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autovettura del 1972 prodotta dalla Renault Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La Renault 5 è un'autovettura di tipo utilitaria prodotta dalla casa automobilistica francese Renault dal 1972 al 1984.
Renault 5 | |
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Descrizione generale | |
Costruttore | Renault |
Tipo principale | Utilitaria |
Altre versioni | Furgone |
Produzione | dal 1972 al 1984 |
Sostituita da | Renault Supercinque |
Altre caratteristiche | |
Dimensioni e massa | |
Lunghezza | 3520 mm |
Larghezza | 1530 mm |
Altezza | 1400 mm |
Passo | 2400 mm |
Massa | da 700 a 810 kg |
Altro | |
Stile | Michel Boué (esterni) Robert Broyer (interni) |
Stessa famiglia | Renault Rodéo, 3, 4, 6, 7, Express e Supercinque |
Auto simili | Audi 50 Autobianchi A112 e Y10 Fiat 127, Uno e Panda Ford Fiesta Citroën LN/LNA e Visa Opel Kadett City e Corsa Peugeot 104 Talbot Samba Volkswagen Polo Suzuki Alto Mini ed Austin Metro |
Verso la seconda metà degli anni sessanta, i vertici Renault si accorsero che chi desiderava una vettura di fascia bassa doveva accontentarsi di modelli che non avrebbero potuto soddisfare pienamente la potenziale clientela. La circostanza che la Renault stessa avesse introdotto da poco una vettura particolare come la Renault 16 (1965), prima automobile di categoria medio-alta con portellone, oppure che l'Autobianchi avesse proposto più o meno contemporaneamente gli stessi concetti applicati ad un veicolo di dimensioni medie (Autobianchi Primula, 1964) tracciava la via per una futura soluzione economica, rivolta ad un pubblico i cui gusti e le cui esigenze stavano cambiando da qualche anno a quella parte. Alla Renault ci si convinse che i temi di abitacolo modulabile e brillantezza di marcia andassero sviluppati anche in una vettura dagli ingombri e dai prezzi molto contenuti. Si poteva prevedere che il pubblico non si sarebbe accontentato ancora a lungo delle varie Renault 8, NSU Prinz, Fiat 850 e Simca 1000, i cui universali schemi tecnici del tipo "tutto dietro", migliorati ma comunque ispirati dalla Volkswagen di trent'anni prima, andavano a svantaggio della possibilità di caricare un numero soddisfacente di bagagli in caso di necessità, e quindi della praticità di utilizzo. Proprio per tale motivo erano infatti già in fase di progettazione più o meno avanzata modelli a due volumi come la Fiat 127 (che avrebbe sostituito la 850) l'Autobianchi A112, la Simca 1100 e la R12 (che avrebbe raccolto il testimone della R8). Vi erano, è vero, modelli rustici a vocazione utilitaria e dotati di trazione anteriore come la Renault 4 e la Citroën 2CV, ma le loro prestazioni erano decisamente modeste e non potevano garantire, in caso di bisogno, dei grandi spostamenti a velocità accettabili. Occorreva quindi una vettura ancor più compatta, più leggera, ma anche abbastanza scattante, economica nei costi di gestione ed altrettanto versatile.
Chi riuscì a rendersi conto compiutamente di tale necessità fu Bernard Hanon, assunto nel 1967 da Pierre Dreyfus come consulente esterno e divenuto successivamente direttore della pianificazione. Hanon era già noto da anni presso la Régie per la sua spiccata franchezza priva di peli sulla lingua, basti pensare che anni prima divenne addirittura imbarazzante presso la divisione statunitense della Renault quando pronosticò (e di fatto indovinò) un flop commerciale per le Dauphine esportate oltreoceano. Egli, forte dell'esperienza americana, intuì sia la nascita imminente anche in Europa di un mercato per la "seconda macchina" compatta per una classe sociale urbana dal potere d'acquisto in crescita, sia l'emergere della clientela femminile e giovanile (i "baby-boomers" in procinto di raggiungere l'età della patente). Hanon con questi argomenti riuscì a convincere il presidente Dreyfus, lui pure molto attento alle nuove tendenze sociologiche, circa l'opportunità di aggiungere un ulteriore modello alla gamma già ben articolata della Régie, che piacesse alle donne come agli uomini, che permettesse di muoversi in città come sui lunghi percorsi con un discreto comfort e fosse caratterizzato da ottime doti di economia di esercizio e di praticità.
