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L'espressione affare di Leningrado (in russo Ленинградское дело?, Leningradskoe delo) indica una serie di processi svoltisi tra la fine degli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta a carico di alcuni importanti esponenti politici sovietici, accusati di aver dato vita ad una corrente ostile al potere centrale.
I primi attacchi ai membri del cosiddetto "gruppo di Leningrado" furono portati avanti da Georgij Malenkov e appoggiati da Stalin. Nel febbraio del 1949 un decreto del Politburo imputò loro azioni antipartitiche e antistatali, mentre Aleksej Kuznecov, organizzatore della difesa di Leningrado durante la Seconda guerra mondiale e divenuto successivamente membro della Segreteria del Comitato Centrale, fu paragonato a Zinov'ev e accusato del tentativo di «trasformare l'organizzazione partitica leningradese in un caposaldo della propria frazione antileninista».
Pochi giorni dopo Malenkov si recò personalmente a Leningrado, convocò una riunione plenaria congiunta del Comitato cittadino e di quello regionale del partito e in quella sede attaccò duramente i "leningradesi", come Kuznecov, e il primo e il secondo segretario del Comitato cittadino, Popkov e Kapustin.[1] L'assemblea votò l'estromissione degli accusati dai propri ruoli e a capo del partito a Leningrado fu posto Vasilij Andrianov. Popkov, Kapustin e altri dirigenti vennero espulsi dal partito, mentre in agosto Kuznecov e Popkov vennero arrestati unitamente al Presidente del Consiglio dei ministri della RSFS Russa Rodionov e al presidente del Comitato esecutivo del Soviet cittadino di Leningrado Lazutin. Parallelamente, già dal gennaio del 1949 era iniziata un'indagine relativa all'operato del Gosplan, presieduto da Nikolaj Voznesenskij, che venne a sua volta arrestato il 27 ottobre.[2][3]
Nell'ottobre 1950, dopo il ripristino della pena di morte abolita nel 1947, vennero condannati alla pena capitale e giustiziati Voznesenskij, Kuznecov, Popkov, Rodionov, Lazutin e Kapustin, mentre altri dirigenti subirono condanne a pene detentive. Altri arresti e processi si svolsero fino al 1952.[4][5] Il caso fu rivisto nel 1954, dopo la morte di Stalin, e portò alla piena riabilitazione di tutti gli imputati da parte del Presidium del Comitato centrale del PCUS.[6] Della fabbricazione del caso furono accusati in primo luogo Lavrentij Berija, giustiziato nel 1953, e il suo braccio destro Viktor Abakumov, ma ne uscì discreditato anche Malenkov, il cui ruolo nella vicenda risultò determinante nel risolvere a favore di Nikita Chruščëv la lotta per il controllo del partito e del Paese nel dopo-Stalin.[7][8]
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