Pozzo sacro di Sa Testa
sito nuragico nel comune italiano di Olbia (SS) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Il pozzo sacro di Sa Testa è un monumento archeologico sito nel comune di Olbia, in Sardegna. È situato in prossimità dal porto industriale lungo la strada che porta da Olbia al lido di Pittulongu.
Il pozzo sacro di Sa Testa è stato scoperto negli anni trenta lungo la strada costiera da Olbia a Golfo Aranci, da pastori in cerca d'acqua. Lo scavo fu effettuato da Francesco Soldati nel 1938. L'edificio è stato restaurato da Ercole Contu nel 1969[1].
Il monumento, costruito in blocchi lavorati di granito e scisto è situato in una sella in leggera pendenza tra basse colline, orientato in un asse NNO-SSE. Ha una lunghezza totale di 17,47 m[1]. Sa Testa comprende un cortile circolare, un ingresso trapezoidale, una scala e una thòlos, che racchiude la fonte.
L'accesso avviene sul lato nord mediante quattro scalini discendenti. Il cortile interno, ampio 8,30 × 7,41 m[1] era, probabilmente, destinato ai rituali. È delimitato da un basso temenos circolare, la cui altezza residua è di 30 cm. Lo spessore del muro di cinta del complesso è di 94 cm[1]. È provvisto di una canaletta di drenaggio.
Dal cortile si accede a una scalinata di 17 gradini, la cui larghezza si restringe progressivamente, che porta al livello della sorgente[1]. Il piccolo ambiente trapezoidale misura 2,65 m in lunghezza, 2,62 di larghezza e 1,87 m dietro il fronte; è anch'esso pavimentato e attraversato da una canaletta di scolo[1].
La fonte è coperta per 5,25 da una thòlos che si restringe verso l'alto e si conclude con un foro circolare che, originariamente, comunicava con una seconda thòlos, a livello del terreno, di cui residuano solo alcuni filari di blocchetti di granito. Elementi strutturali proteggono il bene dalla penetrazione di acqua di superficie[1].
La circostanza che la seconda thòlos non sia pervenuta intatta non permette di affermare o di negare che il pozzo sacro di Sa Testa, così come altri pozzi sacri dell'isola, sia astronomicamente associato alla minima e massima declinazione della luna nel corso del suo ciclo di 18,6 anni[2].
L'esatta cronologia del monumento non è rilevabile con precisione a causa del suo uso continuato sino in epoca romana. La datazione delle forme più antiche – tuttora incerta – sembra confermarne la contemporaneità con gli altri esempi di pozzi sacri rinvenuti nell'isola (Età del bronzo finale, 1200-900 a.C.)[2].
L'utilizzo della struttura in tale epoca sarebbe dimostrata da numerosi frammenti di tazza e da alcuni oggetti in bronzo. Tra questi ultimi si rileva un braccialetto a nastro, un piccolo anello, un ago a spirale e un piccolo pugnaletto "ad elsa gammata"[1].
Il periodo fenicio-punico (850-238 a.C.) è testimoniato da numerosi frammenti di coppe, di piatti a vernice nera con decorazioni e brocchette di argilla figulina. La scoperta, in tale strato, di una statuetta in legno di ginepro è importante per le sue caratteristiche stilistiche, essendo stata recentemente ritenuta uno xoanon raffigurante una kore greco-orientale databile tra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C.[1]. Di particolare interesse sono tre thymiateria, sempre attribuibili a questo periodo.
Tra i reperti di epoca romana sono da menzionare accanto vasi minori, numerosi frammenti di una grande anfora e una tazza di produzione aretina.
I reperti rinvenuti durante lo scavo sono conservati nel Museo archeologico nazionale di Cagliari.
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