Abbazia di Piona
abbazia di Colico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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L'abbazia di Piona,[1] o priorato di Piona, è un'abbazia italiana che si trova sulla sponda lecchese del lago di Como, nel territorio del comune di Colico.
Priorato di Piona | |
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Priorato di Piona, San Nicola | |
Stato | Italia |
Regione | Lombardia |
Località | Colico |
Indirizzo | via Abbazia di Piona, 55, 23823 Colico e Strada comunale di Piona |
Coordinate | 46°07′25.52″N 9°19′53.69″E |
Religione | cattolica |
Titolare | Maria |
Ordine | ordine cistercense e ordine di San Benedetto |
Diocesi | Como |
Stile architettonico | romanico lombardo |
Sito web | www.cistercensi.info/piona/ |
L'abbazia sorge sull'estremità della penisola detta Olgiasca[2] che, protendendosi nel Lago di Como, forma una caratteristica insenatura.
La primitiva chiesa dedicata a Santa Giustina sorse in età medievale, intorno agli anni 616[3]-617[4]; ad essa sarebbe seguita, alcuni secoli più tardi, la fondazione di un priorato, con il suo complesso abbaziale, che faceva capo a Cluny ed al suo movimento riformatore.
Il posto, per quanto decentrato si trovava lungo una rotta militare particolarmente strategica per il tempo, importanza che mantenne anche in età moderna e contemporanea e per il cui possesso si schierarono eserciti locali, regali ed imperiali.
Si tratta della strada che collega, attraverso la Valtellina, il milanese e quindi l'Italia centro-settentrionale all'Europa e che per questo rivestiva un'importanza strategica decisiva. Il suo possesso assicurava a quanti ne avevano il controllo la porta d'accesso più agevole verso il cuore dell'Europa.
Così fu per i Celti poi per i Romani, i Longobardi, i Franchi, gli Ottonidi per arrivare a Carlo V che attraverso essa univa la Spagna alle Fiandre, per finire con i napoleonici ed, in tempi più recenti, con le truppe naziste in rotta verso la Germania sconfitta.
Tra questa strada ed il priorato si erge il promontorio del Montecchio (promontorio) che lo nasconde e ne rende difficile il raggiungimento. Forse il clangore degli eserciti riuscì a interrompere il silenzio mistico che circondava l'abbazia o forse questa non si era accorta di quanto la storia andava svolgendole attorno, quasi timorosa di disturbare quella quiete irreale in cui è tuttora immersa e di offendere le lodi e i canti gregoriani che, unici suoni, ne rompevano il silenzio o, per meglio dire, la taciturnitas della vita monastica.[5]
Le prime notizie storiche risalgono al VII secolo, a un cippo coevo, ora sistemato sotto i portici dell'abbazia, che testimonia la costruzione di un oratorio voluto da Agrippino, tredicesimo vescovo di Como[4]:
«AGRIPPINUs
FAMULUS Xpi
COM CIVITATis
EPS HUNC HORAto
RIUM SCTAE Ius
TINAE MARTYRis
ANNO X ORDINa
TIONIS SUAE A Fon
DAMENTIS FABri
CAVIT ET SEPOLtu
RA SIBI ORDENA
BIT ET IN OMNI
EXPLEBIT ADQue
DEDICABIT»
Secondo alcuni, il rudere di un'abside che ancora svetta dietro l'attuale chiesa di San Nicola apparterrebbe a questo primitivo edificio cultuale,[2][3] anche se un'osservazione del modo in cui la struttura fu edificata lascia intendere una struttura costruita tra i secoli XI[3] e XII[4].
Gli storici si sono esercitati sulle reali intenzioni di Agrippino e sulla destinazione di quello che potrebbe essere stato un asceterio, ma tutte le ipotesi rimangono senza risposta affondando le loro radici nella nebbia dell'alto medioevo, in un periodo, peraltro, scosso dai dibattiti tricapitolini.
Forse Agrippino voleva solamente erigere una chiesa in onore di Santa Giustina o creare un plesso monastico magari femminile o forse un posto dove ritirarsi in preghiera e meditazione in attesa dell'ultimo passaggio: noi non abbiamo la risposta, né aiuta il lemma Oratorium inciso nel cippo, dati i suoi molteplici significati.
Ad ogni modo, la più antica attestazione documentale del priorato cluniacense di San Nicolò è tuttavia del 1264.[2]
Nell'attuale Piona esistono, dunque, due edifici: l'odierna chiesa di San Nicola, costituente il vero e proprio nucleo edilizio del Priorato di Piona, e in posizione retrostante resti di un primitivo edificio ossia un rudere di una porzione di abside che può ragionevolmente essere attribuita all'oratorium voluto da Agrippino.
Sono resti che, per le loro dimensioni, fanno pensare a un edificio piccolo e raccolto, degradato col tempo e quindi distrutto, che così ha fatto posto al successivo edificio dedicato a San Nicola.
Della costruzione di quest'ultimo non si ha una datazione certa né una documentazione storica che ne testimoni attori ed intenzioni.
