San Ginese di Compito
centro abitato situato presso Capannori, nella provincia di Lucca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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San Ginese di Compito è una frazione del comune italiano di Capannori, nella zona del Compitese, in provincia di Lucca, in Toscana.
San Ginese di Compito frazione | |
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Vista | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Toscana |
Provincia | Lucca |
Comune | Capannori |
Territorio | |
Coordinate | 43°47′32.28″N 10°34′06.24″E |
Abitanti | 1 038 (2019) |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 55012 |
Prefisso | 0583 |
Fuso orario | UTC+1 |
Nome abitanti | sanginesini |
Cartografia | |
Il territorio della frazione di San Ginese di Compito occupa una bassa cresta collinare falciforme, ben distinta dai rilievi del massiccio del monte Pisano, che stanno a sud ovest. Questa si snoda longitudinalmente ed abbraccia ad est una porzione della pianura bonificata del Lago di Sesto fino al corso del Canale Rogio. L'ampia zona strappata alle acque, che si estende dal Palazzaccio dei Bernardini fino all'area ancora oggi chiamata Bernardini, che arriva fino alla Dogana, ha dato lavoro ai sanginesini dalla bonifica ad oggi.
La frazione si sviluppa per 4,5 km² nella parte sud-est del territorio del Comune di Capannori; fa parte della zona del Compitese; conta 1.038 abitanti nel 2019.[1] L'insediamento della popolazione è avvenuto in modo del tutto caratteristico per piccoli raggruppamenti di case, i borghi, chiamati ceppi dalla gente del luogo[2], generalmente sopraelevati rispetto al piano di campagna dell'Alveo di Bientina, ovvero l'ampia pianura lasciata dall'antico lago di Sesto.
La parte rilevata della frazione, che ospita gli abitati, è composta geologicamente da macigno, diversamente dai rilievi che appartengono al massiccio del Monte Pisano, che sono composti da quarziti.[3]
Gli abitati sono raggruppati in piccoli borghi. Nella fascia di transizione tra la collina e la pianura si trovano frequenti abitati denominati "Porto", che, privati delle acque dalle opere di bonifica che li lambivano, hanno perso gran parte del loro valore costituito un tempo dalla possibilità di approdo e rimessaggio per le imbarcazioni, che solcavano le acque per motivi commerciali o legate all'attività di pesca.
Gli abitati più piccoli sono rappresentati da: Località Monticello, Località La Dogana (zona di confine con lo Stato Fiorentino), Picchio (nel catasto Borbonico citato come "porto al Picchio", un tempo noto come Case dell'Altogradi), Valentini, Marchetti, il Maggiorello, Francesconi, Luporini, Montanari, Palmini.
San Ginese di Compito deve il suo nome a San Ginese Martire[8], il martire attore e musicante, Lucio Genesio, patrono degli attori e dei musicisti e di quanti stanno sul teatro, cui è dedicata la chiesa della parrocchia posta in Castel Durante, oggi Castello.
Fino al sei/settecento la documentazione riguardante il territorio di San Ginese di Compito, per lo più contenuta nell'Archivio di Stato di Lucca e nell'Archivio Arcivescovile di Lucca, faceva riferimento unicamente a due località, Castel Durante e Villora. A partire dai documenti sei/settecenteschi compare invece l'entità amministrativa di "San Ginese", ad esempio come parrocchia di San Ginese nel repertorio del Peviere (o Piviere: termine usato per indicare un raggruppamento di parrocchie facenti capo ad una pieve battesimale) di Compito, che era sostanzialmente rappresentato dal territorio dell'attuale Compitese, oppure negli atti civili come Comune di San GInese. Con la formazione del Comune di Capannori (1824) scompare l'appellativo "Comune".
Secondo Salvatore Andreucci nella sua epoca (anni "60 del "900) nella zona antistante la collina di San Ginese era facile trovare nelle zolle di terra contenenti frammenti di vasi etrusco-campani e di età romana.[9][10] L'origine romana del borgo di Villa è attestata oltre che dal nome latino anche dal ritrovamenti di anfore ed altri resti d'epoca nel territorio.
