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Il caracal (AFI: /karaˈkal/[2]; Caracal caracal Schreber, 1776) è un felino selvatico di medie dimensioni originario di Africa, Medio Oriente, Asia centrale e India. È caratterizzato da struttura robusta, zampe lunghe, faccia breve, lunghi ciuffi di pelo sulle orecchie e lunghi denti canini. Il manto è di colore uniforme marroncino-rossastro o sabbia, mentre le regioni ventrali sono più chiare, con piccoli disegni rossastri. Raggiunge un'altezza alla spalla di 40-50 cm e pesa 8-18 kg. Venne descritto per la prima volta dal naturalista tedesco Johann Christian Daniel von Schreber nel 1777. Ne vengono riconosciute otto sottospecie.
Generalmente notturno, il caracal è un animale molto sfuggente e difficile da osservare. È territoriale, e vive solitamente da solo o in coppia. Come tutti i felini, è carnivoro, e preda soprattutto piccoli mammiferi, uccelli e roditori. È in grado di saltare in alto fino a 3 m e di catturare gli uccelli a mezz'aria. Per catturare la preda, la segue fino ad avvicinarsi ad una distanza di circa 5 m da essa, la raggiunge con una rapida corsa e la uccide con un morso alla gola o sulla parte posteriore del collo. La riproduzione può avere luogo in ogni periodo dell'anno ed entrambi i sessi raggiungono la maturità sessuale all'età di un anno. La gestazione dura tra due e tre mesi, trascorsi i quali nascono da uno a sei piccoli. I giovani lasciano la madre tra i nove e i dieci mesi di età, ma alcune femmine continuano a vivere con lei. La vita media di un esemplare in cattività è di circa 16 anni.
I caracal sono stati addomesticati e utilizzati per la caccia sin dai tempi dell'antico Egitto[3][4].
Il caracal viene classficato all'interno della famiglia Felidae, nella sottofamiglia Felinae. Venne descritto per la prima volta dal naturalista tedesco Johann Christian Daniel von Schreber con il nome di Felis caracal sulla pubblicazione Die Säugetiere in Abbildungen nach der Natur mit Beschreibungen nel 1776. Nel 1843, lo zoologo britannico John Edward Gray inserì l'animale nel genere Caracal[5]. Il nome «caracal» deriva da due parole di origine turca: kara, che vuol dire «nero», e kulak, cioè «orecchio. Il primo utilizzo registrato di questo nome risale al 1760[6]. La specie è nota anche come lince africana[7]. È molto probabile che la «lince» dei Greci e dei Romani fosse in realtà il caracal[8] e ancora oggi questo animale viene talvolta chiamato «lince»[9], anche se la lince vera e propria è una specie separata[8].
In passato il caracal veniva classificato, a seconda degli autori, nei generi Felis[8] o Lynx[7]. Tuttavia, uno studio filogenetico del 2006 ha dimostrato che questa specie si evolvette quasi un milione di anni prima della comparsa della lince[10]. Il caracal, infatti, è più strettamente imparentato con il gatto dorato africano (Profelis aurata, spesso classificato anch'esso nel genere Caracal). Queste due specie, assieme al serval (Leptailurus serval), formano una delle otto linee evolutive della famiglia Felidae. Questa linea evolutiva fece la sua comparsa 8,5 milioni di anni fa e l'antenato di questo lignaggio arrivò in Africa 8,5-5,6 milioni di anni fa[11][12]. Caracal e serval si separarono probabilmente in questi ultimi cinque milioni di anni, verso il confine tra Pliocene e Pleistocene[13].
Ne vengono riconosciute otto sottospecie[5][14]:
Uno studio del 2006 ha indicato che le relazioni filogenetiche del caracal sono le seguenti[10][11]:
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Il caracal è un felino snello, di medie dimensioni, caratterizzato da struttura robusta, faccia breve, lunghi denti canini, ciuffi di pelo sulle orecchie e zampe lunghe. Raggiunge circa 40-50 cm di altezza alla spalla; in genere la lunghezza del corpo si aggira intorno ai 78 cm nei maschi e ai 73 cm nelle femmine. Mentre i primi pesano 12-18 kg, le seconde ne pesano 8-13. La coda, folta e di colore marroncino, misura 26-34 cm e si estende fino ai garretti[15][16]. Il caracal mostra un evidente dimorfismo sessuale, in quanto le femmine sono più piccole dei maschi per quanto riguarda la maggior parte dei parametri corporei[17].