Agli inizi del XX secolo è stata casualmente scoperta un'iscrizione all'interno della chiesa che affermava che la stessa era stata consacrata nel 1138 alla Vergine, dal che si deduce che a quella data l'edificio, ora dedicato a San Nicola, esisteva già[N 1]. Oscuro rimane il passaggio dedicatorio dalla Vergine a San Nicola; è un enigma che rimane tale, oggetto di studi e speculazioni per gli specialisti.
Nel corso del XII secolo, la chiesa di San Nicola fu allungata dalla parte dell'attuale facciata, modifica che andò ad incorporare un precedente atrio.[6]
Altre date certe sono quelle del 1252 e 1257 nelle quali,[4] è certificato da due lapidi, fu costruito[4], per iniziativa del priore Bonacorso da Canova di Gravedona, l'attuale chiostro[4] forse in sostituzione di uno precedente degradato o più piccolo.
Si è pensato che il priorato potesse essere il risultato della traslazione di un più vetusto monastero, quello di San Pietro di Vallate, ma studi recenti hanno respinto tale ipotesi. Rimane più credibile la successione dall'asceterio di Santa Giustina, ormai distrutto, con una nuova dedica conseguente alla diffusione del culto di San Nicola.
L'architettura del complesso abbaziale rientra nel cosiddetto romanico lombardo con influenze transalpine. In alcuni particolari ci sono degli spunti che fanno pensare al gotico francese di ispirazione cluniacense, cosa verosimile tenuto conto dei rapporti con la casa madre, Cluny.
La chiesa, a navata unica terminante in un'abside con copertura a botte affrescata, è lunga circa 20 metri e larga circa 8, il che ne fa una costruzione non grande e raccolta, comunque idonea ad una piccola comunità monastica.
L'edificio attuale è il risultato di un ampliamento, per allungamento,[6] di una precedente chiesa la cui consacrazione, come si è visto, risale al 1138,[2][6] per mano del vescovo di Como Ardizzone I[2][6]; l'esame delle caratteristiche architettoniche della nuova addizione ne suggerisce per la costruzione il XII secolo. In particolare, la chiesa sarebbe stata allungata verso occidente, andando così a inglobare e a innalzare un atrio che introduceva la facciata dell'edificio originario[4]. L'attuale facciata porta ancora i segni di una realizzazione effettuata in due fasi costruttive distinte, con la parte superiore realizzata in un'epoca più tarda rispetto a quella inferiore[4]. La vetrata nella monofora, collocata nel 1997, è opera di Alberto Ceppi.
La geometria della navata è rettangolare lievemente irregolare con la parte aggiunta non perfettamente in linea con l'asse dei primitivi muri perimetrali.
All'interno della navata trovano posto due leoni stilofori in stile tardoromanico[4]. I leoni, che un tempo facevano parte di un pulpito,[3] sostengono due acquasantiere.
La chiesa ha oggi un campanile quadrato che è stato ricostruito alla fine del XVIII secolo in seguito al crollo del campanile precedente[2] che era di forma ottagonale[6],[2] su base quadrata, come quello che si trova in Santa Maria del Tiglio a Gravedona; anche la collocazione del campanile era diversa,[6] si trovava sul lato opposto della chiesa e il crollo avvenne a causa della forte pendenza del terreno.
L'abside dell'attuale chiesa, con copertura a piramide,[6] presenta due piccole monofore[6] a doppio sguincio ed è affrescata nella volta con una mandorla, quasi illeggibile, racchiudente un Cristo in maestà con simboli evangelici.[4]
Nella parete sottostante sono affrescati gli Apostoli in postura ieratica bizantineggiante. Vi è incertezza sugli autori degli affreschi e sulla loro datazione che potrebbe essere del XII-XIII[3] secolo[2].
All'esterno presenta un'ornatura con leggeri ed eleganti archetti[2][6].
Poco dietro rimane il rudere dell'abside di un precedente edificio ecclesiale, la probabile chiesa di Santa Giustina del vescovo Agrippino.
Addossato alla parete sud della chiesa si trova un bel chiostro costruito tra il 1252 e il 1257,[2][6] su impulso dell'abate Bonacorso di Gravedona[6]. Così recita infatti una lapide presente in loco:[7]
«IN NOMINE ALTISSIMI PATRIS JESV XRISTI
FACTUM EST IN TEMPORE PRIORIS BONACVRSI
HOC OPVS CLARISSIMVM ISTIVS INCLAVSTRI
DE CANOVA FILII DOMINI GREGORII
DE GRABADONA ANNO CVRENTI MCCLVII»
L'erezione dell'attuale chiostro avvenne probabilmente in sostituzione di uno precedente di cui non si ha notizia, notevole per la bellezza degli archi e dei capitelli finemente scolpiti con figure ed allegorie care a Cluny.
Il chiostro ha una forma quadrangolare irregolare[6] che gli fa assumere un aspetto leggermente romboidale. È racchiuso da archi a sesto pieno poggianti su colonnine e capitelli estremamente eleganti e interessanti per i loro particolari architettonici, diversi uno dall'altro. I lati del chiostro sono costruiti a livelli tra loro differenti.[6] Il complesso assume l'aspetto particolarmente armonioso e quieto dell'architettura romanica anche se nei capitelli si sente l'influenza del gotico francese o secondo alcuni del gotico cluniacense puro.