La Pieve di Santo Stefano e San Giovanni Battista di Villora sarebbe stata fondata in un periodo a cavallo tra il IV ed il V secolo[11] e, secondo Luigi Nanni, "è verosimile che le pievi originarie corrispondessero agli antichi «pagi ... dove aveva residenza il magistrato civile (romano)»".[12] Invece il documento più antico riferibile alla chiesa di San Ginese ed al borgo di Villora è costituito da una pergamena depositata nell'Archivio Arcivescovile di Lucca, che risale all'anno 846.[13] Con essa il prete Godiprando allivella una casa ed altri beni in Villora ad un tal Ermiprando che abitava presso la chiesa di San Ginese.
Graziano Concioni[14] riporta che il 14 marzo 941 il marchese Uberto riconosce, con una sentenza pronunciata in Pisa, a Corrado, vescovo di Lucca (935-966), il pieno diritto sulla Pieve di Santo Stefano di Villa.[15] Lo stesso Concioni riferisce di altra pergamena datata 28 marzo 953, in cui in uno scambio di beni tra il vescovo Corrado e Gheriperto, figlio di un monaco di Compito, si cita la chiesa di Santa Maria e San Giovann Battista di Villa,[16] quasi che fosse scomparsa o distrutta o abbandonata la pieve di Santo Stefano. Dell'anno 983 è la datazione di una pergamena, documento MCLXI, contenuto anch'esso nell'archivio dell'Arcivescovado di Lucca, costituito da un contratto di affitto, riportato da Barsocchini,[17] in cui il vescovo Teudigrimo allivella a Sisemondo, ascendente dei signori di Montemagno, tutti i terreni della Plebs(Pieve)[6] battesimale di Santo Stefano e San Giovanni Battista di Villora, direttamente sottoposta al vescovo, e tutto ciò che può produrre reddito dai fedeli di Paganico, Colugnola, Collina, Vinelia, Cerpeto, Vivaio, Colle, Tillio, Cumpito, Vico a sant'Agostino, Faeto, Massa Macinaia, tutti dipendenti dalla Pieve stessa.
Nell'anno 1026 viene ricordata ancora la Plebs di San Giovanni Battista e di Santo Stefano di Villora in un documento n.114.[2] In anno imprecisato, sicuramente prima del 1050[18], la Pieve venne spostata nel borgo attuale di Pieve di Compito e la chiesa di Villora continuò ad esistere come semplice Ecclesia S.Stefano de Villora.
Il concilio di San Ginese fu convocato nel 1080 da papa Gregorio VII per giudicare i canonici del Capitolo di San Martino, che si erano ribellati alla rigorosa linea della riforma gregoriana, seguita dal vescovo di Lucca, Anselmo II, che voleva introdurre la vita comune e casta nel proprio clero. Il sinodo si tenne quindi vicino alla città di Lucca proprio per favorire la partecipazione dei canonici accusati di sedizione, che avevano mandato diserto almeno un concilio tenutosi a Roma. Nella Vita Alselmi del presbitero Bardo, che narra l'episodio, si riporta: "... Convenerunt ergo quam plures iterum episcopi apud Sanctum Genesium quod castrum a civitate Lucana non multum distat...".[19] Anche l'opera in versi di Rangerio, ricalcando il Bardo riporta: "Sancti Genesii locus est famosus, agendis Aptus colloquiis hospitioque bonus. Hic, quia Lucana non multum distat ab urbe, Conveniunt fratres precipiente patre."