Tra le caratteristiche facciali degne di nota ricordiamo i ciuffi neri sulle orecchie, lunghi 4,5 cm, due strisce nere che si estendono dalla fronte fino al naso, il contorno nero della bocca, i distintivi segni neri sul muso e le chiazze bianche che circondano gli occhi e la bocca[17]. Gli occhi sembrano sempre socchiusi a causa della palpebra superiore abbassata, probabilmente un adattamento per proteggere gli occhi dal bagliore del sole. I ciuffi auricolari possono iniziare a cadere con l'avanzare dell'età. Il manto è di colore uniforme marroncino-rossastro o sabbia, ma sono noti anche esemplari neri. L'addome e la parte interna delle zampe sono di colore più chiaro, spesso con piccoli disegni rossastri[17]. La pelliccia, soffice, corta e folta, diviene più ruvida in estate. I peli di guardia (vale a dire i peli più forti e lunghi della pelliccia) sono più fitti durante l'inverno che d'estate. In inverno, inoltre, la loro lunghezza può raggiungere i 3 cm, mentre d'estate è solo di 2 cm[18]. Questa caratteristica indica che la muta ha inizio nella stagione calda, generalmente in ottobre e novembre[19]. Le zampe posteriori sono più lunghe di quelle anteriori, e di conseguenza il corpo sembra essere inclinato in avanti a partire dalla groppa[16][17].
I caracal presentano segni neri distintivi sulla faccia, e alcuni individui possono avere delle «sopracciglia» molto marcate.
Il caracal viene spesso confuso con la lince, in quanto entrambi questi felini sono dotati di ciuffi auricolari. Tuttavia, la lince presenta un manto maculato e screziato, mentre quello del caracal è di colore uniforme[17]. Il gatto dorato africano ha una struttura fisica simile a quella del caracal, ma ha il manto di colore più scuro ed è privo dei ciuffi auricolari. Il serval, con cui il caracal condivide l'areale, può essere distinto da quest'ultimo per l'assenza di ciuffi auricolari, le macchie bianche dietro le orecchie, il manto maculato, le zampe e la coda più lunghe e le impronte più piccole[18][20].
Il cranio del caracal è alto e arrotondato, con ampie bolle uditive, una cresta supraoccipitale ben sviluppata, così come la cresta sagittale, e una forte mascella inferiore. Il caracal ha in tutto 30 denti; la formula dentaria è I 3/3, C 1/1, P 3/2, M 1/1. La dentatura decidua ha formula I 3/3, C 1/1, M 2/2. Gli impressionanti canini sono lunghi fino a 2 cm e sono forti e taglienti; vengono usati per dare il morso mortale alla preda. I secondi premolari superiori sono assenti e i molari superiori sono di dimensioni ridotte[19]. Le grandi zampe, simili a quelle del ghepardo[21], terminano con quattro dita negli arti posteriori e con cinque in quelli anteriori[18]. Il primo dito della zampa anteriore rimane sollevato da terra e presenta uno sperone. Gli artigli, affilati e retrattili (cioè in grado di rientrare all'interno della zampa), sono più grandi, ma meno ricurvi, nelle zampe posteriori[18].
Il caracal conduce un'esistenza generalmente notturna, sebbene possa essere attivo anche durante il giorno. Tuttavia, questo felino è così sfuggente e difficile da osservare che le sue attività diurne potrebbero facilmente passare inosservate[19]. Uno studio in Sudafrica ha dimostrato che i caracal sono più attivi quando la temperatura dell'aria scende sotto i 20 °C; a temperature più elevate, di solito, questi animali cessano ogni genere di attività[22]. Felino solitario, il caracal vive generalmente da solo o in coppia; gli unici gruppi che sono stati segnalati sono quelli costituiti dalle madri con i loro piccoli[16]. Le femmine in estro formano coppie temporanee con i maschi con cui si accoppiano. Animale territoriale, il caracal marca le rocce e la vegetazione del suo territorio con l'urina e probabilmente con le feci, che non vengono ricoperte con la terra. Una parte importante della marcatura del territorio è costituita dai graffi lasciati sulla corteccia degli alberi, mentre generalmente le feci non vengono depositate sempre nello stesso luogo a formare cumuli[18]. In Israele, i maschi occupano territori dalla superficie media di 220 km², mentre quelli delle femmine si estendono mediamente per 57 km². In Arabia Saudita, invece, l'estensione del territorio dei maschi varia da un minimo di 270 a un massimo di 1116 km². Nel parco nazionale delle Zebre di montagna (Sudafrica), i territori delle femmine variano tra i 4 e i 6,5 km². I territori dei vari esemplari si sovrappongono ampiamente[17]. I caratteristici ciuffi auricolari e i segni sulla faccia fungono spesso da metodo di comunicazione visiva; sono stati osservati caracal che interagivano tra di loro spostando la testa da un lato all'altro in modo che i ciuffi sfarfallassero rapidamente. Come altri felini, il caracal miagola, ringhia, soffia, sputa e fa le fusa[16].