Con queste poche e semplici linee guida, impensabili rispetto ai minuziosi capitolati del giorno d'oggi, in quello stesso 1967 venne avviato il progetto 122, destinato appunto alla realizzazione della nuova piccola vettura. Come di consueto furono subito mobilitati i designer del Centro Stile interno alla Casa di Billancourt, tra i quali ben presto si elevò su tutti il giovane Michel Boué, all'epoca trentunenne, il quale propose un'idea talmente valida che lo Stato Maggiore della Casa francese vi ritrovò incarnate alla perfezione tutte le specifiche imposte fin dall'inizio e lo approvò all'unanimità senza neppure visionare i lavori degli altri designer. Subito dopo venne realizzato un modellino in scala 1:5 e successivamente a grandezza naturale. Durante il 1968 si cominciò a lavorare all'affinamento delle linee di Boué: in particolare furono il frontale e la calandra ad essere interessati da tale procedura e vennero pertanto create diverse varianti, alcune delle quali riflettevano caratteri stilistici propri di modelli all'epoca già esistenti (per esempio un modello caratterizzato da una calandra in stile Renault 16) ed altri prefiguravano soluzioni che si sarebbero viste su modelli futuri (per esempio un altro modello che sfoggiava un gruppo fari-calandra che si sarebbe visto solo nel 1976 con il lancio della sfortunata Renault 14). Addirittura nel 1969 Boué propose una versione a tre volumi, che si concretizzerà anni dopo con il lancio della Renault 7 riservata al mercato spagnolo.
Tutto quanto si svolse nella più assoluta riservatezza e le prime indiscrezioni cominciarono a filtrare solo nel maggio del 1971, quando la rivista specializzata francese L'Auto-Journal presentò in copertina uno dei primi rendering grafici di quella che sarebbe stata la nuova piccola Renault, una ricostruzione per la verità che poco rispecchiava la realtà, viste le linee completamente diverse ed il fatto che secondo la stampa la vettura, di dimensioni minori rispetto alla R4, sarebbe andata a collocarsi ben al di sotto di quest'ultima, classificandosi secondo la legislazione francese nella categoria delle vetture da tre cavalli fiscali. In realtà le cose stavano diversamente, poiché le ridotte dimensioni della nuova vettura non dovevano necessariamente significare qualcosa di ultra-economico, anzi: nella mente dei vertici Renault, la vettura doveva invece andarsi a collocare un gradino più in alto della R4 per quanto riguarda prezzi, finiture e livello di equipaggiamento, senza però arrivare ai livelli della Mini, ultra-compatta chic, tanto rivoluzionaria quanto preferita dalla clientela più snob. La futura Renault 5, come verrà chiamata, dovrà essere l'automobile preferita da un pubblico giovane, single o fidanzato, comunque senza figli, e che solo occasionalmente avrebbe avuto la necessità di portare in auto ulteriori passeggeri adulti. A tale proposito, già nel febbraio 1971, si riunirono i membri dell'équipe incaricata del lancio commerciale, che avrebbe dovuto indirizzarsi appunto verso la già citata tipologia di clientela.
