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pittore italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Antonio Maria Marini (Venezia, 9 febbraio 1668 – Venezia, 15 dicembre 1725) è stato un pittore italiano.
Nacque a Venezia da padre padovano nel 1668, ma trascorse gli anni della giovinezza a Padova, dove si formò come pittore[1].
Intorno al 1693 si trovava sicuramente a Bologna, come testimoniato dal reverendo Domenico Mauro Doria Montini[1][2]. Nel febbraio 1694, si sposò a Bologna con Caterina Pirondi e in quel periodo esercitò la sua arte nella stessa città e nel circondario[1].
In questi anni probabilmente conobbe Antonio Francesco Peruzzini o perlomeno ebbe modo di vedere alcuni suoi dipinti[1]. Le opere del Marini, infatti, risentono fortemente della pittura di Salvator Rosa, le cui suggestioni può aver assimilato attraverso l'opera del Peruzzini[1]. Eseguì alcune opere per il conte Zambeccari, oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna, tra cui due Marine in tempesta e altri paesaggi: tutti questi dipinti denotano una sensibilità pre-romantica, caratteristica del Rosa[1].
Trasferitosi a Padova intorno al 1700, entrò in contatto con Sebastiano Ricci, che stava lavorando nella Basilica di Santa Giustina.
Nel 1702 l'artista si spostò a Venezia, dove nel 1707 si sposò in seconde nozze con Elisabetta Costadoni[1]. Risalgono a questo periodo d'inizio Settecento i venti dipinti acquistati da Lord Edward Irwin, che ancor oggi si trovano presso la Temple Newsam House, edificio annesso alla City Art Gallery di Leeds[1].
Specializzato nella pittura di paesaggi resi in modo "spettacolare", Antonio Marini apparteneva alla scuola veneta[3]. Dipinse anche battaglie (Quadreria Emo Capodilista - Padova)[4].
Utilizzò una tecnica a larghe pennellate, come è possibile notare nel dipinto "Montagne con arco naturale e cavalieri" (1710-1720?), un paesaggio arcadico e fantasioso, conservato presso l'Accademia Carrara a Bergamo[3]. Questo modo di dipingere è comune anche ad altri pittori dell'area padana, anche assai diversi, come Alessandro Magnasco e Marco Ricci[3]. Infatti gran parte della sua produzione fu attribuita erroneamente al Ricci e spesso anche al Magnasco, al Rosa e al Guardi[1].
Nelle sue opere la profondità è resa dalla sovrapposizione di piani a diverse distanze, le figure sono appena delineate con rapide pennellate, denotando una libertà di scrittura impensabile per quei tempi[1]. Fu merito suo se oggi si può ammirare il vero ritratto di Dante a 32 o 33 anni, dipinto da Giotto intorno al 1298.
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