Animale carnivoro, il caracal preda soprattutto piccoli mammiferi, uccelli e roditori. Studi effettuati in Sudafrica hanno riportato che tra le sue prede figurano raficeri dalle orecchie nere, silvicapre, pecore, capre, ratti del Karoo, procavie delle rocce, lepri e uccelli[23][24][25]. Uno studio nell'India occidentale ha dimostrato che i roditori costituiscono una parte significativa della dieta[26]. In generale il caracal si nutre di un'ampia gamma di prede, ma tende a focalizzare l'attenzione su quelle più numerose[27]. Occasionalmente questo animale mangia anche erba e uva per rinforzare il sistema immunitario e ripulire lo stomaco dai parassiti[28]. Anche antilopi più grandi, come giovani cudù, tragelafi striati, impala, redunche di Laland e antilopi saltanti, possono cadere vittima del caracal. I mammiferi generalmente costituiscono almeno l'80% della dieta[18]. Lucertole, serpenti e insetti vengono mangiati poco frequentemente[1]. I caracal sono noti per attaccare il bestiame, ma attaccano l'uomo raramente[21].
La velocità e agilità del caracal ne fanno un cacciatore eccellente, in grado di abbattere prede grandi due o tre volte le sue dimensioni[1]. Le potenti zampe posteriori gli permettono di saltare più di 3 m in aria per catturare gli uccelli in volo[17][29][30]. Può persino ruotare e cambiare direzione a mezz'aria[17]. È anche un abile scalatore[17]. Si avvicina alla preda fino a trovarsi ad una distanza di circa 5 m da essa, dopo di che può lanciarsi in uno sprint. Mentre le prede di maggiori dimensioni, come le antilopi, vengono uccise con un morso alla gola, quelle più piccole vengono soffocate con un morso sulla parte posteriore del collo[17]. Le prede vengono consumate immediatamente, e più raramente trascinate via e ricoperte. Se non disurbato, torna nuovamente a finire di mangiare le prede più grandi[18]. È stato visto che inizia a divorare un'antilope uccisa partendo dai quarti posteriori[19]. Talvolta può anche comportarsi da spazzino, ma tale comportamento è stato osservato solo di rado[23]. Si trova spesso a dover competere con volpi, lupi, leopardi e iene per le prede[21].
Entrambi i sessi raggiungono la maturità sessuale ad un anno di età; la produzione dei gameti inizia ancora prima, tra i sette e i dieci mesi. Tuttavia, questi animali riescono a riprodursi con successo solo a partire dai 12-15 mesi. La riproduzione può aver luogo in ogni periodo dell'anno. L'estro, che dura da uno a tre giorni, si ripete ogni due settimane, a meno che la femmina non sia già gravida. Le femmine in estro fanno registrare un picco nella marcatura del territorio con le urine e formano coppie temporanee con i maschi. Le modalità dell'accoppiamento non sono ancora state studiate a fondo; un numero limitato di osservazioni suggerisce che la copulazione, che dura in media quasi quattro minuti, inizia con il maschio che annusa i punti marcati con l'urina dalla femmina, che si rotola per terra. In seguito si avvicina ad essa e la monta. La coppia si separa dopo l'accoppiamento[17][18].
