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pirofregata (successivamente pirocorvetta) della Regia Marina Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'Archimede è stata una pirofregata (successivamente pirocorvetta) della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, successivamente acquisita dalla Regia Marina.
Archimede | |
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L’Archimede in disarmo a Napoli nel 1867 | |
Descrizione generale | |
Tipo | pirofregata di II rango a ruote (1843-1863) pirocorvetta a ruote di II ordine (1863-1875) |
Classe | Ercole |
Proprietà | Real Marina del Regno delle Due Sicilie Marina del Regno di Sardegna Regia Marina |
Costruttori | Regio Arsenale, Castellammare di Stabia |
Impostazione | 4 maggio 1842 |
Varo | 3 ottobre 1844 |
Entrata in servizio | maggio 1845 |
Radiazione | 30 novembre 1883 |
Destino finale | venduta nel 1884 e demolita |
Caratteristiche generali | |
Dislocamento | carico normale 1306 t pieno carico 1455 t |
Lunghezza | (tra le perpendicolari) 57,44 m |
Larghezza | 10,43 m |
Pescaggio | medio 4,31 m |
Propulsione | 4 caldaie tubolari 1 motrice alternativa a vapore Maudslay & Field potenza 300 CV 2 ruote a pale articolate armamento velico a brigantino (poi a brigantino goletta) |
Velocità | 7 nodi (12,96 km/h) |
Autonomia | 192 ore a 7 nodi |
Equipaggio | 7 ufficiali, 181 tra sottufficiali e marinai |
Armamento | |
Artiglieria | nel 1861: |
dati presi principalmente da Marina Militare, Le pirocorvette Ercole ed Archimede e Marinai | |
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Costruita tra il 1842 ed il 1845 nei cantieri di Castellammare di Stabia per conto della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, seguiva al vascello a due ponti Archimede (1795-1815) della stessa marina. L'unità era gemella dell’Ercole, ed era una delle prime due navi da guerra a vapore costruite nel Regno delle Due Sicilie. L'apparato propulsivo era costituito da quattro caldaie tubolari Gruppy e da una macchina alternativa a vapore Maudslay & Field, che imprimeva la potenza di 300 CV a due ruote a pale laterali articolate tipo Morgan, permettendo una velocità di 7 nodi ed un'autonomia, a tale velocità, di 192 ore[1][2][3].
La nave aveva inoltre due alberi a vele quadre (armamento velico a brigantino), il secondo dei quali, l'albero maestro, divenne poi a vele auriche (brigantino goletta)[1][3]. L'armamento si componeva in origine di dieci bocche da fuoco: un cannone a canna liscia da 117 libbre, uno da 60 libbre, quattro obici lisci Paixhans da 30 libbre ed altrettanti in bronzo da 12 libbre[1][3].
Nel 1848-1849, durante la rivolta indipendentista della Sicilia, la nave, al comando del capitano di fregata Viglieco, venne più volte inviata in Sicilia per reprimere la ribellione[3]. Nell'aprile del 1849 la pirofregata bombardò Taormina, Messina e Catania e, per ordine del comandante di squadra, tolse dalla bandiera i colori nazionali che vi erano stati aggiunti nel febbraio 1848 in seguito alla proclamazione dello Statuto. Il 2 aprile l'unità, insieme alle pirofregate Roberto e Carlo III, si portò nelle acque di tra Schisò e Taormina, che si arrese l'indomani sera[4].
Successivamente la pirofregata effettuò numerose crociere nelle acque del Mar Mediterraneo, fino all'11 febbraio 1851, quando entrò nei cantieri di Castellammare per esservi sottoposta a lavori di grande manutenzione[3].
Nel 1854 l’Archimede, al comando del capitano di fregata Gonzales, prese a rimorchio il brigantino statunitense Golden Rule, impedendo che naufragasse: per questa coraggiosa azione il Congresso di Washington insignì il comandante Gonzales di Medaglia d'oro al merito[3].