[20] Diversi vescovi vi parteciparono, tra cui Pietro Igneo, in rappresentanza del papa. I canonici ribelli furono scomunicati e passati al potere secolare, ovvero alla contessa Matilde. Non esistono documenti che riportano la cronaca di quanto avvenuto, salvo i due testi che raccontano la vita di Anselmo II, riportati nella bibliografia. Grazie all'appoggio del re Enrico IV di Franconia e delle loro potenti famiglie, i canonici, guidati da un certo Pietro, arcidiacono poi consacrato vescovo dal'antipapa Clemente III, riuscirono a cacciare il vescovo Anselmo, inseguendolo fino nel Castello di Moriano. I documenti disponibili sono pochi e frammentari a causa della damnatio memoriae che la chiesa ne ha fatto. Ma è certo che il Concilio di San Ginese diede avvio a quel periodo insurrezionale della città di Lucca, che durò almeno una decina d'anni, che i medievisti chiamano "scisma di Lucca", nato dalla reazione al movimento riformatore della chiesa, messo in atto soprattutto, ma non solo, da Gregorio VII. Cardini ritiene che il completo ristabilimento dell'ordine sia avvenuto solo nel 1096,[21] quando il vescovo ortodosso Rangerio fu consacrato, ovvero in concomitanza con il passaggio da Lucca di Urbano II e delle truppe della prima crociata.[22]
La questione del Concilio o Sinodo di San Ginese ha costituito un argomento dibattuto, in cui vari autori si sono espressi in modo diverso. A partire dalla data che è stata attribuita all'anno 1074 nella Storia universale di tutti i Concilii generali, e particolari celebrati di Marco Battaglini, e anche da Giovanni Domenico Mansi in Sacrorum Conciliorum Nova et AmplissimaCollectio, in cui è predisposta una apposita "adnotatio cronologica"[23] per trattarne la revisione, da cui se ne deduce l'anno 1079. Invece secondo Dinelli (che riporta che Fiorentini, Waddingo, Rota e Poggi pongono la celebrazione del nostro sinodo nell'anno 1080) il Concilio si tenne proprio nel 1080, identicamente a quanto sostenuto da Barsocchini. Dinelli ricorda infatti che Pietro Igneo ritornò in Italia dalla sua legazione in Germania affidatali dal concilio romano non nel febbraio dell'anno 1079, ma solo nel marzo del 1080.[24]
Inoltre, è stata alquanto dibattuta anche la sede del Sinodo tra gli storici ecclesiastici del millennio scorso a causa della omonimia di San Ginese di Compito, San Ginese Vico Wallari[25] e San Ginese di Mammoli[26], tutti facenti parte all'epoca della vasta Diocesi di Lucca. Poiché nella Vita Alselmi episcopi lucensi del presbitero Bardone, che narra l'episodio, si riporta: "...apud Sanctum Genesium quod castrum a civitate Lucana non multum distat",[27] Mansi ha sostenuto che il convegno avrebbe potuto tenersi solo a San Ginese di Compito,[28] che dista a circa sole quattro miglia da Lucca, piuttosto che a San Ginese Vico Wallari, assai distante dalla città, come invece proposto da Dinelli[29] e pure da Savigni,[30] che si rifà alla Vita Metrica di Rangerio, che riporta che il luogo era "famosus" per l'ospitalità, come è appunto il San Genesio sito vicino a San Miniato. È utile precisare che Rangerius, probabilmente di origini francesi, non conosceva i luoghi toscani, altrimenti non avrebbe scritto che San Genesio, quello famoso per i convegni, neo pressi di S.Miniato, è vicino a Lucca, visto che passando per strada più breve, cioè la via Francigena, dista 40 Km da Lucca, senza considerare l'attraversamento dell'Arno sul ponte di Fucecchio che non sempre era transitabile. Il pellegrino medio poteva farcela a piedi in una giornata, a cavallo più di due ore.