La gestazione dura tra i due e i tre mesi, trascorsi i quali nasce una cucciolata composta da uno a sei piccoli. Le nascite generalmente raggiungono il picco da ottobre a febbraio. La femmina partorisce nel fitto della vegetazione o in tane abbandonate di oritteropi e istrici. I piccoli nascono con gli occhi e le orecchie chiusi e gli artigli non retrattili (cioè incapaci di essere ritratti all'interno); il loro manto assomiglia a quello degli adulti, ma l'addome è maculato. Gli occhi si aprono dopo dieci giorni, ma è necessario più tempo perché la vista diventi normale. Le orecchie diventano erette e gli artigli diventano retrattili a partire dalla terza o dalla quarta settimana. Intorno allo stesso tempo i piccoli iniziano a girellare nei pressi del rifugio, e iniziano a giocare tra loro dalla quinta o sesta settimana. Iniziano ad assumere cibo solido nello stesso periodo; tuttavia, devono aspettare circa tre mesi prima di effettuare la loro prima uccisione. Quando i piccoli iniziano a muoversi da soli, la madre inizia a spostarli ogni giorno da un luogo all'altro. Tutti i denti da latte compaiono nel giro di 50 giorni, e la dentatura permanente è completa a partire da 10 mesi. I giovani cominciano a disperdersi tra i nove e i dieci mesi, ma alcune femmine rimangono a vivere con la madre. La vita media di un caracal in cattività è di circa 16 anni[17][21][31].
Il caracal vive in foreste, savane, pianure paludose, steppe subdesertiche e macchie di arbusti. Predilige tuttavia le zone aride con scarse precipitazioni e disponibilità di zone coperte. In regioni montuose come l'Acrocoro Etiopico può spingersi fino a 3000 m di altitudine[18]. Il suo areale si estende attraverso il continente africano, il Medio Oriente e il subcontinente indiano. Nonostante il deserto del Sahara e le foreste equatoriali non figurino tra le zone da esso frequentate, questo felino è presente tuttavia nelle catene montuose sahariane dell'Atlante, dell'Hoggar e del Tassili nella parte nord-occidentale del deserto e nel massiccio dell'Aïr in quella occidentale. Nell'Africa settentrionale e occidentale l'areale della specie si è ridotto considerevolmente[1].
The caracal is categorised as Least Concern by the International Union for Conservation of Nature and Natural Resources (IUCN); African populations are listed under CITES Appendix II while Asian populations come under CITES Appendix I. In central, west, north and northeast Africa and Asia, the major threat to the survival of the caracal is habitat loss due to agricultural expansion and desertification. Caracal are often killed in retaliation for preying on small livestock. A 1989 survey revealed that the caracal was responsible for the elimination of nearly 5.3 livestock per 100 chilometri quadri (39 mi²) per year in the erstwhile Cape Province, South Africa. During 1931–52, the number of caracals killed averaged 2,219 per year in the Karoo. Some tribes kill it for its meat. As of 1996, hunting of caracals is prohibited in Afghanistan, Algeria, Egypt, India, Iran, Israel, Jordan, Kazakhstan, Lebanon, Morocco, Pakistan, Syria, Tajikistan, Tunisia, Turkey, Turkmenistan, and Uzbekistan. However, Namibia and South Africa recognise it as a "problem animal" (vermin) and allow its hunting to protect livestock. Caracals occur in a number of protected areas across their range.[1]
The caracal appears to have been religiously significant in the ancient Egyptian culture. It occurs in paintings and as bronze figurines; sculptures were believed to guard the tombs of pharaohs. Embalmed caracals have also been discovered.[32] Caracal ear tufts have been elaborately depicted in some tombs, and referred to as umm risha't ("mother of feathers").[senza fonte]
Chinese emperors used caracals as gifts. In the 13th and the 14th centuries, Yuan dynasty rulers bought numerous caracals, cheetahs and tigers from Muslim merchants in the western parts of the empire in return for gold, silver, cash and silk. According to the Ming Shilu, the subsequent Ming dynasty continued this practice. Until as recently as the 20th century, the caracal was used in hunts by Indian rulers to hunt small game, while the cheetah was used for larger game.[33] In those times, caracals would be exposed to a flock of pigeons and people would bet on which caracal would kill the largest number of pigeons. This probably gave rise to the expression "to put the cat among the pigeons".[30] The pelt of the caracal is used in making fur coats, while its skin alone does not have much economic significance.[21]
Inia | |
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Stato di conservazione | |
Dati insufficienti[34] | |
Classificazione scientifica | |
Dominio | Eukaryota |
Regno | Animalia |
Phylum | Chordata |
Classe | Mammalia |
Ordine | Cetacea |
Sottordine | Odontoceti |
Famiglia | Iniidae |
Genere | Inia |
Specie | I. geoffrensis |
Nomenclatura binomiale | |
Inia geoffrensis (Blainville, 1817) | |
Areale | |
L'inia (Inia geoffrensis Blainville, 1817), nota anche come delfino rosa, boto, bufeo, delfino delle Amazzoni e tonina, è una specie di mammifero cetaceo odontoceto della famiglia degli Iniidi[35]. Se ne conoscono due sottospecie: Inia geoffrensis geoffrensis e Inia geoffrensis humboldtiana, distribuite, rispettivamente, nel bacino del Rio delle Amazzoni e nella parte alta del bacino del Madeira in Bolivia, e nel bacino dell'Orinoco.