Il 20 aprile 1860, durante i moti siciliani che precedettero l'impresa dei Mille, l’Archimede venne inviata a perlustrare, insieme alla pirocorvetta Stromboli, la costa tra Mazara e Capo Passero[5]. Il 27 maggio 1860, giorno dell'attacco garibaldino a Palermo, l’Archimede, al comando del capitano di fregata Carlo Flores ed assegnata alla squadra del brigadiere Luigi Chrétien, si trovava nel porto siciliano.
Il 21 agosto 1860 la pirofregata cannoneggiò Torre Faro e catturò nello stretto di Messina, insieme ai rispettivi equipaggi e comandanti, circa quindici barche reduci dallo sbarco dei garibaldini della Divisione Cosenz a Favazzina[3].
Successivamente, il 7 settembre 1860, la pirofregata, che si trovava a Napoli, disobbedì all'ordine di seguire Francesco II a Gaeta, e passò alla Marina sarda, come la maggior parte della flotta del Regno delle Due Sicilie[3].
Il 7 gennaio 1861, nel corso del lungo assedio di Gaeta, la nave trasportò da Genova a Mola di Gaeta un battaglione sardo-piemontese a rinforzo delle truppe assedianti[3].
Il 17 marzo 1861 l’Archimede venne incorporata nella neocostituita Regia Marina[3]. L'armamento venne ridotto a sei pezzi da 160 mm (40 libbre), quattro a canna liscia e due a canna rigata[2][3].
L'11 dicembre 1862 l'unità venne inviata a Rodi Garganico, nel luogo dove due giorni prima era naufragato il rimorchiatore San Pietro di cui recuperò i rottami, trasportandoli poi ad Ancona.
Nel giugno 1863 la nave venne declassata a pirocorvetta[3]. In quello stesso anno l’Archimede portò soccorso al piroscafo italiano Cairo, incagliato presso Bari, e qualche tempo dopo (durante lo stesso anno) alla pirofregata Garibaldi, incagliata presso Brindisi.
Negli anni successivi la nave fu tra le più attive nelle crociere nel Mediterraneo[2], trascorrendo anche vari periodi in disarmo[3].
Nel maggio 1879 la pirofregata subì una nuova sostituzione dell'armamento, che divenne composto da un cannone a canna rigata da 179 libbre e quattro da venti libbre[3]. Al comando del capitano di fregata Raffaele Cabarra, l’Archimede venne quindi inviata (1879) in America Latina come stazionaria, per proteggere gli interessi delle comunità italiane là stabilitesi[3]. Nell'occasione la nave risalì il Paranà[6]. Dopo lo scoppio della guerra tra Cile e Perù, la pirofregata attraversò lo stretto di Magellano e si trasferì così nell'Oceano Pacifico, quindi, dopo aver stazionato per diverso tempo in Perù, venne inviata a Panama, dove comandante ed equipaggio vennero sostituiti con personale appena giunto dall'Italia sul trasporto Città di Genova[3]. Con un nuovo equipaggio, l’Archimede fece rotta verso sud e stazionò nei porti del Cile, recandosi più volte anche in Ecuador[3].
Ormai obsoleta ed usurata, la vecchia nave, con lo scafo troppo malconcio per poter convenientemente riattraversare l'oceano e tornare in Italia, venne disarmata nell'agosto 1883[7] a Callao, dove il 30 novembre di quell'anno, giorno della radiazione, avvenne l'ultimo ammainabandiera[3]. L'equipaggio tornò in Italia sul pirotrasporto Conte di Cavour, mentre l’Archimede venne ceduta per demolizione ai fratelli Barabino & C. di Callao, al prezzo di 173.230 lire[3].
Nel corso dei 37 anni di servizio della nave si erano succeduti venti comandanti: nove borbonici, due sardi e nove italiani[3][8].
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