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varietà monocristallina dell'ossido di alluminio Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il rubino è la più nobile varietà monocristallina dell'ossido di alluminio (), un minerale noto come corindone, fortemente allocromatico. Presenta durezza 9 nella Scala di Mohs.
Rubino | |
---|---|
Formula chimica | Al2O3:Cr |
Proprietà cristallografiche | |
Gruppo cristallino | R3c |
Sistema cristallino | sistema trigonale |
Proprietà fisiche | |
Durezza (Mohs) | 9 |
Frattura | concoide, scheggiosa |
Colore | rosso vivo |
Lucentezza | subadamantina, vitrea, perlacea (sulle sfaldature) |
Opacità | lucida semitrasparente |
Striscio | bianco |
Si invita a seguire lo schema di Modello di voce – Minerale |
Si presenta di colore rosso vivace, dovuto a inclusioni di cromo, ma può assumere varie tonalità di questo colore, che vanno dal rosso più vivo, anche detto "sangue di piccione", al rosato (tipico di rocce metamorfiche generatesi per metamorfismo di contatto di sedimenti alluminiferi e di marmi dolomitici). Data l'elevata durezza, una delle giaciture tipiche è quella secondaria in depositi alluvionali.
Le sue dimensioni solitamente non sono eccezionali e sono molto legate alla trasparenza; per questo si ritengono eccezionali i rubini limpidi che superano i 10 carati. Sempre in base alla qualità, si utilizzano varie tipologie di taglio.
Le migliori gemme sono solitamente tagliate "a faccette", mentre al decrescere della trasparenza si passa alla forma di "cabochon"; questa modalità di taglio è, inoltre, la migliore per mettere in risalto, laddove presente, il fenomeno dell'asterismo (rubino stellato) o del gatteggiamento (rubino occhio di gatto).
Il rubino è una gemma molto rara e nell'antichità altre gemme di colore rosso vennero spesso scambiate per rubini, finché i moderni mezzi gemmologici non permisero un'analisi più accurata del tipo di cristallo; anche al giorno d'oggi, sia per la sua limitata produzione, sia per la grande bellezza, può capitare che per rubino venga spacciata un'altra gemma, utilizzando altri minerali come lo spinello (Rubino balascio), varietà di granato come l'almandino e il piropo (Rubino di Boemia), lo zircone rosso, il topazio (Rubino del Brasile) e la tormalina (Rubino di Siberia).
Ultimamente molte analisi sono state eseguite anche su gioielli antichi e uno dei più famosi errori fu riscontrato nei gioielli della corona britannica, con il Rubino del principe nero e il "Rubino del Timur", entrambi riconosciuti come spinelli.
Famosi sono i giacimenti presenti in Tanzania, Madagascar, Cina, Sri Lanka, Thailandia e Vietnam, tuttavia quelli ritenuti di massimo pregio provengono dalle miniere di Mogok in Birmania (cfr. G. Linsell, op. cit. p. 231).
Il rubino è una gemma la cui sintesi industriale ha una delle storie più articolate, essendo la prima gemma a essere stata riprodotta in laboratorio.[1]
La prima sintesi artificiale avvenne a opera del francese Auguste Verneuil che nel 1902 brevettò un metodo per la produzione artificiale del rubino.[1]
Il metodo di Verneuil consiste nel fondere una polvere finissima della stessa composizione della gemma che si vuole ottenere (nel caso del rubino 98% e 2% ) attraverso una fiamma di ossidrogeno a 2000 °C, che cade depositandosi più in basso su un portacampione freddo in costante rotazione. Il raffreddamento del materiale porta alla formazione del cristallo seppure in una forma inusuale in natura, quella di un bastoncello (detto boule) di pochi centimetri di diametro e 5-10 cm di lunghezza. Le gemme prodotte da boules sono riconoscibili anche dopo il taglio per le loro linee curve di accrescimento interne visibili al microscopio.[1]
In questo metodo la miscela di ossidi di cromo e alluminio viene fusa in un crogiolo di platino e iridio sulla cui superficie viene fatto scendere un cristallo naturale o artificiale di un centimetro di lato. Questo viene poi lentamente sollevato in modo che per aderenza trascini con sé il materiale fuso. Quest'ultimo raffreddandosi mantiene lo stesso orientamento del reticolo primitivo portando alla formazione di un monocristallo di dimensioni anche dell'ordine dei 10 cm di diametro e 40 cm di lunghezza.[1]
Si basa sulla miscela di ossidi con un prodotto chimico a basso punto di fusione che non reagisce con il materiale che compone il rubino finale, ma ne facilita il moto e quindi l'interazione e la crescita dei cristalli. Una volta raffreddata la miscela il solvente libero viene eliminato tramite azione di opportuni acidi, eccetto quello rimasto intrappolato come bolla nel reticolo cristallino, responsabile dello scarto di fabbricazione. Kashan ha prodotto anche rubini di 10 carati con questo metodo, che è il metodo di elezione per la produzione dei rubini sintetici usati in gioielleria.[1]
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