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moglie di Benito Mussolini (1890-1979) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Rachele Guidi, vedova Mussolini (Predappio, 11 aprile 1890 – Forlì, 30 ottobre 1979), conosciuta anche come donna Rachele[1], fu la consorte di Benito Mussolini.
Rachele nacque a Predappio, in località Salto, da Agostino Guidi e Anna Lombardi (1853-1925). Ultima di cinque sorelle, era di umilissime origini, essendo figlia di contadini. Frequentò la scuola elementare, dove incontrò per la prima volta Benito Mussolini che, maestro elementare, sostituiva talvolta la madre, Rosa Maltoni. All'età di otto anni rimase orfana di padre: cominciò così per la sua famiglia un periodo di estrema miseria, umiliazione e fame. Si trasferì con la madre a Forlì, dove Rachele andò a servizio presso alcune ricche famiglie.
Nel 1905 il padre di Benito, Alessandro, era rimasto vedovo e aprì un'osteria a Forlì, in via Giove Tonante, insieme alla madre di Rachele (anch'ella vedova) intrattenendo una relazione con lei. Benito, nel frattempo, tornato dalla Svizzera, si trasferì dopo un paio d'anni a Forlì, presso il padre, e lì incontrò di nuovo Rachele; per loro fu il classico colpo di fulmine.[2][3] Le famiglie non erano però d'accordo sulla loro relazione e così nel 1909 Benito convocò suo padre e la madre di Rachele e, impugnando una rivoltella, comunicò loro che, se non avessero acconsentito al loro matrimonio, avrebbe ucciso lei e se stesso.[4]
In seguito Rachele convisse con Mussolini fin dal gennaio 1910 a Forlì e ne ebbe una figlia, Edda, prima del matrimonio, quindi illegittima secondo la legislazione dell'epoca. Fu registrata nell'atto di nascita come figlia di Mussolini e di madre ignota. A Forlì abitarono in un modesto alloggio in piazza XX Settembre, a poca distanza da via Mazzini 5 dove abitava Pietro Nenni con la moglie in attesa della prima figlia.[5]
Benito Mussolini sposò poi Rachele una prima volta con rito civile il 16 dicembre 1915, durante una degenza come ferito di guerra all'ospedale di Treviglio, e una seconda volta a Milano con rito religioso il 29 dicembre 1925,[6] quando era ormai presidente del Consiglio. Anche durante il ventennio fascista, nonostante la posizione politica del marito, Rachele mantenne rapporti con gli ambienti popolari della Romagna e in particolare di Forlì: ad esempio, era risaputo che fosse cliente di Augusto Rotondi, celebre guaritore e speziale, medico empirico non titolato, da tutti conosciuto semplicemente come Zambutèn.
Rachele e Benito ebbero cinque figli:
Molte fonti concordano nell'affermare che Rachele avesse un temperamento severo e autoritario, a volte anche più del marito: fu per esempio contraria a ogni atto di clemenza nei confronti del genero Galeazzo Ciano durante il processo di Verona e peggiorò, per questo, i rapporti con la figlia Edda, che la definì "il vero dittatore di casa"[7]; inoltre, negli ultimi mesi del 1943 andava ogni sera a colloquio per due ore con Guido Buffarini Guidi, ministro dell'interno della Repubblica Sociale Italiana, chiedendogli più severità al fine di ristabilire l'ordine interno.[8]
Dopo la fine della guerra, donna Rachele e i figli Romano e Anna Maria furono mandati in esilio a Ischia, dove rimase fino al 1958. Questa data segna anche il ritorno della salma di Benito Mussolini a Predappio in seguito alle numerose istanze della vedova e della figlia Edda. Dopo questa data, si ritirò a Forlì, in Villa Carpena (una villa ricolma di cimeli e ricordi del marito,[9] ora diventata museo privato). Visse grazie ad una piccola azienda agricola che gestiva direttamente, rilasciando qualche intervista e aprendo anche un ristorante nei pressi della Rocca delle Caminate, luogo vacanziero della famiglia Mussolini durante il ventennio.
Si diede da fare in vari modi per sopravvivere non percependo nessuna pensione fino al 1974, anno in cui le fu riconosciuta la pensione di reversibilità del marito, dopo una lunga battaglia legale iniziata 13 anni prima con la richiesta inviata alla Presidenza del Consiglio. La corte dei conti si espresse il 20 luglio 1968 affermando che "indipendentemente dalla rinuncia allo stipendio fatta da parte di Benito Mussolini per i suoi 20 anni e 8 mesi di Presidenza del Consiglio, il fatto non comportava la rinuncia alla pensione". Malgrado ciò dovettero passare ulteriori 6 anni prima di ricevere il danaro dovuto, in tre rate e grazie all'intervento degli onorevoli Giulio Andreotti e Giorgio Almirante.[10] Dopo la morte è stata sepolta vicino al marito nella cripta familiare del cimitero di Predappio.
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