Inoltre nei manoscritti dell'epoca ancora visibili presso l'archivio di Stato di Lucca, la località vicina a San Miniato è indicata costantemente con la denominazione "burgum Santi Genesii", come ad esempio si rileva distintamente in una pergamena del 1059 del fondo Fiorentini[31]. La tesi di.Mansi è stata appoggiata anche da Barsocchini, e più recentemente da Guerra.[32] Solo Di Poggio ha sostenuto che il concilio possa essersi tenuto a San Ginese di Mammoli, che era però un luogo troppo isolato e privo di abitazioni.[33] Degli atti redatti nel Concilio non è rimasto nulla. La ricostruzione di quanto avvenuto su basa esenzialmente sulla Vita metrica Anselmi Lucensis episcopi[34] di Rangerio e sulla Vita Anselmi episcopi Lucensis del Bardo presbyter, che risale agli anni immediatamente successivi alla morte del santo vescovo, cioè tra il 1086 ed il 1089.[35]
Castel Durante, sui cui resti venne edificata la chiesa, fu fondato dalla famiglia Duranti nell'anno 1188.[36][37][38]
Nel 1260 appartenevano al Piviere di Compito[39], secondo l'Estimo della Diocesi di Lucca, ben tre chiese site in San Ginese di Compito: 1.Eccl. S.Stephani de Villore, 2. Eccl. S.Alexandri de Castro Durantis, 3.Eccl. S.Peregrini de Colline.[40]
Anche San Ginese subì la crisi demografica del XIV secolo, dovuta alle guerre comunali toscane, documentate nel territorio dalla distruzione di Castel Durante nel 1313 dalle truppe di Ugoccione della Fagiuola e dall'incendio di Villora dopo il 1332.[41][42] Le guerre, con le carestie e le epidemie, decimarono la popolazione: quella di Villora ammontava a 7 famiglie nel 1331,[43] nel 1334 vi erano rimasti solo 3 uomini,[44] nel 1354 erano 4 famiglie,[45] nel 1362 e 1364 dovevano essere di meno,[46] nell'estimo del 1386 era unita a San Giusto di Massa Macinaia;[42] nell'Estimo guinigiano del 1412 Villora aveva residente solo una famiglia[47], ma figurava ancora distinta da Castel Durante nel Piviere di Compito. Ma fu l'ultima volta.
Nell'estimo del 1561 Villora risulta inglobata in Castel Durante, che fa parte del Piviero di Compito. Nel 1636, in sostituzione del Piviere, venne istituita la Vicaria di Compito, che comprendeva 12 comunità, i cui deputati costituivano il Parlamento di Compito, tra cui Villora, Castel Durante e San Ginese formanti un sol Comune.[48] Il 23 giugno 1651 fu approvato lo statuto di Castel Durante, Villora e San Leonardo in Treponzio dagli Anziani del Popolo della Repubblica di Lucca.[49]
Alla fine del secolo XVIII San Ginese ospitava i benestanti lucchesi in alcune Ville:
Il 22 dicembre 1819 venne nominato, all'interno del Dipartimento di Capannori, Presidente comunitativo della Sezione di San Ginese di Compito il signor Giovanni Battista Francesconi, presumibilmente collegato all'insediamento di Centoni. Il 24 settembre 1823 fu deciso che la sezione di San Ginese di Compito confluisse nella Comunità di Capannori, circondario di Lucca.[54]
L'attuale edificio della chiesa è stato ricostruito interamente nell'anno 1859, su progetto di Giuseppe Pardini, probabilmente sostituendo una piccola chiesa barocca.[2]
La tradizione vuole che la dedicazione a san Ginese martire risalga al miracoloso ritrovamento di un braccio di San Ginese, avvolto in una antica pergamena, fatto avvenuto nel 1553 presumibilmente durante i lavori di ricostruzione della chiesa in forme barocche.[8] Potrebbe invece trattarsi della riscoperta della antica reliquia contenuta nella chiesa di San Ginese, di cui trattasi nel documento dell'anno 846,[13] all'epoca dimenticato. La reliquia viene esposta il giorno della festa di San Ginese il 25 agosto. Nel 1915 venne portata a termine la costruzione del campanile di marmo bianco. La chiesa attuale, con pianta a croce latina ed abside semicircolare, sorge in posizione strategica sul luogo dell'antica antica fortificazione del Casteldurante. Appartiene alla comunità parrocchiale del Compitese.[55]
Si tratta di un parco commemorativo, dedicato ai caduti della prima guerra mondiale, che fa parte al n.0901143703 del Catalogo Nazionale dei beni culturali.[56] La sua costruzione risale al periodo fascista.
