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Il papiro Amherst è un antico documento egizio ora noto come papiro di Leopoldo II e Amherst, che faceva parte degli atti giudiziari riguardanti i furti avvenuti nelle tombe durante il regno di Ramesse IX. È databile all'anno 16 del suo governo. Contiene la confessione di otto uomini che entrarono nella tomba di Sobekemsaf, e una descrizione della ricostruzione del crimine. Chiarifica le pratiche seguite negli antichi tribunali egizi: si favorivano le confessioni battendo con una doppia asta su piedi e mani, si ricostruiva il crimine sul luogo del misfatto, e si imprigionavano i sospetti nel corpo di guardia di un tempio.[1] Il documento è fondamentale per la comprensione dell'importanza delle sepolture e della vita ultraterrena nell'antico Egitto, oltre che dei crimini e delle punizioni in voga durante la XX dinastia.[2]
Il furto descritto nel documento di Amherst-Leopold risale alla XX dinastia, e avvenne durante "un periodo di problemi economici e disunità nazionale".[3] Fu un periodo difficile per l'Egitto, sicuramente non prospero. L'Egitto non era in grado di controllare i territori più remoti, e li perse, mentre potenze straniere come la Libia condussero razzie in territorio egizio. I capi locali si trovarono in mano molto più potere quando il faraone cercò di ristabilire l'ordine costituito.[4] L'ordine civile e il potere amministrativo erano a un punto molto basso, mentre le condizioni economiche erano aggravate dall'inflazione: "alla fine della XX dinastia, un periodo di cui abbiamo molte informazioni che parlano di furti nelle tombe, questa usanza fu molto incoraggiata dai fattori economici".[5][6] I furti nelle tombe divennero un modo semplice per arricchirsi in poco tempo. "Le tombe intatte erano solitamente quelle più povere".[7]
Il tombarolismo era una pratica comune nel mondo antico, soprattutto nell'antico Egitto: "è un fatto risaputo che le antiche tombe egizie furono profanate nell'antichità".[7] In passato furono fatti sforzi per scoraggiare i furti nelle tombe, ma servirono solo ad aumentare l'ingegno dei ladri. All'inizio le tombe furono rese più difficili da aprire, trasformando il materiale da costruzione da legno in pietra, e le entrate furono sigillate in modo da rendere più difficile il lavoro degli scassinatori. Furono aggiunte camere segrete per nascondere i corpi. Nonostante tutte le misure adottate per fermare i furti, il richiamo di possibili tesori portò a situazioni come quelle descritte nel papiro di Amherst-Leopold.[8]
Per la precisione, il papiro contiene la confessione fatta dai ladri del crimine commesso, e la punizione che gli fu inflitta. La tomba profanata apparteneva a Sobekemsaf, e il fatto avvenne nell'anno 13 del regno di Ramesse IX. Amenpnufer viene descritto come il capo del gruppo di ladri, e nel suo processo si parla di un valore del tesoro pari a 15 kg d'oro.[9] Il furto non si limitò alla tomba di Sobekemsaf; "trovammo anche la moglie e prendemmo tutto quello che trovammo su di lei. Prendemmo oggetti d'oro, argento, bronzo, e dividemmo tra noi il tutto".[10] Anche se i ladri ammisero di aver commesso il crimine, sappiamo che i processi del tempo si svolgevano in modo non chiaro: "ai ladri condotti davanti agli inquisitori della XX dinastia fu chiesto delle loro attività, e testimoni furono chiamati a confermare o contraddire le loro storie. Accusati e testimoni furono bastonati al fine di stimolare la loro memoria".[11] Sapendolo, diventa più difficile capire se coloro che furono accusati fossero davvero i responsabili, nonostante la descrizione degli eventi sembra confermarne la colpevolezza: "Rubammo l'oro, che trovammo sulla mummia di questo dio, ed i suoi amuleti ed ornamenti posti sulla gola, e la copertura".[12] La punizione che toccò ai colpevoli fu l'impalamento, una punizione utilizzata per i crimini più gravi: "la punizione per aver violato una tomba reale: impalamento".[13]
Il papiro di Amherst-Leopold è diviso in due parti: quella bassa fu acquistata in Egitto da Lord Amherst di Hackney a metà del XIX secolo, e venduta a John Pierpont Morgan nel 1913. Nel 1935 la parte mancante fu ritrovata dall'egittologo belga Jean Capart nel Musée d'arts di Bruxelles, e fu da questo chiamato papiro Leopold II. Questo frammento era nascosto in una statuetta di legno acquistata dal futuro re Leopoldo II durante un viaggio in Egitto nel 1854 o nel 1862. La traduzione del papiro di Amherst-Leopold si rivelò difficoltosa, a differenza di altri documenti simili, come il papiro Abbott.[14]
Il papiro Amherst-Leopold è uno dei più importanti per la comprensione della cultura dell'antico Egitto, "e ci fornisce più dettagli di quanti potremmo ottenerne dalle semplici prove archeologiche".[2] Il documento mostra la frequenza dei furti nelle tombe, e le ricompense offerte per la cattura dei colpevoli, e mostra perché le persone rischiavano la vita per ottenere l'oro nascosto nelle tombe. Anche la punizione prevista per questo crimine è importante; la durezza dell'impalamento fa capire che i tombaroli erano trattati molto severamente. Questo fa capire che le autorità cercavano di scoraggiare eventuali atti simili futuri, punendo duramente i colpevoli, o potrebbe dimostrare l'importanza della morte e della vita ultraterrena nell'antico Egitto. Rubare nelle tombe, o distruggere sarcofagi e cadaveri, veniva considerato un modo per danneggiare il passaggio nella vita ultraterrena, il che dimostrerebbe la necessità di una punizione così dura.[11]
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