È il delfino di fiume più grande; i maschi adulti possono raggiungere i 185 kg di peso e i 2,5 m di lunghezza. Come carattere distintivo, gli adulti acquisiscono un colore rosa, più accentuato nei maschi. È uno dei cetacei dal dimorfismo sessuale più evidente, in quanto i maschi misurati pesano tra il 16 e il 55% in più delle femmine. Come gli altri odontoceti possiede un organo chiamato melone che utilizza per l'ecolocalizzazione. La pinna dorsale non è particolarmente alta, ma è molto larga, e le pinne pettorali sono grandi. Questa caratteristica, insieme alle sue dimensioni medie e alle vertebre cervicali non fuse tra loro, gli conferisce una grande capacità di manovra per spostarsi attraverso la foresta inondata e per catturare le sue prede.
Possiede la dieta più varia tra gli odontoceti; si nutre principalmente di pesci, di cui sono state identificate 53 specie differenti, tra i quali corvine, tetra e piranha. Integra la sua dieta con tartarughe di fiume e granchi.
Abita nei principali affluenti del Rio delle Amazzoni e dell'Orinoco al di sotto dei 400 m s.l.m. Durante la stagione delle piogge si sposta verso le aree di foresta inondata, dove vi è una maggiore disponibilità di cibo.
Attualmente viene classificata sulla Lista Rossa della IUCN como specie con dati insufficienti, a causa dell'incertezza tra gli studiosi sull'entità della popolazione complessiva, sul trend demografico e sull'impatto provocato dalle attività antropiche. Non è mai stata oggetto di una caccia accanita, però negli ultimi decenni ha dovuto confrontarsi con minacce quali la perdita dell'habitat e le catture accidentali con attrezzi da pesca. Per la sua caratteristica colorazione rosea, è una delle specie di odontoceti mantenuta in cattività in vari acquari del mondo, specialmente in Stati Uniti, Venezuela ed Europa; ciononostante, è una specie difficile da allevare e con un'alta mortalità in cattività.
La specie Inia geoffrensis è stata descritta da Henri Marie Ducrotay de Blainville nel 1817. All'interno degli odontoceti, appartiene alla superfamiglia Platanistoidea (delfini di fiume)[36], che è costituita da due famiglie: Platanistidae e Iniidae, a cui appartiene il genere Inia[37], comprendente due specie. Non vi è consenso riguardo a quando e come gli antenati dell'inia penetrarono nel bacino amazzonico; è possibile che siano giunti più di 15 milioni di anni fa dall'oceano Pacifico, prima della formazione delle Ande, o, in epoca più recente, dall'oceano Atlantico[38].
Fino a poco tempo fa ne venivano riconosciute tre sottospecie: I. g. geoffrensis, I. g. boliviensis e I. g. humboldtiana[39]. Tuttavia, sulla base di alcune differenze nella morfologia del cranio, nel 1994 venne proposto che I. g. boliviensis costituisse una specie differente[40]. Nel 2002, in seguito all'analisi di campioni di DNA mitocondriale di esemplari provenienti dal bacino dell'Orinoco, dal Putumayo (affluente del Rio delle Amazzoni) e dai fiumi Tijamuchy e Ipurupuru, nell'Amazzonia boliviana, gli studiosi sono giunti alla conclusione che il genere Inia è suddiviso in almeno due unità evolutive: una di esse relegata ai bacini fluviali della Bolivia e l'altra ampiamente diffusa nei bacini dell'Orinoco e del Rio delle Amazzoni[41]; tuttavia, la questione è rimasta irrisolta fino al 2009[42].
All'interno della sua vasta area di distribuzione, la specie ha ricevuto nomi comuni differenti: delfín rosado, boto (Amazonia), delfín del Amazonas, bufeo (Colombia e Perù) e tonina (Orinoco)[43].
