Arbor infelix
locuzione latina Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I latini indicavano con arbor infelix (albero o pianta infelice) l'albero che, diversamente dall'arbor felix (albero felice) non dava frutti[1] o ne produceva di selvatici e non commestibili.[2] L'espressione veniva utilizzata anche in ambito religioso e cultuale, distinguendo le piante benefiche da quelle maledette e care agli dèi inferi, delle quali un elenco si trova in Macrobio: il linterno, la canna sanguinea, la felce, il fico nero e quelle che hanno bacche e frutti neri, come l'agrifoglio, il pero selvatico, il pungitopo, il lampone e i rovi.[3]
In particolare, Plinio riferisce che sono dette infelices e damnatae le piante che «non vengono mai seminate e non portano frutto».[4] Macrobio informa altresì che queste liste erano presenti in un'opera di Tarquinio Prisco, l'Ostentarium, e pertanto riflettono una tradizione etrusca.[5]
In altro contesto è ancora citato l'arbor infelix. Definita la lex horrendi carminis, che colpiva i rei di perduellio, Livio descrive la pena irrogata al colpevole: «gli sia coperto il capo, sia sospeso con una corda all'albero infelice, sia frustato dentro e fuori il pomerio».[6] Essere sospeso all'albero significava esservi legato in posizione elevata da terra[7] e il condannato veniva battuto con le verghe fino a provocarne la morte.
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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