La parete nord del portico è ornata da un affresco particolare, una sorta di calendario simbolico con scene che fanno riferimento a singoli mesi o stagioni dell'anno e rappresentanti i lavori agricoli tipici del periodo[8]. Questo disegno è una striscia, quasi un fumetto che percorre la parete, di non eccelsa fattura artistica ma gentile e ingenuo, molto interessante per la testimonianza che dà della vita quotidiana e dei lavori che venivano eseguiti.
Residui di affreschi più o meno leggibili si trovano anche nelle altre pareti del chiostro.[8]
Il priorato di Piona era inserito in quella grande rete monastica che da Cluny si era irradiata in tutta la cristianità sulla spinta di una nuova evangelizzazione e del bisogno di una riforma della Chiesa ormai sentita come corrotta e temporale. Da questo movimento derivò alla Chiesa nuova linfa religiosa, vitale per la sua missione, ma anche una maggiore crescita politica in un momento che presto sarà teatro della contesa fra istituzioni universali, Papato ed Impero.
Cluny e il suo movimento ebbero un enorme successo religioso e un grandioso sviluppo economico e politico all'ombra di potenti patroni politico-militari, successo strettamente correlato al loro favore. Ma con l'affievolirsi di questo e con la comparsa di altri concorrenti religiosi, i cistercensi che meglio interpretavano le mutate esigenze spirituali, iniziò il declino di Cluny e quello della sua rete tanto miracolosamente costruita e tanto capillarmente diffusa.
La comparsa, infine, del suo più grande nemico dichiarato, Bernardo di Chiaravalle, accelererà la sua fine.
«…Mi meraviglia, da dove ha potuto svilupparsi fra i monaci tanta intemperanza nel mangiare e nel bere, nei vestiti e negli arredi dei letti, nelle cavalcature e nella costruzione degli edifici, al punto che lì dove più studiosamente, più voluttuosamente, più sfrenatamente queste cose accadono, lì si dica che l'osservanza si tiene meglio, lì si reputi maggiore la vita religiosa. Ed ecco che la parsimonia si tiene per avarizia, la sobrietà si crede austerità, il silenzio è riputato tristezza……»
Lo sfarzo delle cerimonie, la grandiosità degli edifici maggiori, il mutato interesse dei potenti perderanno Cluny e con essa molti dei priorati affiliati.
«…Ti è concesso, se servi bene, che tu viva dell'altare ... ma non perché tu tragga lussi dell'altare e di lì ti compri freni d'oro, selle dipinte, speroni d'argento, pellicce varie e grigie con ornamenti di porpora al collo e alle mani. Infine, ciò che oltre al vitto necessario e al semplice vestito tu ritieni dall'altare, non è tuo diritto: è rapina, è sacrilegio...»
Anche Piona seguirà la sorte di Cluny e di altri priorati: lentamente ed inesorabilmente decadrà, diminuiranno i monaci sempre di più e il suo priorato si ridurrà a prebenda. Prebenda da scambiarsi tra i potenti del momento, come occasione di gratificazione per i propri sodali fedeli, per i benefici economici che se ne potevano estorcere senza, peraltro obbligo di quegli interventi di ordine materiale e morale che avrebbero potuto salvare Piona.
È l'istituto della commenda, del patronato che si riduce a sfruttamento delle risorse commendate quasi sempre senza interventi restitutori. L'istituzione di tale gestione in commenda venne decretata sul finire del XV secolo[6] da papa Sisto IV[2].
Attraverso una temperie di avvenimenti storici, quel monastero che nel medioevo era stato una delle punte di diamante dell'evangelizzazione cluniacense in questa parte del lago di Como finì nell'elenco dei beni secolarizzati da un decreto napoleonico[6] datato 1798[2].
Divenuto proprietà privata, il complesso fu trasformato in un'azienda agricola.[2]
Solo la munificenza della famiglia Rocca, proprietaria del complesso dal 1935[2], fece rinascere il monastero con la sua donazione alla congregazione cistercense di Casamari,[2] in memoria di un membro della famiglia, Cesare Rocca, e della moglie, Lidia, uccisi nell'Eccidio del cantiere Gondrand durante la Guerra d'Etiopia. I monaci cisternensi presero possesso del priorato il 13 febbraio 1938.[9]
Dell'antico monastero sopravvive anche la sala capitolare, restaurata nel 1969.[2]
Appartengono alla Congregazione di Casamari i monaci che sono membra vive della comunità di Piona:
I monaci cistercensi della comunità di Piona si sono cimentati da secoli nella produzione di vari elisir a base di alcool ed erbe,[2] tra cui le fortissime Gocce Imperiali (90°), l'Alpestre a base di erbe alpine e l'Elisir San Bernardo, un amaro con proprietà digestive. Ad oggi, i monaci rimasti nell'abbazia continuano a produrre i suddetti liquori che rappresentano una fonte di sostentamento economico per la comunità[10].
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