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sorta di guerra verbale Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il termine polemica deriva dal greco "πολεμικός" che significa "attinente alla guerra", e designa quindi una sorta di guerra, per lo più verbale, condotta contro un avversario detto bersaglio della polemica.
Può indicare un atteggiamento reciproco oppure unilaterale. Normalmente, la parola ha spesso una connotazione negativa, sicché si sente parlare di polemica diffamante, vergognosa, controproducente. Dato però che si tratta di un atteggiamento eminentemente verbale, non è detto che la polemica sia sempre e necessariamente un modo di fare da considerare in maniera negativa. Perfino la teologia cristiana vanta una tradizione polemica che dispone di un apparato formale preciso, laddove la polemica non è altro che il contrario dell'apologetica. In passato, la polemica era una disciplina praticata in diverse università.
L'interazione polemica ha interessato anche gli studi di linguistica pragmatica, ad esempio della scuola di Ginevra. Secondo quest'ultima, nel caso ideale le caratteristiche del discorso polemico sarebbero le seguenti:[1]
Il discorso può dunque passare a fissarsi ostinatamente sul suo bersaglio ritenuto in un certo modo "colpevole" non tanto di avere un'opinione divergente, ma del fatto di sostenerla attivamente. È peraltro chiaro che durante lo sviluppo del discorso polemico i vari argomenti si possono alternare, trattandosi spesso di un circolo vizioso.
Naturalmente è possibile che il bersaglio della polemica non coincida con l'interlocutore: basti pensare alla situazione di un monologo, di un discorso parlamentare pronunciato in assenza della persona aggredita, rivolto a tutta l'aula e, perché no, all'intera collettività.
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