In passato ne veniva riconosciuta una terza sottospecie, Inia geoffrensis boliviensis[49], comprendente le popolazioni distribuite nel bacino superiore del Madeira, a monte delle rapide di Teotonio, in Bolivia. Attualmente essa è stata riconosciuta come una specie a tutti gli effetti: Inia boliviensis. Essa è confinata al Mamoré e al suo affluente principale, l'Iténez, compreso il bacino inferiore dei suoi affluenti tra i 100 e i 300 m s.l.m. Questa specie potrebbe essersi isolata dalle popolazioni di Inia geoffrensis a causa dei 400 km di rapide tra Porto Velho sul Madeira fino a Riberalta sul Beni in Bolivia. Tuttavia, vi sono delfini rosa di sottospecie non determinata nell'Abuná e nel suo affluente Río Negro (Bolivia), che penetra nel sistema Madeira/Beni al confine tra Brasile e Bolivia[45]. Le inie di questa regione potrebbero costituire, anch'esse, una specie differente[47].
L'inia è il delfino di fiume più grande. I maschi adulti raggiungono una lunghezza di 255 cm (in media 232) e un peso di 185 kg (in media 154), mentre le femmine possono raggiungere i 215 cm di lunghezza (in media 200) e i 150 kg di peso (in media 100). È uno dei cetacei dal dimorfismo sessuale più marcato (i maschi sono in media il 16% più lunghi delle femmine e il 55% più pesanti), e sotto questo aspetto si differenzia dagli altri delfini di fiume, in cui le femmine sono di norma più grandi[50].
La struttura del corpo è robusta e forte, ma abbastanza flessibile. Diversamente da quelle dei delfini oceanici, le vertebre cervicali non sono fuse, e tale caratteristica permette alla testa un'ampia gamma di movimenti. La pinna caudale è ampia e triangolare; la pinna dorsale, a forma di chiglia, è piuttosto bassa, ma è molto lunga e si estende dalla metà del corpo fino alla regione caudale[47]. Le pinne pettorali sono grandi e a forma di pagaia. La lunghezza di queste pinne consente all'animale di muoversi in tondo, il che gli conferisce una manovrabilità eccezionale per nuotare attraverso la vegetazione della foresta inondata; tuttavia questa caratteristica fa sì che il nuoto sia meno veloce[51].
La colorazione del corpo varia con l'età. I neonati e i giovani sono di colore grigio scuro; durante l'adolescenza, tuttavia, questi delfini diventano di colore grigio chiaro e gli adulti, infine, assumono un colore rosa a seguito delle ripetute abrasioni della superficie della pelle. I maschi tendono ad essere più rosa delle femmine a causa della maggiore frequenza di traumi dovuti all'aggressività intraspecifica (tra individui della stessa specie)[42]. La colorazione degli adulti può essere rosa uniforme o più o meno screziato. In alcuni adulti la superficie dorsale è più scura; si ritiene che le differenze nella colorazione dipendano dalla temperatura, dalla trasparenza dell'acqua e dalla posizione geografica[42]. Siamo a conoscenza dell'esistenza di un esemplare albino che visse per un anno in cattività in un acquario in Germania[42].
Il cranio della specie è leggermente asimmetrico rispetto a quello degli altri odontoceti. Presenta un rostro prominente, con 25-28 paia di denti lunghi e sottili su ogni lato di entrambe le mascelle. La dentatura è eterodonte, cioè i denti differiscono tra loro per forma e lunghezza; i denti anteriori sono conici, mentre quelli posteriori presentano cuspidi nella parte interna della corona[52]. I due tipi di denti svolgono funzioni diverse: afferrare e masticare la preda, rispettivamente. Gli occhi sono piccoli, ma sembrano conferire all'animale una buona visione sia dentro che fuori dall'acqua. Sulla fronte è situato un melone di piccole dimensioni, la cui forma può essere modificata mediante controllo muscolare quando viene utilizzato per l'ecolocazione[52].
L'inia respira ogni 30-110 secondi. Dallo sfiatatoio dorsale emette un getto d'acqua che può raggiungere i 2 m di altezza. La gestazione dura 315 giorni, trascorsi i quali nasce un unico piccolo che si nutrirà per due anni del latte della madre.
L'aspettativa di vita del delfino rosa in natura è sconosciuta, ma in cattività è stata registrata la sopravvivenza di individui in salute per un arco di tempo compreso tra i dieci e i trentuno anni. Tuttavia, in media la longevità degli animali in cattività è di appena 33 mesi[38]. Si ritiene che un esemplare chiamato Apure, allo zoo di Duisburg, in Germania, sia vissuto più di quarant'anni, dei quali trentuno trascorsi in cattività[53]. Un altro individuo longevo, la cui età al momento della morte nel 2016 è stata valutata attorno ai quarantotto anni, è stato Dalila, l'inia dell'acquario di Valencia, in Venezuela.