Si compone di una cappella, che accoglie due lapidi che riportano i nomi dei caduti sanginesini nelle due guerre mondiali, e di un giardino esterno, circondato da un filare di lecci, in cui sono infissi ceppi con lastre di marmo dedicate ai singoli caduti. Al centro dello spiazzo, posto sul lato nord est del piazzale della chiesa, è installato un monumento di Franco Pegonzi, che ha sostituito l'originario monumento ai caduti di Niccolò Codino[57]:
Altri edifici storici edifici storici rilevanti, schedati dal Comune di Capannori e vincolati ai sensi della L.R. 59/80 sono:[58]
Il castello sarebbe introvabile secondo Marco Frilli del Gruppo Archeologico Capannorese, che ha eseguito dei sopralluoghi preliminari in località Castello ed anche nei sotterranei della Chiesa.[61] È invece ancora in piedi una doppia fila di muraglioni, situati a nord della attuale Chiesa Parrocchiale e che fiancheggiano via Castel Durante, la cui funzionalità rimarrebbe un mistero se non si ammettesse l'esistenza di una pregressa struttura fortificata.
Ad oggi la chiesa di Villora non è stata ancora rintracciata nelle case del borgo di Villora, oggi detto Villa. Eppure solo il 1803 era ancora in piedi. Il GAC, Gruppo Archeologico Capannorese, partendo dalla supposizione che l'edificio si sia impaludato a causa delle sempre più frequenti inondazioni, ha compiuto nel 1997 ricognizioni nella particella 230 del foglio 102, nei pressi dei campi che la gente del luogo chiamava "Convento" e "Alla Chiesina", rinvenendo resti di laterizi ed altri frammenti ceramici.[62]
Dai documenti dell'Archivio di Stato di Lucca risulta invece la presenza di una chiesa localizzabile in molte mappe ai margini est del borgo di Villora fino al secolo XiX.[63] Alcuni indicano anche il possibile luogo della Chiesa, che coincide con il luogo individuato nelle mappe rinascimentali,[64] situato ad est dell'attuale abitato, cioè in un luogo appena sopraelevato sul livello di campagna della piana dell'alveo di Bientina, adatto all'approdo di imbarcazioni. Sono altresì presenti per certo elementi architettonici (archi sulle facciate) nelle case del borgo, che starebbero ad indicare un loro uso religioso, avvalorando l'ipotesi dell'esistenza di un convento, sopra accennata. Nel 1680 la chiesa viene trovata in condizioni miserevoli dall'allora vescovo cardinale Giulio Spinola, che la unì alla chiesa di San Ginese di Compito. Nel 1803 viene trovata " diserta " da Filippo Sardi, che scrive: " S.Stefano di Villora, già iuspatronato di casa Altogradi, non esiste più per essere detta chiesa diserta ".
