Mosè (Michelangelo)
scultura di Michelangelo Buonarroti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Mosè è una scultura marmorea di Michelangelo Buonarroti, databile al 1513-1515 circa, ritoccata nel 1542 e conservata nella Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma. La creazione, alta 235 cm, fa parte del complesso statuario concepito quale tomba di Giulio II (il papa però è sepolto nella Basilica di San Pietro in Vaticano insieme allo zio Sisto IV). Tra le prime scolpite per il progetto del mausoleo del papa, fu anche l'unica tra quelle pensate fin dall'inizio ad essere usata nel ridimensionato risultato finale, che vide la luce solo dopo quarant'anni di tormentate vicende.
Mosè | |
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Autore | Michelangelo Buonarroti |
Data | 1513-1515 circa e 1542 |
Materiale | Marmo |
Altezza | 235 cm |
Ubicazione | basilica di San Pietro in Vincoli, Roma |
Coordinate | 41°53′37.58″N 12°29′35.9″E |
Si immagina che fin dal primo progetto della tomba di Giulio II, del 1505, il registro superiore dovesse essere decorato da quattro figure sedute a tutto tondo, di grandezza superiore al naturale per la collocazione rialzata, raffiguranti Mosè, San Paolo (entrambi avevano ricevuto la rivelazione divina), e le personificazioni della Vita attiva e della Vita contemplativa.
Nel progetto del 1513, ripreso dopo la morte del papa e ridimensionato nel 1516, le statue occupavano ancora il registro superiore, ma invece di affacciarsi sulle due facce del monumento isolato, si trovavano affiancate agli angoli di un monumento addossato a una parete. Fu probabilmente in questo periodo che la statua del Mosè venne realizzata, quando l'artista scolpì anche i due Prigioni del Louvre (Schiavo morente e Schiavo ribelle), prima dell'avvio dei lavori in San Lorenzo per Leone X e Clemente VII.
Secondo un documento la statua subì una rotazione 25 anni dopo la creazione. Per motivi religiosi Michelangelo girò la testa del Mosè: soltanto lui poteva essere in grado di girare la testa a una statua di marmo. Secondo questo documento, Michelangelo avrebbe girato la testa del suo Mosè, accompagnandola con una torsione dinamica di tutto il corpo, dopo il marzo del 1542. Sostiene ciò il maggiore studioso di Michelangelo, Christoph L. Frommel. A ritrovare il documento citato da Frommel è stato proprio un restauratore, Antonio Forcellino, che, prima di fare la pulitura del marmo con impacchi di acqua distillata e carbonato di ammonio, ha passato quattro anni immerso in una ricerca filologica. È così che Forcellino si è ritrovato tra le mani la lettera di un anonimo conoscente di Michelangelo che riferisce, poco dopo la morte dell'artista, come il maestro avesse girato la testa del Mosè solo in un secondo momento. Il conoscente descriveva questo episodio su richiesta del Vasari, ma stranamente - nota Frommel - né quest'ultimo, né la successiva storia dell'arte ne fanno riferimento. Dopo aver visto nella casa di Michelangelo il Mosè, questo informatore aveva commentato criticamente: «Se questa figura stesse con la testa in qua credo che forse facesse meglio». E quando era tornato, due giorni dopo, Michelangelo gli aveva detto scherzando: «Non sapete, il Moisè ce intese parlare laltro giorno et per intenderci meglio se è volto». Ed egli aveva visto «che li aveva svoltata la testa et sopra la punta del naso gli haveva lasciata un poco della gota con la pelle vecchia, che certo fu cosa mirabile ne credo quasi che a me stesso considerando la cosa quasi che impossibile». Durante il restauro altri indizi si sono aggiunti a confermare l'ipotesi: l'imponente barba è tirata verso destra, perché a sinistra sarebbe venuto a mancare il marmo per rifarla perpendicolare come era nella prima versione. Per operare la torsione del corpo, il trono su cui Mosè è seduto viene abbassato a sinistra di 7 centimetri, mentre per appoggiare indietro il piede sinistro l'artista è costretto a stringere il ginocchio di 5 centimetri rispetto al destro. Inoltre, esaminando la statua di spalle (cosa che non avveniva dai tempi di Canova) si è scoperto che vi è sopravvissuta una larga cintura scomparsa nella parte anteriore. Il vero motivo che avrebbe spinto Michelangelo a girare la testa del Mosè sarebbe stato di ordine religioso. Mosè non si volta afferrando la barba per domare la propria passione e salvare le tavole, come aveva suggerito Sigmund Freud. Secondo Frommel, distoglie lo sguardo dagli altari nell'abside e nel transetto dove venivano venerate le catene di San Pietro e concesse le indulgenze a innumerevoli pellegrini, proprio come se avesse visto un nuovo vitello d'oro.[1][senza fonte]
La statua del Mosè occupa nel monumento a Giulio II la posizione al centro nel registro inferiore. Se nel progetto iniziale era solo una delle circa quaranta statue a tutto tondo previste, in quello finale ne divenne l'elemento primario poiché, come l'artista fece scrivere al suo biografo Ascanio Condivi, «questa sola statua è bastante a far onore alla sepoltura di papa Giulio».
Il profeta viene rappresentato in posizione seduta, con la testa barbuta rivolta a sinistra, il piede destro posato per terra e la gamba sinistra sollevata con la sola punta del piede posata sulla base. La posizione delle gambe ricorda quella del Profeta Isaia di Raffaello (1511-1512), che le fonti ricordano come elogiato dal Buonarroti. Il braccio sinistro è abbandonato sul grembo, invece quello destro regge le tavole della Legge, mentre la mano arriccia la lunga barba. Curiosamente le tavole della legge risultano rovesciate, come se fossero scivolate dalle braccia del Mosè.[2] La statua, nella sua composizione, esprime la solennità e la maestosità del personaggio biblico. Celebre lo sguardo del Mosè definito come "terribile": esso è stato interpretato come espressione del carattere di Michelangelo, irascibile, orgoglioso e severo, per il quale è stato coniato il termine "terribilità".[2]
Per quest'opera, Michelangelo si rifece a esempi quattrocenteschi, come il San Giovanni Evangelista di Donatello, e antichi come il Torso Belvedere e le antiche divinità fluviali. Da Donatello in particolare riprese la carica di energia trattenuta, soprattutto nel volto contratto e concentrato, ma amplificata da una maggiore carica dinamica, grazie allo scatto contrario della testa rispetto al corpo.
Le corna sul capo del Mosè, tipiche della sua iconografia, sono probabilmente dovute ad un errore di traduzione da parte di San Girolamo del Libro dell'Esodo (34-29), nel quale si narra che Mosè, scendendo dal monte Sinai, avesse due raggi sulla fronte. L'ebraico "karan" o "karnaim" - "raggi" - sarebbe stato confuso con "keren" - "corna". All'errore può aver contribuito anche il fatto che nel Medioevo si riteneva che solo Gesù potesse avere il volto pieno di luce.
È legato a questa scultura l'aneddoto leggendario secondo il quale Michelangelo, contemplandola al termine delle ultime rifiniture e stupito egli stesso dal realismo delle sue forme, abbia esclamato «Perché non parli?» percuotendone il ginocchio con il martello che impugnava.[3]
A proposito della maestosa barba del Mosè, il Vasari disse che è scolpita con una perfezione tale da sembrare più «opera di pennello che di scalpello».[2]
Secondo la fantasia popolare, nella barba del Mosè, sotto il labbro inferiore, leggermente a destra, Michelangelo avrebbe scolpito il profilo di papa Giulio II e una testa di donna.[4]
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