El boto tiende a ser solitario y no es frecuente verlo en grupos. Cuando lo hacen se congregan en asociaciones de hasta cuatro individuos. Lo más frecuente es observar parejas madre-hijo, pero pueden estar formados por grupos heterogéneos o por machos exclusivamente. Ocasionalmente se observan congregaciones más grandes en zonas con alimento abundante, como en la desembocadura de los ríos, o también pueden hacerlo para descansar y socializar.[54] Existe una segregación importante durante la temporada de lluvias, en la cual los machos se ubican en los cauces de los ríos, mientras las hembras y sus crías se localizan en las zonas inundadas; en la temporada seca no existe tal separación.[55]
Los estudios en cautiverio han mostrado que el delfín rosado es menos tímido que el delfín mular, pero también menos sociable, muestra menor agresividad, es menos juguetón y demuestra menor comportamiento aéreo que este. Es muy curioso y es notable la falta de temor hacia objetos extraños. Sin embargo, es posible que en cautiverio no demuestre el mismo comportamiento que en su medio natural. En libertad exhiben variedad de comportamientos: sujetan los remos de los pescadores, se frotan contra los botes, arrancas plantas bajo el agua, arrojan palos y juegan con troncos, arcilla, tortugas, serpientes y peces.[54]
Es un nadador lento; la velocidad más frecuente de desplazamiento varía entre 1,5 y 3,2 km/h, pero se han registrado velocidades máximas de entre 14 y 22 km/h y es capaz de nadar velozmente por largos periodos. Cuando emerge, la punta del hocico, el melón y la aleta dorsal aparecen simultáneamente sobre la superficie.[54] Raramente sacan la cola del agua antes de realizar inmersiones. También pueden agitar las aletas, sacar la aleta caudal y la cabeza sobre el agua, esto último lo hacen para observar el entorno; raramente ejecuta saltos sobre la superficie, pero los jóvenes pueden hacerlo separándose del agua hasta un metro.[43] Son más difíciles de entrenar que la mayoría de los otros delfines.[54]
Las hembras alcanzan la madurez entre los seis o siete años y una talla de 1,75 a 1,80 metros. Los machos lo hacen mucho más tarde, cuando alcanzan aproximadamente dos metros de longitud. La época de reproducción es estacional y coincide con la temporada seca, cuando el nivel del agua es bajo. El periodo de gestación se prolonga durante once meses y la época de nacimientos ocurre durante la temporada de inundaciones. Las crías al nacer pesan 80 kg y la etapa de lactancia se prolonga hasta por un año, con intervalos de dos a tres años entre cada embarazo.[54]
Antes de determinar que la especie tenía un marcado dimorfismo sexual, se postuló que los botos eran monógamos. Posteriormente se demostró que los machos eran más grandes que las hembras y se les documentó esgrimiendo un comportamiento sexual muy agresivo en su medio natural y en cautiverio. Los machos presentan un grado importante de daño en las aletas dorsales, caudales, pectorales y el espiráculos debido a mordidas y abrasiones, en forma adicional a las numerosas cicatrices secundarias al rastrilleo de dientes. Esto sugiere una competencia feroz por el acceso a las hembras. Esto parece indicar un sistema polígamo de apareamiento, pero la poliandria y promiscuidad no pueden descartarse.[56]
En animales cautivos se ha documentado cortejo y juego previo al apareamiento. Los machos toman la iniciativa mordisqueando las aletas de la hembra, pero en el caso en que la hembra no sea receptiva, puede reaccionar agresivamente. Se ha observado una alta frecuencias en las copulaciones, en una pareja en cautiverio se contaron 47 en el plazo de 3,5 horas, utilizando para ello tres posiciones diferentes: contactando el vientre en ángulo recto, yaciendo paralelamente cabeza a cabeza o cabeza a cola.[38]
La temporada de reproducción es estacional y los nacimientos ocurren entre mayo y junio. El periodo de los nacimientos coincide con la temporada de inundaciones y es posible que esto proporcione una ventaja debido a que las hembras y sus crías permanecen en las áreas inundadas más tiempo que los machos. En cuanto el nivel de agua empieza a decrecer, la densidad de presas en los sectores inundados aumenta debido a la pérdida de espacio, ofreciendo a los lactantes la energía necesaria para suplir las altas demandas requeridas para el crecimiento. El periodo de gestación se estima en once meses y los partos en cautiverio toman de 4 a 5 horas. Nace una cría por cada gestación y una vez roto el cordón umbilical la madre ayuda al neonato a salir a la superficie para respirar. Al momento de nacer miden 80 cm de largo y en cautiverio se has registrado un crecimiento de 0,21 m por año. El periodo de lactancia toma cerca de un año y se ha registrado hembras preñadas que continúan lactando. El intervalo entre nacimientos se estima entre los 15 y 36 meses, y la duración de la crianza se prolonga de dos a tres años.[38]