Il 28 novembre 1971 cominciarono a venir diffuse le foto ufficiali del nuovo modello. Non appena ciò avvenne, furono in molti a sollevare dubbi sul successo commerciale della vettura: in un'epoca in cui anche le utilitarie stavano cominciando a disporre di quattro porte, la Renault 5 andò controcorrente proponendone solo due più il portellone. In realtà la scelta fu necessaria in base all'accordo SFM (Société Française de Mécanique) stretto già nel 1966 con la Peugeot, accordo che in teoria prevedeva la produzione in comune di motori, ma che di fatto andò, sia pure in piccola parte a condizionare anche la produzione automobilistica. Infatti, la Peugeot era prossima al lancio della 104, che già nelle menti dei vertici della Casa di Sochaux era vista come la più piccola automobile a 4 porte. Pertanto, per non ostacolare i rispettivi piani commerciali dei due partner, Peugeot aveva scelto di rinunciare al portellone posteriore, mentre la Renault decise di limitare a tre il numero di porte della sua "piccola", della quale una prima presentazione, riservata alla stampa, avvenne il 3 gennaio 1972: in tale occasione trenta giornalisti provenienti da tutta Europa furono invitati a saggiare le doti della nuova nata in un percorso che si snodava lungo i suggestivi paesaggi della Bretagna meridionale, lungo la cosiddetta Côte Sauvage. I riscontri della stampa furono più che lusinghieri: vennero lodate le qualità di maneggevolezza e di brillantezza dei motori, ma anche la personalità della linea della carrozzeria.
La presentazione al pubblico avvenne qualche settimana più tardi, il 28 gennaio, al Théâtre Marigny di Parigi, dove la vettura fu svelata dopo una premessa audiovisiva che ne ricollegò la filosofia progettuale alla 4CV.
Già a partire dal giorno seguente alla presentazione, 2.560 esemplari di Renault 5 furono inviati a tutta le rete di concessionarie e succursali Renault della Francia. Di questo lotto di vetture, ben 1.920 erano decorate in maniera molto fumettistica, con occhi applicati sui fari anteriori e vignette sulle fiancate, in maniera tale da suscitare simpatia al primo sguardo. Tale trovata faceva parte di una campagna pubblicitaria alla quale ne seguì una seconda, durante la quale la Renault 5 venne soprannominata Supercar, non certo per le prestazioni (comunque considerate abbastanza vivaci per l'epoca), quanto per la sua capacità di venire incontro alle esigenze di facilità di parcheggio, limitati consumi, limitato inquinamento, ecc. Tale campagna promozionale fu una delle più massicce di tutti i tempi.
Cominciò così la carriera della piccola Renault disegnata da Michel Boué, il quale però non poté godere del successo della sua creatura: poco prima del lancio morì molto prematuramente a causa di un cancro fulminante.
Una delle chiavi del successo della Renault 5 (o R5, come si prese a chiamarla di lì a poco) stava nell'azzeccato equilibrio stilistico tra praticità, simpatia ed una certa dose di dinamismo. Il frontale era caratterizzato in primis dai grandi fari quadrangolari, tra i quali si apriva una piccola feritoia a tutta larghezza che fungeva sia da presa d'aria che da calandra. Sopra di essa campeggiava il logo Renault, mentre al di sotto si trovava il grande paraurti in materiale plastico. Si trattava di una prima assoluta: fino a quel momento, infatti, i paraurti delle vetture erano quasi tutti in acciaio, perciò una delle maggiori innovazioni introdotte dalla R5 fu proprio lo scudo paraurti in poliestere, il quale inglobava anche l'alloggiamento degli indicatori di direzione. La vista laterale permetteva di apprezzare gli sbalzi enormemente ridotti del corpo vettura a due volumi, fatto che conferiva da una parte una maggior grinta al corpo vettura e dall'altra una maggiore abitabilità interna, grazie alla ridotta intrusione interna dei passaruota. Un'altra caratteristica era quella delle portiere senza maniglie, sostituite da un pulsante accoppiato ad un incavo per accogliere la mano di chi si accingeva ad aprire la portiera stessa. Tale soluzione fu scelta per snellire e rendere più pulita la fiancata. Altra caratteristica, stavolta già vista anche su altre Renault contemporanee, era il taglio del passaruota posteriore, leggermente schiacciato in modo da coprire leggermente la ruota e conferire maggior grinta alla vista laterale. Anche la coda, con l'andamento piuttosto inclinato dei montanti posteriori, e quindi anche del portellone, portava un pizzico di dinamismo in più. Completavano il quadro i fari posteriori a sviluppo verticale ed il paraurti posteriore, anch'esso interamente in poliestere.
