ad esempio in Plotino viene veicolato dall'ipostasi dell'Anima negli organismi viventi, diventando la loro ragione formante e operante dall'interno.[11]
Parmenide, 132 a-b. In esso Platone aveva fatto l'esempio non di un uomo, ma di qualcosa di «grande», spiegando come fosse erroneo separare quel «grande» dall'idea di Grande in sé, perché darebbe luogo a un'infinità di realtà intermedie per giustificare la loro relazione. Aristotele avrebbe ripreso l'argomento direttamente da Platone, oppure indirettamente tramite riesposizioni della scuola megarica, cinica, o del sofista Polisseno (cfr. Clemens Baeumker, Über den Sophystes Polixenos, in «Rheinisches Museum», XXXIV, 1879, pagg. 64-83).
Aristotele, Metafisica, libro A, 9, 990b 15-17; libro A, 9, 991a 2-5; libro Z, 6, 1032a 2-4; libro Z, 13, 1039a 2-3; libro M, 4, 1079b 11-13; Confutazioni sofistiche, XXII, 178b 36 - 179a 110. Si noti che nei testi di Aristotele a noi pervenuti l'argomento è solo segnalato o riportato con rilevanti differenze linguistiche rispetto alla tradizione. La versione più nota è ricostruita tramite il commento di Alessandro di Afrodisia (III sec. d.C.) alla Metafisica, dove si fa riferimento al perduto De Ideis dello Stagirita e se ne riportano alcuni frammenti. Si tenga però in considerazione che non vi è consenso unanime nell'attribuire De Ideis ad Aristotele e che le uniche informazioni certe su questo lavoro sono ritenute proprio le trascrizioni fatte da Alessandro nei suoi commentari.
«Poiché l'idea è ciò che il particolare ha come attributo, il "terzo uomo" è delegittimato quale argomento contro le Idee, perché Idea e particolare non possono essere trattati come membri omogenei di una molteplicità» (Harold Cherniss, Aristotle's criticism of Plato and the Academy, pag. 298, Russell & Russell Pub, 1962).
H. G. Krämer, Platone e i fondamenti della metafisica. Saggio sulla teoria dei principi e sulle dottrine non scritte di Platone, trad. it. di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano 1982.
Così P. Wilpert, Das Argument vom «dritten» Menschen, in «Philologus», 94 (1941), pagg. 51-64. Anche L. Lugarini, L'argomento del «Terzo uomo» e la critica di Aristotele a Platone, in «Acme», 7 (1954), pagg. 3-72.
(EN) J. Kung, Aristotle on Thises, Suches and the Third Man Argument, in Phronesis, vol.26, n.3, 1981, pp.207-247.
(EN) G. E. L. Owen, The Place of the Timaeus in Plato’s Dialogues, in The Classical Quarterly, vol.3, n.1/2, 1953, pp.79-95. anche in Studies in Plato’s Metaphysics, edito da R. E. Allen, Londra, Routledge & Kegan Paul, 1965, pp.313-338.
(EN) Gregory Vlastos, The Third Man Argument in the Parmenides, in Philosophical Review, vol.63, n.3, pp.319-349. anche in Studies in Plato’s Metaphysics, edito da R. E. Allen, Londra, Routledge & Kegan Paul, 1965, pp.231-263.
(EN) Gregory Vlastos (a cura di), Plato: A Collection of Critical Essays, vol. 1, New York, Anchor, 1971, pp.184-200.