La duración relativamente prolongada de la lactancia y la crianza sugiere un fuerte vínculo madre-hijo. La mayoría de las parejas observadas en su medio natural están constituida por una hembra y su cría. Esto sugiere que los largos periodos de cuidado parental contribuyen al aprendizaje y desarrollo de joven, como lo hace el delfín mular (Tursiops truncatus).[38]
thumb|Boto alimentándose. La dieta del boto es la más diversa de la observada en cualquier otro odontoceto. Esta se compone de al menos 43 especies diferentes de pez agrupadas en 19 familias. El tamaño de las presas oscila entre los 5 y 80 cm, con un promedio de 20 cm. Los peces consumidos con mayor frecuencia pertenecen a las familias Sciaenidae (corvinas), Cichlidae y Characidae (tetras y pirañas); pero su dentadura heterodonta le permite acceder a presas provistas de caparazón como tortugas de río (Podocnemis sextuberculata) y cangrejos (Poppiana argentiniana).[54] Su dieta es más diversa durante la estación húmeda, cuando los peces se esparcen en las zonas inundadas fuera de los cauces fluviales y se hacen más difíciles de atrapar, y se vuelve más selectiva durante la estación seca cuando la densidad de presas es mayor.[51]
Usualmente se alimentan solos y son activos durante el día y la noche; sin embargo, cazan de forma predominante entre las 6:00 y 9:00 h y entre las 15:00 y 16:00 h; consumen cerca del 5,5% de su peso corporal al día.[54] A menudo se ubican cerca a las caídas de agua y en la desembocadura de los ríos, momento en el cual se disgregan los cardúmenes de peces haciendo más fácil su captura. También se aprovecha de las perturbaciones hechas por los botes para atrapar a sus presas desorientadas. En ocasiones, incluso se asocian con los tucuxis (Sotalia fluviatilis) y las nutrias gigantes (Pteronura brasiliensis) para cazar en forma coordinada; reúnen y atacan los bancos de peces al mismo tiempo. Aparentemente, existe poca competencia por el alimento entre estas especies, ya que cada una de ellas prefiere presas diferentes. También se ha observado que los botos en cautiverio comparten el alimento.[54]
La especie, al igual que los otros delfínidos, utiliza silbidos tonales para comunicarse. La emisión de estos sonidos se relaciona con el momento en que regresan a la superficie, antes de realizar inmersiones, sugiriendo que tienen que ver con la alimentación. Los análisis acústicos han revelado que las vocalizaciones son distintas en estructura a los silbidos típicos de los integrantes de los delfínidos, incluyendo al de su pariente el tucuxi.[57]
L'inia vive in quasi tutto il sistema fluviale del Rio delle Amazzoni e dell'Orinoco, e si spinge fino a 2800 km dal mare in Perù e Bolivia. Arriva fino all'alto Rio Negro vicino alla frontiera fra Brasile e Venezuela, e al Casiquiare in Venezuela. Quest'ultimo fiume (che si diparte dall'Orinoco e si getta nel Rio Negro, affluente dell'Amazzonia) congiunge i due bacini e potrebbe essere il punto di contatto fra le popolazioni dell'Orinoco e dell'Amazzonia: questa connessione però non è stata documentata. Del resto, più che i fiumi principali, l'inia abita gli affluenti e i laghi e le giungle allagate durante la stagione delle piogge: non si spinge mai in mare.
Gli indigeni dell'Amazzonia, prevenuti da varie superstizioni, in genere non cacciano l'inia; solo in Brasile in rari casi per ricavarne olio. Ma la crescita di insediamenti, in maggioranza da parte di persone non soggette ai tradizionali tabù, ha comportato un notevole aumento delle uccisioni di questi curiosi e interessanti cetacei. Numerose inie sono tenute in cattività da delfinari nordamericani (una è ancora a Duisburg in Germania): vi vivono anche più di 10 anni. Un parto si è avuto nello zoo di Fort Worth, Texas, ma il piccolo è morto poco dopo la nascita.
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