L'abitacolo, interamente disegnato da Robert Broyer, proponeva contenuti moderni per l'epoca, ed in alcuni casi anche decisamente particolari, come la console centrale, che già nelle vetture di fascia bassa dell'epoca era praticamente assente, ma che qui era interamente sostituita da un massiccio corpo rivestito in skai e che andava ad ospitare le condutture per l'aerazione. L'unico bocchettone preposto all'aerazione era poco più alto, al centro della plancia, dove campeggiava anche la leva del cambio. Il cruscotto era a quadranti di forma squadrata. Buona la capacità del bagagliaio, in rapporto alle dimensioni: dagli originari 200 litri in configurazione standard, si poteva passare a ben 900 litri massimi in configurazione due posti, abbattendo lo schienale posteriore. La gamma dei colori rifletteva il carattere sbarazzino del modello, con molte tinte vivaci secondo la moda del momento, e anche i sedili potevano essere ordinati di colori inusuali come arancio o verde mela.
Come spesso accadde (e sarebbe accaduto) per le Renault, una reale modernità del design non trovava riscontro in vere innovazioni meccaniche. La base tecnica della Renault 5 derivava in parte da quella della più spaziosa Renault 4, rispetto alla quale però si differenziava principalmente per il telaio monoscocca in luogo di quello a pianale separato. Tale cambiamento si rese necessario per le esigenze di sicurezza dettate dalle specifiche di progetto volute dai vertici Renault. La struttura portante divenne quindi l'intera scocca della vettura, dotata di pianale completamente piatto ed irrigidito mediante numerose nervature ed apposite traverse in acciaio. La parte centrale della scocca, quella che comprende l'abitacolo, era invece completamente indeformabile grazie ai rinforzi introdotti un po' dovunque (finestrini posteriori, tetto, ecc). Sempre rimanendo in tema di struttura, il frontale introdusse tra l'altro altre novità, tra cui i già citati paraurti in plastica, le cui caratteristiche di elasticità consentivano di assorbire meglio gli urti a bassa velocità senza conseguenza per la scocca.
Le sospensioni derivavano invece strettamente da quella della R4 e della R6, e prevedevano quindi un avantreno a barre di torsione longitudinali, mentre il retrotreno era a barre di torsione trasversali. Dalle due polivalenti e più spaziose "sorelle", la R5 ereditò anche la leggera differenza nella misura del passo tra il lato sinistro ed il lato destro, dovuta ai diversi ancoraggi delle barre di torsione e dei bracci tirati posteriori. L'impianto frenante privo di servoassistenza, era differente a seconda dei due livelli di allestimento previsti al debutto: la versione L, più economica, era equipaggiata con quattro tamburi mentre la versione TL prevedeva la soluzione mista con dischi all'avantreno. Lo sterzo era a cremagliera su entrambe le versioni. Riguardo ai motori e trasmissioni, veniva ripreso lo schema R4/R6/R16 (oggi alquanto desueto) con propulsore longitudinale e cambio in avanti. I motori adottati erano in ghisa con valvole in testa, distribuzione ad aste e bilanceri e albero a camme mosso da catena, ma le due versioni si differenziavano per caratteristiche, cilindrata e potenza: la L era equipaggiata con un blocco della famiglia "Billancourt" a tre supporti di banco della R4, già ereditato dalla 4CV del 1948, un'unità da 782 cm³ in grado di sviluppare fino a 36 CV di potenza massima. Quanto alla TL, essa invece prevedeva il più prestante motore "Sierra" da 956 cm³ della famiglia "Cléon" a cinque supporti di banco della R8, in grado di fornire 47 CV di potenza massima e capace di sopportare regimi più elevati. Il cambio era manuale a 4 marce su entrambe le versioni. Il comando del cambio avveniva come sulle R4/R6, tramite una leva che fuoriusciva orizzontalmente al centro del cruscotto. Solo successivamente venne proposto in opzione un comando a leva sul pavimento.