La viabilità della lucchesia si è notevolmente modificata nel corso dei secoli, e soprattutto è stata dimenticata. Quella che era vigente durante il medioevo, ereditata da quella romana, è stata trattata da Cesare Sardi [3](1853-1924), il cui lavoro è stato ripreso da Salvatore Andreucci ne " La strada Romea e peregrina in territorio lucchese". Entrambi si occupavano del percorso tradizionale della via Francigena, anche detta via Romea, che, proveniente da nord, portava da Lucca verso Altopascio tramite quella che oggi è detta via Romana. Però il Sardi, e non l'Adreucci, affermava che la via Romea, una volta uscita da Lucca, si mescolava nel dedalo di vie del contado, finelndo da Pozzeveri nel Computo a San Leonardo in Treponzio, ripartendo poi dal Trivium luporum, il crocicchio che sta presso l'antico Ospedale.[65] Oltre alla citata considerazione, per compredere come si siano potute sviluppare strade alternative al percorso tradizionale della via Romea, si deve tenere conto anche fatto che il tratto di strada Francigena tra Lucca ed Altopascio era frequentamente sotto acqua a causa delle inondazioni che affliggevano l'area durante tutto il medioevo, come ben si evidenzia nella tav.III de Variazioni fisiografiche del bacino di Bientina e della pianura lucchese durante i periodi storici di Elena Pederi[66]. Uno dei percorsi alternativi passava da San Leonardo in Trepozio e proseguiva verso Bientina passando per l'odierno borgo al Porto di San Ginese, detto all'epoca Porto del Pellegrino.
I riferimenti alle località sono oramai rintracciabili solo nelle mappe dell'Archivio di Stato di Lucca. Una carta in china, realizzata da Natalini Giuseppe nel 1659, illustra, in basso a destra, un promontorio sul lago di Sesto (Monte San Pellegrino), sormontato dalla Chiesa di San Pellegrino, ai cui piedi si erge una fila di case intorno ad un'insenatura, riconducibile ad un porto.[67] In una mappa del 1795,[68] si rileva che dove prima c'era la chiesa ora è indicata solo la "Casa delle Piovania di San Ginesio", facente parte della Comunità di San Genesio, vicarìa di Compito.[52] Presumibilmente la Piovania è stata realizzata sui resti della chiesina sfatta. In una mappa del 1819[69] si rinviene solo una "Chiesina sfatta" di San Pellegrino in mezzo ai terreni di proprietà della Pieve di Compito.[70] È nella redazione del Catasto Nuovo Borbonico, nel foglio IV di San Ginese di Compito, elaborato a china ed acquarello tra il 1832 ed il 1839[71], che il cartografo Giovanni Bianchi illustra con precisione la via Al Pellegrino che porta alla Dogana ed al Porto Al Pellegrino. Ma non c'è più indicazione alcuna della Piovania. L'edificio, che nella mappa del 1795 ospitava la Piovania, è ora segnato come particella 655, ed è l'edificio più grande di tutto l'abitato. Invece è la tavola 85 del V circondario[72] del Catasto Borbonico del 1832, che, disegnata in china e acquarello dal geomentra Pinochi Santi, mostra come la via Al Pellegrino partisse da via Di Tiglio (ora ss.439), percorrendo la attuale via Della Francese, passando poi per Centoni fino all'abitato del Monte Pellegrino (corrispondente all'attuale borgo detto Al Porto). Da quanto precede appare chiaro come i pellegrini, che transitavano da San Leonardo in Treponzio in direzione di Roma, invece che proseguire a piedi fino a Bientina in territorio pisano, potevano scegliere di imbarcarsi subito al Porto al Pellegrino per scendere lungo il lago di Sesto fino a Bientina ed oltre l'Arno, ostacolo naturale da superare in ogni caso. Ovviamente con la bonifica del Lago di Sesto/Bientina, iniziata nel 1859 sotto il dominio granducale, la località perse la sua importanza fino a farne dimenticare completamente la storia.
Importante è la coltivazione del fagiolo cannellino di San Ginese (e di Sant'Alessio), la cultivar più piccola e tenera dei fagioli cannellini. Nella cucina locale viene abbinato a cipolle dolci, inondato dall'olio di frantoi della zona con sale e pepe, mangiato lesso con pane toscano preferibilmente sciocco. Si produce in tutta la Piana di Lucca.
Tutto il territorio disponibile è coltivato ad oliveti oramai da tempi antichi, che hanno sostituito quasi interamente la tradizionale coltivazione della vite, anch'essa testimoniata da resti romani.
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