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reato nell'ordinamento giuridico italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il traffico di influenze illecite, nell'ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto e punito dall'art. 346-bis del codice penale.
Delitto di Traffico di influenze illecite | |
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Fonte | Codice penale italiano Libro II, Titolo II, Capo II |
Disposizioni | art. 346 bis |
Competenza | tribunale collegiale |
Procedibilità | d'ufficio |
Pena | reclusione da 1 a 4 anni e 6 mesi |
Questo reato era presente in molti paesi europei da molti decenni; se ne chiedeva l'inserimento in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati firmatari della Convenzione europea per la lotta alla corruzione; in dottrina[1] era stata formulata una proposta per l'inserimento del reato nel codice penale. Infine, la legge Severino nel 2012 ha introdotto l'art. 346-bis nel codice penale con lo scopo di punire chi svolge attività di intermediazione su pubblici ufficiali con mezzi illeciti[2].
Nel sistema giuridico italiano il traffico di influenze illecite aveva assunto rilevanza penale per il tramite di un'interpretazione giurisprudenziale estensiva delle norme in tema di millantato credito, e segnatamente del primo comma dell'art. 346 c.p., letto in maniera tale da comprendere nel perimetro della tipicità anche le condotte consistenti nel vantare un “credito” reale ed effettivo presso un pubblico ufficiale/impiegato.[3]
Il testo della norma recita:
«Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter c.p., sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni.»
Elementi costitutivi della fattispecie sono dunque:
La pena inoltre è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. L'aumento è previsto anche per i fatti commessi in relazione all'attività giudiziaria.
Il confine tra il reato in questione ed il lobbying lecito è stato giudicato troppo indeterminato poiché sarebbe privo di un suo proprio contenuto offensivo, visto e considerato che l'attività remunerata diretta a “influenzare” il pubblico ufficiale, magari attraverso il semplice arricchimento informativo del patrimonio conoscitivo del soggetto pubblico soprattutto quando costui non è un “tecnico” ma un politico, non può essere configurata come illecito penale[4]; parte della dottrina[5] ritiene che il delitto di traffico di influenze illecite si realizza quando il mediatore afferma di volere utilizzare un'influenza che deriva da rapporti personali, amicizia, relazioni familiari con il pubblico ufficiale. Il delitto, inoltre, rappresenta un reato di pericolo astratto, in quanto pone in pericolo l'imparzialità della pubblica amministrazione[6]
In dottrina l'indeterminatezza della fattispecie è stata criticata anche sotto un altro profilo: il traffico di influenze illecite sarebbe un reato con "consistenza criminosa inafferrabile"[7] perché - per non sfociare nel reato di corruzione - il denaro fornito al mediatore per corrompere il funzionario pubblico non deve essere effettivamente consegnato o promesso a quest'ultimo.
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