Utente:MassimoDellaPena/Sandbox
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Il sottomarino a propulsione nucleare Progetto 949A Antey (classe Oscar II) Kursk (russo: Progetto 949A Антей Atomnaya Podvodnaya Lodka «Kursk» (APL «Kursk»)) affondò in un incidente il 12 agosto 2000 nel mare di Barents, durante la prima grande esercitazione navale russa in più di dieci anni, e tutto il personale a bordo fu ucciso. Gli equipaggi delle navi vicine sentirono l'esplosione iniziale e una seconda esplosione, molto più grande, ma la Marina da guerra russa non si rese conto che si era verificato un incidente e non iniziò una ricerca del sottomarino per più di sei ore. La boa di salvataggio di emergenza del sottomarino era stata intenzionalmente disabilitata durante una missione precedente e ci vollero più di 16 ore per localizzare il battello affondato.
Per quattro giorni, la Marina russa fallì ripetutamente nei suoi tentativi di attaccare quattro diverse campane subacquee e sommergibili al portello di fuga del sottomarino. La sua risposta fu criticata come lenta e inetta. I funzionari ingannarono e manipolarono il pubblico e i media, e rifiutarono l'aiuto delle navi di altri paesi nelle vicinanze. Il presidente Vladimir Putin proseguì inizialmente la sua vacanza in una località balneare e autorizzò la Marina russa ad accettare l'assistenza britannica e norvegese solo dopo cinque giorni. Due giorni dopo i sommozzatori britannici e norvegesi aprirono finalmente un boccaporto per il compartimento di fuga nel nono scompartimento allagato dell'imbarcazione, ma non trovarono sopravvissuti.
Un'indagine ufficiale concluse che quando l'equipaggio caricò un siluro di prova 65-76 «Kit», una saldatura difettosa nel suo involucro perse perossido ad alta concentrazione (HTP) all'interno del tubo del siluro, innescando un'esplosione catalitica.[1] L'esplosione fece saltare sia il portello interno sia quello esterno del tubo, innescò un incendio, distrusse la paratia tra il primo e il secondo scompartimento, danneggiò la sala di controllo nel secondo scompartimento e inabilitò o uccise l'equipaggio della sala siluri e della sala di controllo. Il costruttore del siluro contestò questa ipotesi, insistendo che il suo progetto avrebbe impedito il tipo di evento descritto. Due minuti e quindici secondi dopo, altre cinque-sette testate di siluri esplosero. Aprirono una grande falla nello scafo, fecero crollare le paratie tra i primi tre compartimenti e tutti i ponti, distrussero il quarto compartimento e uccisero tutte le persone ancora vive a prua del sesto compartimento. I reattori nucleari si spensero in sicurezza. Gli analisti hanno concluso che 23 marinai si rifugiarono nel piccolo nono scompartimento e sopravvissero per più di sei ore. Quando l'ossigeno si esaurì, tentarono di sostituire una cartuccia di ossigeno chimico al superossido di potassio, ma questa cadde nell'acqua di mare oleosa ed esplose al contatto. L'incendio risultante uccise diversi membri dell'equipaggio e innescò un incendio lampo che consumò l'ossigeno rimanente, soffocando i superstiti rimasti.
La Mammoet si aggiudicò un contratto di recupero nel maggio 2001. In un periodo di 3 mesi, loro e i loro subappaltatori progettarono, fabbricarono, installarono e misero in funzione più di 3.000 t di attrezzature su misura. Una chiatta fu modificata e caricata con l'attrezzatura e arrivò nel mare di Barents in agosto.[2] La squadra di salvataggio recuperò tutto tranne la prua, compresi i resti di 115 marinai, che furono poi sepolti in Russia.[3] Il governo della Russia e la Marina russa furono intensamente criticati per l'incidente e le loro risposte. Un riassunto di quattro pagine di un'indagine top-secret di 133 volumi ha rivelato «incredibili violazioni della disciplina, attrezzature scadenti, obsolete e mal mantenute», e «negligenza, incompetenza e cattiva gestione». Ha concluso che l'operazione di salvataggio è stata ingiustificatamente ritardata e che la Marina russa era completamente impreparata a rispondere al disastro.[4]