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figura mitologica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Secondo l'Eneide,[1] Amata era moglie del re Latino e madre di Lavinia, futura sposa di Enea.
Virgilio racconta che, spinta dalla furia Aletto, a sua volta inviata da Giunone (acerrima nemica dei Troiani), Amata cercò in tutti i modi di opporsi alla decisione del marito Latino di dare in sposa ad Enea la figlia Lavinia, peraltro già promessa a Turno, re dei Rutuli. Per impedire le nozze tra Lavinia ed Enea, Amata nascose la figlia nei boschi. Quando poi il conflitto tra Rutuli e Troiani volse a favore di questi ultimi, Amata, sentendosi responsabile dell'accaduto, si uccise impiccandosi:
«Accidit haec fessis etiam fortuna Latinis, quae totam luctu concussit funditus urbem. regina ut tectis uenientem prospicit hostem, incessi muros, ignis ad tecta uolare, nusquam acies contra Rutulas, nulla agmina Turni, infelix pugnae iuuenem in certamine credit exstinctum et subito mentem turbata dolore se causam clamat crimenque caputque malorum, multaque per maestum demens effata furorem purpureos moritura manu discindit amictus et nodum informis leti trabe nectit ab alta.»
«In questo tempo un infortunio orrendo, Timor, confusïone e duolo accrebbe Agli afflitti Latini, e pose in pianto Il popol tutto: e fu che la reina, Visto da lunge incontro a la cittade Venire i Teucri, e già le faci e l’armi Volar per entro, e piú nulla sentendo O vedendo de’ Rutuli o di Turno. Onde aita o speranza le venisse, Si credè la meschina che già l’oste Fosse sconfitto, e ’l genero caduto, Ogni cosa in ruina. E presa e vinta Da súbito dolore, alto gridando: Ah! ch’io la colpa, disse, io la cagione, Io l’origine son di tanto male. E dopo molto affliggersi e dolersi, Già furïosa e di morir disposta Il petto aprissi, e la purpurea veste Si squarciò, si percosse, e de l’infame Nodo il collo s’avvinse, e strangolossi.»
Secondo un'altra versione del mitico scontro tra Latini e Rutuli, Amata sarebbe stata invece cugina di Turno, un disertore latino, posto a capo dell'esercito dei Rutuli.[2]
La regina Amata è citata anche nel canto XVII del Purgatorio dantesco:
«E come questa imagine rompeo
sé per sé stessa, a guisa d’una bulla
cui manca l’acqua sotto qual si feo,
surse in mia visïone una fanciulla
piangendo forte, e dicea: "O regina,
perché per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t’ hai per non perder Lavina;
or m’ hai perduta!»
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