All'inizio erano disponibili solo due versioni: la L e la TL, quest'ultima più ricca. Le due versioni erano caratterizzate prima di tutto dalla presenza dei due differenti motori già visti in precedenza. Entrambi i modelli avevano poi in dotazione il divanetto posteriore ribaltabile, paraurti grigi, portiere incernierate anteriormente, maniglie di appiglio posteriori e la leva del cambio montata sulla plancia. L'allestimento TL, più ricco, offriva in dotazione lo specchietto di cortesia per il passeggero anteriore, tre posacenere (uno sotto al bracciolo della portiera lato passeggero e altri due nella parte posteriore), i due sedili anteriori reclinabili separatamente, lo schienale posteriore abbattibile, le maniglie di appiglio anteriori, e tre tasche portaoggetti. La lista optional comune alle due versioni prevedeva il tetto apribile, la vernice metallizzata e la selleria in skai. La TL prevedeva inoltre anche lo sbrinalunotto, i vetri oscurati ed il parabrezza stratificato, mentre sulla L lo schienale abbattibile (di serie sulla TL) era optional. Le Renault 5 importate in Italia differivano dall'originale francese in alcuni particolari, modificati per rispettare il Codice della Strada: in particolare le frecce anteriori erano di colore bianco (fino al 1977), con delle gemme ripetitrici arancioni a forma di losanga applicate sui parafanghi. Essendo la targa italiana quadrata, nella versione italiana le luci targa sul portellone posteriore erano all'interno e non all'esterno dell'incavo previsto per ospitare la targa; con l'introduzione delle targhe lunghe (1976) venne ripristinata la soluzione originaria francese (con la targa sistemata nell'apposito vano e illuminata dalle due lucine in plastica nera poste ai lati).
L'approccio marketing immaginato da Hanon e dalle campagne pubblicitarie trovò pieno riscontro nelle vendite: nel primo anno di commercializzazione in Francia, 31% degli acquirenti furono donne e 35% giovani sotto i trent'anni. Per le sue dimensioni ridotte, la R5 doveva confrontarsi non solo con le sue dirette rivali (come la Peugeot 104, la Fiat 127), ma anche con vetture leggermente più piccole come l'Autobianchi A112. Successivamente arrivarono anche le Audi 50/Volkswagen Polo (1974-75), la Ford Fiesta (1976), la Citroën LN e nel 1980 la Fiat Panda.
Un discorso a parte meritano le tre principali versioni sportive della R5, per le loro impostazioni tecniche che arrivarono a distanziarsi di parecchio dagli standard tecnici presenti sulle altre R5 e Supercinque.
La prima in ordine cronologico fu la Alpine. Essa montava un 4 cilindri da 1397 raffreddato ad acqua, lo stesso motore utilizzato sulle R5 TX e TS, ma rivisto in profondità, in modo da arrivare ad erogare 93 CV a 6400 giri/min, in luogo dei 63 CV erogabili sulle due versioni più tranquille. Tale motore era dotato di testata emisferica in alluminio, e riusciva ad erogare una maggior potenza grazie ad interventi come l'aumento del rapporto di compressione e l'adozione di un carburatore invertito doppio corpo Weber. Con tali rivisitazioni, anche la coppia motrice aumentò in maniera considerevole, arrivando ad 11.8 kgm di picco massimo a 4000 giri/min. La distribuzione era del vecchio tipo ad asse a camme laterale mosso da catena, e distribuzione ad aste e bilancieri. L'impianto frenante era di tipo misto, cioè con dischi anteriori da 228 mm anteriormente e con tamburi al retrotreno. I cerchi erano da 13 pollici, dimensioni ridotte che permettevano alla Alpine uno scatto tale da coprire in circa 9 secondi l'accelerazione da 0 a 100 km/h e garantirle un allungo di 175 km/h, considerevole all'epoca per una piccola vettura pepata.
Ancor più veloce era lo scatto della Alpine Turbo, la versione che nel 1981 andò a sostituire la Alpine aspirata descritta finora e che per le sue prestazioni si avvalse dell'adozione di un turbocompressore Garrett T3 (senza intercooler), grazie al quale la potenza massima salì fino a 110 CV a 6000 giri/min, mentre la coppia massima crebbe da 11,8 a 15,2 kgm a 4000 giri/min. A causa di tali prestazioni, anche l'impianto frenante dovette essere adeguato e furono pertanto montati i dischi anche posteriormente. Grazie a tale propulsore, la Alpine Turbo raggiungeva una velocità massima di 185 km/h, scattando da 0 a 100 km/h in soli 7.5 secondi.
