Tecniche di neutralizzazione
strategie cognitive rivolte all'attenuazione del senso di colpa del reo / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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Le tecniche di neutralizzazione - nel lessico della criminologia, della psicologia e delle scienze sociali - sono un insieme di strategie cognitive, di tipo passivo, adottate da chi ha compiuto azioni criminali o, più in generale, devianti, per fronteggiare le conseguenze psicologiche derivanti dall'aver avuto una condotta criminale o, nei casi più blandi, un comportamento trasgressivo di norme sociali o legali.
L'espressione è stata coniata negli anni cinquanta da David Matza e Gresham Sykes, in un saggio dal titolo A Theory of Delinquency, (1957)[1], con un'analisi che prendeva le mosse dal sistema subculturale dei valori del mondo della devianza giovanile[2], ma che veniva riconosciuta come paradigmatica dell'intero sistema della cultura dominante[2]. La loro "concettualizzazione del mondo deviante è riassunta nel concetto di "deriva", che implica la convergenza fra la cultura del delinquente e quella dell'onesto"[3].
La stessa espressione, sempre in ambiti criminologici e sociologici, è utilizzata anche in riferimento ai comportamenti cognitivi passivi praticati dalle vittime del crimine, piuttosto che dai suoi protagonisti[4]: in questo caso è la reazione della vittima che esegue strategie neutralizzanti per affievolire il disagio derivante dalla propria condizione[4]. Si parla, in questi casi, di neutralizzazione della vittimizzazione, ovvero devittimizzazione.