Vanità
eccessiva credenza nelle proprie qualità e voglia di piacere agli altri / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Nel linguaggio comune, il termine vanità indica un'eccessiva credenza nelle proprie capacità e attrazione verso gli altri. Prima del XIV secolo non aveva alcun significato narcisistico, ma era considerata una futilità. Il relativo termine vanagloria oggi è visto come un sinonimo arcaico della vanità, un'ingiustificata vanteria. Dal suffisso vanus (mancanza di) e dal latino gloria.
In ambito filosofico, la vanità si riferisce ad un più ampio senso di egoismo e superbia. Friedrich Nietzsche scrisse che, secondo lui, "la vanità è la paura di apparire originali: perciò è una mancanza di superbia, ma non necessariamente di originalità". In uno dei suoi aforismi, Mason Cooley disse che "la vanità, nutrita bene, diventa benevola. Se affamata, diventa maligna".
In molte religioni la vanità, nel suo significato più moderno, è considerata come una forma di auto-idolatria, nella quale l'individuo rifiuta Dio per la sua propria immagine, e di conseguenza non gli viene più concessa la grazia divina. Le storie di Lucifero, di Adamo ed Eva, di Narciso e di vari altri accompagnano i protagonisti verso l'aspetto insidioso della vanità stessa. Negli insegnamenti Cristiani la vanità è vista come un esempio della superbia, una dei sette peccati capitali. Questo elenco si è allargato ultimamente con l'aggiunta della vanagloria, considerata un peccato indipendente dalla superbia, e quindi non riconducibile ad essa.