Ma già nel 1980, la casa francese realizzò una variante più estrema per i rally: la R5 Turbo, che tanta fama avrebbe acquisito negli anni a seguire. Per la realizzazione della R5 Turbo la vettura base venne profondamente rivista, progettandola nuovamente come se si trattasse di una nuova vettura. Ed effettivamente la R5 Turbo aveva ben poco a che spartire con qualunque altra R5 prodotta, comprese le Alpine e le Alpine Turbo. Tanta diversità derivava in primo luogo dallo schema meccanico, completamente stravolto. La R5 Turbo infatti non montava più il motore in posizione anteriore longitudinale, ma in posizione posteriore centrale, con trazione posteriore. Tale scelta finì per costringere i progettisti a rinunciare al divanetto posteriore. La R5 Turbo risultò quindi omologata per due persone. L'unità motrice utilizzata era il solito 4 cilindri da 1397 cm³ già montato sulla Alpine e sulle TS e TX, ma rivisto in maniera molto profonda dalla Alpine di Dieppe, che aveva già firmato le notevoli prestazioni delle R5 Alpine. Oltre alla sovralimentazione e a numerose altre migliorie viene introdotto anche uno scambiatore di calore (intercooler) in grado di far respirare meglio il motore, soggetto in questo caso a terribili sollecitazioni termiche. L'alimentazione vide la rinuncia al carburatore in favore dell'iniezione elettronica K-Jetronic. Alla fine, tale unità motrice arrivò a sviluppare 160 CV a 6500 giri/min e una coppia motrice di 21,4 kgm a 3250 giri/min. L'impianto frenante si avvalse di dischi ventilati sui due assi. La R5 si riconosce a colpo d'occhio per i consistenti allargamenti dei parafanghi, soluzione necessaria per ospitare sia sospensioni più robuste, sia gli pneumatici maggiorati pensati per poter scaricare su strada la grande potenza e la grande coppia motrice di cui il propulsore era capace. La R5 Turbo era capace di raggiungere una velocità massima di oltre 200 km/h, scattando da 0 a 100 km/h in soli 6,5 secondi. Nel 1982 fu introdotta la Turbo 2, con alcune migliorie volte a rendere più affidabile la meccanica ed altre, come l'adozione di cruscotto ed altri elementi interni dell"Alpine Turbo, destinate ad abbassare il prezzo di listino, che sulla Turbo 1 era troppo elevato, senza tuttavia compromettere le prestazioni, che rimasero invariate.
Ecco di seguito una tabella con le caratteristiche meccaniche delle varie versioni della R5 prima serie, tutte con motore a benzina. I prezzi riportati sono espressi in FF e si riferiscono agli allestimenti più bassi, laddove ne sia indicato più di uno, alla versione a 3 porte (quelle a 5 porte, laddove siano state previste, costavano circa 2000 FF in più), salvo dove espressamente indicato nelle note, e al momento del debutto nel mercato francese:
Modello | Sigla progetto |
Motore | Cilindrata cm³ |
Potenza CV/rpm |
Coppia kgm/rpm |
Cambio/ N°rapporti |
Freni (ant./post.) |
Massa a vuoto (kg) |
Velocità max |
Consumo (l/100 km) |
Anni di produzione |
Prezzo al debutto (FF) |
5 L | R1220 | 839 | 782 | 36/5200 | 5.3/3000 | 4 | T/T | 730 | 120 | - | 1972-76 | 9.740 |
