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È stato il più grave dei 10 episodi violenti avvenuti tra il 2 e il 13 ottobre del 1943 nella zona di Caiazzo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La strage di Caiazzo[4] del 13 ottobre del 1943 è stato il più grave dei 10 episodi violenti avvenuti tra il 2 e il 13 ottobre del 1943 nella zona.
Strage di Caiazzo strage | |
---|---|
Tipo | fucilazione |
Data | 13 ottobre 1943 |
Luogo | Località Monte Carmignano Caiazzo, (Caserta) |
Stato | Italia |
Coordinate | 41°10′06.41″N 14°22′50.39″E |
Obiettivo | civili |
Responsabili | XIV. Panzerkorps, Panzer Grenadier Division Kampfgruppe Moeller, reparto 3ª compagnia Panzerkorps regimento 29: comandante 1º plotone Wolfgang Lehnighk-Emden[1], ufficiali Kurt Schuster e Hans Knast o Gnass[2]. |
Motivazione | eliminazionista[3], ritirata, terra bruciata |
Conseguenze | |
Morti | 22 civili[3] |
Il 13 ottobre 1943, giorno in cui l'Italia dichiarò guerra alla Germania nazista,[5] le forze tedesche si stavano ritirando dall'area intorno al fiume Volturno. Sul Monte Carmignano, la 3ª Compagnia del 29º Reggimento Panzergrenadier, minacciata dall'avanzata delle forze americane, si era posizionata a difesa della linea del Volturno.[6] I reparti tedeschi presenti nell'area, nel contesto della «guerra ai civili» messa in atto dalle forze armate tedesche nelle zone occupate[7], perpetrarono l'uccisione di 33 civili nel periodo compreso tra il 2 e il 13 ottobre, il peggiore dei quali fu proprio la strage di Caiazzo.[6][8][9][10]
In serata Lehnigk-Emden individuò quelli che percepì come segnali segreti da una grande fattoria vicino alle posizioni americane. Lehnigk-Emden, che non era particolarmente rispettato dai suoi soldati, entrò nella fattoria con alcuni di loro e trovò 22 contadini nascosti di quattro famiglie diverse. Il comandante della compagnia, Draschke, ordinò l'esecuzione dei quattro capifamiglia. Questo ordine fu eseguito, così come l'uccisione delle tre donne che cercarono di impedire l'esecuzione. Lehnigk-Emden confessò durante la prigionia di aver fatto parte di questo commando, il cui atto fu classificato come omicidio colposo dai tribunali tedeschi.[6][9]
In seguito, Lehnigk-Emden e due sergenti, uno dei quali Kurt Schuster, tornarono alla fattoria dove si nascondevano ancora le restanti 15 donne e bambini. Lanciarono delle bombe a mano attraverso la finestra, spararono e colpirono con la baionetta i sopravvissuti che cercarono di scappare. Wilhelm May, un soldato tedesco che non fu coinvolto nella seconda parte del massacro, in seguito riferì che le donne e i bambini furono brutalmente assassinati.[6][9]
Nel 1946 gli atti relativi all'inchiesta sulla strage furono consegnati alle autorità italiane, i fascicoli furono depositati nell'archivio dei crimini di guerra di Palazzo Cesi-Gaddi e riscoperti solo nel 1994. Nel 1991, la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere aprì un'inchiesta più o meno nello stesso momento in cui le autorità tedesche iniziarono a indagare sul caso. Il 25 ottobre 1994, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere condannò Schuster e Lehnigk-Emden all'ergastolo in contumacia, ma nessuno dei due fu estradato né scontò la pena.[9]
Nel 1993, Lehnigk-Emden fu processato presso il tribunale statale di Coblenza per l'omicidio di quindici civili, poiché il tribunale classificò l'uccisione dei restanti sette come omicidio colposo.[6] Il 18 gennaio 1994, il tribunale di Coblenza respinse le accuse sulla base del fatto che il termine di prescrizione era scaduto e rifiutò di estradare Lehnigk-Emden.[9] Il caso andò avanti fino all'Alta corte tedesca, il Bundesgerichtshof, che confermò la sentenza del tribunale di Coblenza e rilasciò Lehnigk-Emden in libertà. Allo stesso tempo, il giudice della sentenza affermò che il crimine fu così terribile che avrebbe portato a una condanna persino in un tribunale nazista.[10] La Germania abolì le sue leggi sulla prescrizione per omicidio nel 1969, ma il caso fu processato secondo le vecchie leggi.[5]
Nel corso della commemorazione del 2023, ovvero a 80 anni dalla strage nazista, è stato proposto dalle autorità del comune campano un "Parco della Memoria" per ricordare le vittime dell’eccidio.[11]. Dando seguito all'iniziativa le autorità comunali hanno già acquisito il luogo dell'eccidio: la Masseria Albanese sulla cima del Monte Carmignano. Il sindaco Stefano Giaquinto ha infatti affermato che: «La masseria resterà al Comune è patrimonio culturale e storico della città. Il Parco della Memoria è per noi un progetto importante, ricordare vuol dire non aver dimenticato il passato, onorare la memoria per informare soprattutto i giovani dell'importanza della storia»[12]
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