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Olocausto nello Stato Indipendente di Croazia
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L'Olocausto nello Stato Indipendente di Croazia rappresentò il genocidio principalmente degli ebrei, ma anche dei Serbi e dei popoli romaní (meglio noto come Porrajmos) all'interno dello Stato Indipendente di Croazia (in serbo-croato: Nezavisna Država Hrvatska, abbreviato in NDH), lo stato fantoccio fascista esistito durante la seconda guerra mondiale e guidato dal regime degli Ustascia; controllava l'area della Jugoslavia comprendente la maggior parte del territorio dell'odierna Croazia, l'intera Bosnia ed Erzegovina attuale e la parte orientale della Sirmia.
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Lo United States Holocaust Memorial Museum afferma che dei 39.000 ebrei che vissero in NDH nel 1941, ne furono uccisi più di 30.000:[1] di questi, 6.200 furono spediti nella Germania nazista[2][3] e il resto fu ucciso nei campi di concentramento gestiti direttamente dagli Ustascia, come ad esempio nel caso di Jasenovac, infatti gli Ustascia erano le uniche forze quisling in Europa che gestivano i propri campi di sterminio con lo scopo di uccidere gli ebrei e gli appartenenti ad altri gruppi etnici. Della minoranza che riuscì a sopravvivere, circa 9.000 ebrei, il 50% riuscì unendosi ai partigiani o fuggendo nel territorio controllato dai partigiani.[4]
A differenza dell'esercito nazionale polacco e degli altri gruppi di resistenza che non accettarono gli ebrei, i partigiani li accolsero con favore tanto che 10 ebrei jugoslavi furono riconosciuti come eroi nazionali, il più alto riconoscimento della seconda guerra mondiale.[5] Anche i civili croati furono coinvolti nel salvataggio degli ebrei durante questo periodo: nel 2020, 120 croati sono stati riconosciuti come Giusti tra le nazioni.[6]