R1221 | B1B | 845 | 37/5500 | 5.9/2500 | 4 | T/T | 730 | 126 | 6.5 | 1977-84 | 17.960 | |
5 Lauréate L | R1222 | C1C | 956 | 44/5500 | 6.5/3500 | 4 | D/T | 775 | 136 | - | 1985 | 36.400 |
5 TL | R1222 R1392 | C1C | 956 | 47/5500 | 6.5/3000 | 4 | D/T | 785 | 135 | 7.9 | 1972-79 | 11.300 |
R1227 R1397 | C1E | 1108 | 45/4400 | 8.7/2000 | 4 | D/T | 760 | 137 | - | 1980-84 | 25.800 | |
5 Lauréate TL | R1397 | C1E | 1108 | 45/4400 | 8.7/2000 | 4 | D/T | 745 | 137 | - | 1985 | 39.700 |
5 GTL | R1225 R1395 | 810 | 1289 | 42/5000 | 8.6/2000 | 4 | D/T | 745 | 136 | - | 1976-79 | 20.500 |
R1227 R1397 | C1E | 1108 | 47/4400 | 8.7/2000 | 4 | D/T | 760 | 132 | 6.1 | 1980-84 | - | |
5 Lauréate GTL | R1397 | C1E | 1108 | 47/4400 | 8.7/2000 | 5 | D/T | 785 | 135 | 6.1 | 1985 | 46.5001 |
5 LS | R1224 | 810 | 1289 | 64/6000 | 9.6/3500 | 4 | D/T | 770 | 155 | 7.9 | 1974-75 | 15.880 |
5 TS | R1224 | 810 | 1289 | 64/6000 | 9.6/3500 | 4 | D/T | 800 | 151 | 7.9 | 1975-81 | 19.968 |
5 TS 5 TX | R1229 | C1J | 1397 | 63/5250 | 10.5/3000 | 5 | D/T | 830 | 154 | 7 | 1982-84 | - |
5 Alpine | R1223 | 840 | 1397 | 93/6400 | 11.8/4000 | 5 | D/T | 850 | 175 | 8.2 | 1976-81 | 32.060 |
5 Alpine Turbo | R122B | C6J | 1397 | 110/6000 | 15.2/4000 | 5 | D/D | 870 | 186 | 7.5 | 1982-85 | 55.000 |
5 Automatic | R1225 R1395 | 810 | 1289 | 55/5750 | 9.6/2500 | A/3 | D/T | 810 | 140 | 8.2 | 1978-81 | 26.400 |
5 Automatic 5 TX auto | R1229 R1399 | C1J | 1397 | 58.5/5250 | 10.3/3000 | A/3 | D/T | 830 | 142 | 7.5 | 1982-84 | 43.500 |
Note: 1Versione esistente solo a 5 porte |
Anche per la Alpine Turbo fu prevista l'edizione finale Lauréate, che meccanicamente possedeva caratteristiche identiche.
Come per tante vetture, anche di altre marche e modelli, la R5 fu proposta in alcune edizioni speciali a tiratura limitata[1]:
La R5 poté vantare una intensa attività agonistica, grazie soprattutto alla sua versione di punta, la R5 Turbo, che venne impiegata nell'ambito delle gare già fin da prima dell'omologazione su strada. La prima gara ufficiale della R5 Turbo è infatti il Giro d'Italia, datato 20 ottobre 1979. La produzione ufficiale delle versioni stradali sarebbe cominciata solo l'anno seguente. Tra le principali manifestazioni sportive alle quali la R5 Turbo partecipò, spesso con grandi successi, vi furono:
Ma innumerevoli furono anche gli altri suoi successi su pista e sterrato. Nel 1985 fu presentata anche la R5 Turbo Maxi, estrema evoluzione esclusiva della vettura da competizione, così denominata per l'aumento delle carreggiate e della cilindrata a 1,5 litri: il regolamento prevedeva un'equivalenza tra turbo ed aspirati con il coefficiente 1,4, in questa maniera la R5 rientrava nella classe 2.0 di cilindrata ed aveva quindi delle limitazioni sulle dimensioni dei cerchi. La costruzione di 200 esemplari stradali (denominati 8221) con la cilindrata aumentata portò ad una nuova omologazione nella classe oltre 2.0. la R5 poté così montare cerchi di dimensioni più generose che l'aiutavano a scaricare a terra la potenza di 350 cavalli.
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